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Una nuova sfida per le associazioni italiane in Svizzera

Le associazioni italiane in Svizzera denunciano un certo malessere. Eppure le iniziative non mancano tra partite a carte, festival letterari e militanza politica. Un viaggio documentario tra antiche speranze e nuovi bisogni.

Fiore all’occhiello dell’immigrazione in Svizzera, il movimento associativo italiano ha origine nel 1925 con la fondazione, a Ginevra, della prima colonia libera. Un fenomeno che è cresciuto di pari passo con la presenza italiana in Svizzera, ma che negli ultimi anni sembra confrontato a un malessere interno.

Un quadro all’apparenza preoccupante, che nasconde tuttavia una realtà più sfumata. Se è vero che le associazioni storiche faticano ad attirare nuove leve, è altrettanto evidente che la seconda e terza generazione di immigrati, i cosiddetti “secondos”, sono presenti sulla scena pubblica, alla ricerca di spazi alternativi di rivendicazione della loro identità.

Presentato alla 43esima edizione delle Giornate cinematografiche di Soletta, il documentario di Morena La Barba è «un invito alla riflessione e alla discussione sull’evoluzione delle associazioni italiane in Svizzera, per i protagonisti di questo mondo, ma non solo». Attraverso tre narrazioni, il film ripercorre infatti le principali tappe di sviluppo dell’associazionismo e di riflesso anche della migrazione e della società elvetica nel suo insieme.

Dalle rivendicazioni sociali …

Per la prima generazione di migranti, giunti in Svizzera all’inizio del Novecento come operai nei cantieri ferroviari, le colonie libere italiane hanno svolto un ruolo fondamentale nel creare una rete di solidarietà e protezione sociale.

Un impegno che, dopo la seconda guerra mondiale, si è tradotto in rivendicazioni più concrete, da una parità di trattamento sul lavoro a un maggior riconoscimento politico. Anche perché, spiega Morena La Barba, le istituzioni svizzere non erano preparate ad accogliere quest’ondata massiccia di immigrati e hanno agito con estremo ritardo rispetto ai bisogni di queste popolazioni.

Alle Colonie libere si devono dunque i primi tentativi di aprire la società elvetica alla diversità e di sensibilizzarla sul ruolo economico degli immigrati e sulle loro condizioni di vita. «Credo sia stato un atto di orgoglio sano», racconta nel video il presidente onorario della Federazione Leonardo Zanier, «perché l’emigrazione non era soltanto un’aggregazione di nostalgie, di tempo libero, ma anche una questione di diritti di cittadinanza».

… Al progetto di ritorno

Con la crisi economica degli anni ’70, e il rimpatrio di una parte degli stranieri, alle colonie libere si sono aggiunte le prime associazioni regionali. A loro veniva affidata non soltanto la gestione concreta del progetto di ritorno – come la questione del lavoro o dell’alloggio – ma anche il sostegno a coloro che, rimasti in Svizzera, erano confrontati alle crescenti manifestazioni xenofobe di quegli anni.

“L’idea del ritorno è sempre stata un’ancora di salvezza per gli immigrati”, ricorda Morena La Barba. “Le associazioni erano come un’isola felice per le prime comunità di italiani, che parlavano a stento la lingua del posto e non condividevano fino in fondo la cultura e le tradizioni locali”.

Un’identità in bilico

Col passare degli anni, le nuove generazioni di immigrati italiani si sono lasciate alle spalle questa fase di bisogno materiale e spirituale. Per questo, «oggi i giovani non si identificano più nei modelli associativi tradizionali e – senza rinnegarne il valore storico e simbolico – rivendicano la necessità di sviluppare nuove forme organizzative, in una logica di maggior impegno culturale».

I “secondos” «vogliono veicolare un’immagine dell’Italia diversa da quella dei loro genitori. Una cultura contemporanea, non più radicata nel mito del ritorno», puntualizza la regista. Si tratta di organizzazioni molto più flessibili e dinamiche, spesso limitate nel tempo perché legate a progetti specifici.

