La televisione svizzera per l’Italia

Di grembiuli e pantofole

L’integrazione (cioè: capire dove si è capitati e adeguarsi) è più facile se si ha la fortuna di avere figli in età scolastica.

Quattro grembiulini da asilo di colore diverso appesi in una merceria.
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Il primo impatto che ebbi con il variegato mondo della scuola pubblica italiana è legato irrimediabilmente alla carta igienica. Il secondo ai grembiulini; il terzo all’assenza di pantofole. Mi spiego meglio. Luogo: Scuola materna del Villaggio Olimpico, Roma. Quando: inizio anno scolastico, un bel po’ di tempo fa. Motivo: prima riunione di informazione per i genitori.

Paragone rischioso

Ora, mi rendo conto che mi sto avventurando su un terreno scivoloso: comparare i sistemi scolastici di paesi radicalmente diversi come l’Italia e la Svizzera – che poi nel mio caso diventa una giustapposizione tra un quartiere di Roma Nord e un comune del “Säuli Amt” del Canton Zurigo – è altamente rischioso. 

Tuttavia, concedetemi di raccontarvi dello shock che ebbi al termine della fatidica riunione, quando la maestra d’asilo cominciò ad elencare la lista della spesa a carico dei genitori. Da giovane mamma proveniente da un paese dove i bambini esercitano il loro diritto allo studio senza che i rispettivi genitori abbiano da sborsare un centesimo, non volevo credere alle mie orecchie.

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Una svizzera a Roma – Rubrica semiseria di mediazione culturale In questa serie, Gaëlle Courtens, giornalista svizzera residente da anni nella capitale italiana, ci propone un suo sguardo su episodi di ordinaria quotidianità. tvsvizzera

Diritti garantiti previo esborso

Servono pennelli grandi e piccoli, pennarelli, matite colorate, lapis, gomme da cancellare, carta di Fabriano di tutte le misure, barattoloni di colore a tempera: rosso, giallo, blu, bianco e nero. E fin qui, tutto sommato ci sta. Pur di far dipingere la figlioletta di tre anni, anche una svizzera come me può avere un atteggiamento di riguardo relativo alla mancanza di fondi della scuola pubblica italiana, e pertanto chiudere un occhio sulla spesa da affrontare. (Sempre meno del costo che a Zurigo e dintorni ricade sui genitori che volessero far frequentare un asilo ai propri figli prima dei 5 anni, inizio ufficiale della scuola pubblica).

Poi servono: flaconi di sapone liquido, bicchieri e piatti di carta, tovaglioli, scottex. Certo, si capisce, come fanno sennò i bambini? Non si lavano le mani? Non mangiano? Non bevono? …e chiudiamoli tutti e due, gli occhi. 

Ma quando apprendo che i genitori devono sopperire anche ai bisogni fisiologici dei propri figli e al loro sacrosanto diritto ad andare di corpo in modo dignitoso, “mi scende la saracinesca” (mir gaht de Lade n’abe, come si dice dalle mie parti). Incredibile ma vero: pure la carta igienica la dobbiamo portare noi. È troppo. In quella riunione però nessuno si scompone. E che sarà mai? Sembra la cosa più normale di questo mondo. L’unica a scandalizzarsi insieme a me è una giovane mamma norvegese che non si capacita: “La carta igienica! Ma ci rendiamo conto?”. Diventammo amiche. Lo siamo tutt’oggi, legate da un rotolone Regina che non finisce mai.

Rosa per le femmine

E che dire dei grembiulini? Alla scuola materna è rosa per le femminucce, azzurrino per i maschietti. Una tradizione che non ha pari a nord delle Alpi, dove il grembiule a mo’ di uniforme proprio non si usa. E poi, questa storia dei colori prestabiliti per genere non mi garbava mica tanto. Possibile che si facciano ancora queste distinzioni? 

Dopo una breve indagine scoprii che esistono anche grembiuli bianchi. Chiesi il permesso alla maestra di portare mia figlia color fantasmino, che con un sorriso mi concedette la stravaganza. “E le scarpe, dove le sistemate? Dove possono i bimbi indossare le pantofole?”. Già avevo tirato fuori le mitiche “Tigerli-Finkli” che mia figlia aveva avuto in regalo dalla madrina svizzera, le classiche pantofole dei bambini elvetici, leopardate con il pon pon rosso. 

La maestra mi guardò come se fossi una marziana. “Le pantofole? Qui, le scarpe non si tolgono”. Dalle mie parti è un vero e proprio rituale: i bimbi e le bimbe imparano a slacciarsi le scarpe, sistemarle l’una accanto all’altra, e mettersi le pantofoline prima di entrare in aula, che così rimane anche decisamente più pulita.

Nella migliore delle tradizioni elvetiche avrei tanto voluto proporre un compromesso. Siamo o no il popolo della “concordanza”? E allora, perché non rendere il grembiule facoltativo, ma obbligatorie le pantofole? Pur di venire incontro alle esigenze culturali locali sarei stata disposta a pantofoline rosa per le femminucce e azzurre per i maschietti.

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