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Vacche svizzere e bufale cinesi

Adrien (a destra) e Roger nel film di Amiguet. pardo.ch

«Au Sud des Nuages», del regista svizzero Jean-François Amiguet è l'unico film elvetico in competizione a Locarno.

Un viaggio iniziatico che porta un montanaro vallesano in Cina, lontano dal suo alpeggio, un po’ più vicino agli uomini e a se stesso.

Adrien vive nel suo alpeggio di Tsaté. In solitudine e nel silenzio. Un contadino vallesano chiuso in se stesso e nell’incapacità di elaborare il lutto per la morte della moglie, avvenuta molti anni fa e da cui non si è mai più ripreso.

Roger, lui invece è partito per Ginevra, «perché non mi piaceva la montagna e non mi piaceva la neve».

Ogni anno, Adrien parte per fare un viaggio con i suoi amici cacciatori. Quest’anno la Cina. Anche se tutte le sue mucche sono state decimate da un’epidemia.

Forse proprio perché non ha più nulla da perdere va fino in fondo al viaggio, mentre gli altri, scoraggiati dalle difficoltà, provati nel fisico, vista l’età e gli acciacchi rientrano in anticipo. Uno addirittura muore, o come Roger, trova più interessante la Mongolia della Cina, o piuttosto le contorsioniste mongole delle bufale cinesi.

“Ho paura di prendere l’aereo” confessa il regista, “così quando parto, vado via per intere settimane. Questa volta avevo voglia di mettere dei vecchi vallesani sulla transiberiana, un viaggio che non è mai stato filmato prima, anche perché fuori dal loro ambiente trovo che producano una comicità involontaria, solo per il fatto di essere spaesati.”

I vallesani in Transiberiana

La storia ci mette un bel po’ a partire, ha i ritmi lenti degli anziani, in più in questo caso musoni, tendenti all’alcolismo e depressi!

Ci sono le solite rappresentazioni della Svizzera da cartolina, con i combattimenti di vacche, la raclette, il vino bianco in compagnia lassù sulle montagne, i costumi tradizionali della festa di paese.

Poi arriva un autobus della posta, poi un treno, e in successione molti altri treni, che scandiscono con i loro ritmi il lungo percorso, che via via diventa un viaggio iniziatico, che permette ad Adrien di uscire (forse) dal suo mutismo e di lasciarsi dietro le nuvole più nere.

Per tutto il film il protagonista dirà si e no tre parole. E molto significativamente il discorso più lungo lo farà con una donna cinese che non capisce una parola di quello che dice.

I bufali cinesi hanno le corna più lunghe

Dall’altra parte del mondo, in un altro continente, Adrien vede il muro cinese e non gli dice niente, paesaggi mozzafiato che lo stancano. Persino partecipare ad una battuta con cacciatori mongoli non lo rende felice.

Ma con il suo sguardo tenero per questo tipo di essere un po’ selvaggio delle montagne svizzere il regista Jean-François Amiguet riesce alla fine a farci amare il suo protagonista così scontroso, ma così intenso e vero.

Adrien trova che l’Asia sia “come da noi trent’anni fa”. Il combattimento di bufale seguito da centinaia di spettatori, con tanto di spettacolo di fuochi alla fine, lo fa sentire “a casa”.

La partizione musicale indica il modo di leggere questo film a tratti molto suggestivo, ma che nel complesso non entusiasma. Un film che avrebbe invece potuto essere molto bello.

Forse anche per la scarsezza dei mezzi (1,5 milioni di franchi), pochi se paragonati all’ambizione di girare per intere settimane in luoghi molto difficili da raggiungere e forse anche da capire.

Tranne naturalmente per i combattimenti di bufale cinesi, che guarda caso quando vincono vengono nominate “regine”, proprio come nella regione del Vallese. Che tutto il mondo sia paese?

swissinfo, Raffaella Rossello, Locarno

Il film è stato girato tra l’altro nella regione mongola di Ulan-Bator e nella provincia di Yunan, che in Cina significa “Sotto le nuvole”.

Il titolo simboleggia il desiderio di superare la depressione dell’isolamento e della mancanza di contatto umano che vivono tanti agricoltori e allevatori di montagna.

Il film di Amiguet è l’unico film svizzero in concorso tra le 19 produzioni provenienti da 17 paesi che si contendono il Pardo d’oro.

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