Simbolo di un’integrazione riuscita, i “secondos” denunciano inoltre un’incapacità, da parte delle associazioni tradizionali, di avere un impatto politico concreto sulla realtà svizzera. Come se la voce dei primi immigrati si fosse spenta, malgrado che alcune delle antiche battaglie – in particolare il diritto alla cittadinanza – non siano ancora state vinte.

Un punto di riferimento per i nuovi migranti

All’origine del malessere interno alle associazioni italiane vi è, in fondo, l’assenza di dialogo tra passato e presente, tra due generazioni con valori comuni, espressi però in maniera diversa. «Rinnovarsi non significa rinnegare le esperienze dei propri genitori, ma rielaborarle in un’ottica positiva in modo da poterle adattare al contesto attuale. È dunque attraverso l’esperienza della militanza, e di una maggiore presa di coscienza del proprio passato, che si può sviluppare un sentimento di solidarietà verso i nuovi migranti».

Nonostante una storia comune, a volte anche drammatica, le manifestazioni di razzismo verso gli stranieri non sono infatti rare tra le prime popolazioni di immigrati, come una catena che fatica a spezzarsi. Un processo che si è riprodotto anche tra la popolazione svizzera, che ha trasferito sui nuovi immigrati quei pregiudizi di cui un tempo erano vittime gli italiani.

Una diffidenza che si combatte anche attraverso una maggiore consapevolezza del proprio passato e dunque anche attraverso l’analisi del movimento associativo italiano. D’altronde, questo segno distintivo dell’emigrazione in Svizzera, rileva «percorsi comuni, problemi condivisi, progetti possibili per tutte le migranti e i migranti».


swissinfo, Stefania Summermatter

La prima ondata migratoria di italiani in Svizzera risale alla seconda metà dell’Ottocento ed è legata in particolare allo sviluppo progressivo della rete ferroviaria.

La punta massima è stata raggiunta tra il 1951 e il 1970, quando gli italiani diventarono la principale comunità straniera in Svizzera, con 573’000 persone registrate. La maggior parte degli immigrati erano stagionali, occupati innanzitutto in cantieri edili e nel settore alberghiero.

A partire dalla seconda metà degli anni ’70, in seguito alla crisi petrolifera, oltre 300’000 stranieri dovettero fare ritorno ai loro paesi d’origine.

L’immigrazione riprese ad aumentare dal 1986, diventando per la prima volta la componente dominante della crescita demografica svizzera.

A fine 2007 si contavano in Svizzera 1,6 milioni di cittadini stranieri, ossia il 21,1% della popolazione totale. Di questi, il 18,2% proveniva dall’Italia.

Nel 1979, il Registro delle associazioni italiane in Svizzera, presso l’Ambasciata d’Italia, ne conta 699. Due terzi di quelle esistenti, secondo il giornale “Emigrazione italiana”

Nel 1984, il Ministero degli Affari esteri italiano censisce 1’101 associazioni italiane in Svizzera. Nel 2004, secondo l’Ambasciata italiana a Berna, ne restano 747.

Nessuna delle liste è esaustiva.

“Le associazioni italiane in Svizzera” è il risultato di una ricerca svolta dalla regista Morena La Barba presso il Dipartimento di sociologia dell’Università di Ginevra.

Il film è stato realizzato anche grazie al contributo dell’Ufficio federale delle migrazioni, del Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione di Neuchâtel e di due organizzazioni di emigranti (il Forum per l’integrazione delle migranti e dei migranti e la Federazione delle colonie libere italiane in Svizzera).

È stato presentato alla 43esima edizione delle Giornate cinematografiche di Soletta.

La diffusione del documentario è stata occasione di dibattito tra i membri delle diverse associazioni. Da questo scambio di idee è nato un secondo filmato intitolato “L’altra cosa”.

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