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Una legge per evitare il fallimento delle grandi banche

La ministra delle finanze elvetica ha presentato mercoledì il nuovo disegno di legge "too big to fail". Reuters

Il Consiglio federale ha licenziato mercoledì un messaggio sulle misure volte a impedire che in futuro la Confederazione debba intervenire per evitare il fallimento delle grandi banche. Tuttavia, una legge più severa di quanto stabilito nell’accordo di Basilea III non piace a UBS e alla destra.

«Da nessuna altra parte, le banche sono tanto rilevanti dal punto di vista sistemico quanto lo sono in Svizzera», ha affermato la ministra delle finanze svizzera Eveline Widmer-Schlumpf durante la conferenza stampa a Berna.

Infatti, per la piazza finanziaria elvetica, UBS e Credit Suisse svolgono un ruolo fondamentale. Sono talmente importanti per la stabilità economica della Svizzera, che lo Stato non può permettersi la loro bancarotta. In poche parole, le due banche sono troppo grandi per fallire (too big to fail).

Poche modifiche al testo in consultazione

È un concetto che anche l’ex consigliere delle finanze elvetico Hans-Rudolf Merz ha espresso nel dicembre 2008: «L’UBS ha un’importanza economica rilevate per la Svizzera. Stabilizzando la sua situazione, si stabilizza anche tutta la piazza finanziaria», ha affermato Merz in parlamento, durante le discussioni in merito al piano di salvataggio di UBS, costato 6 miliardi di franchi alla Confederazione e 62 miliardi alla Banca nazionale svizzera.

Ed è proprio la fondamentale importanza di questi giganti bancari per la piazza finanziaria elvetica che sta alla base del problema “too big to fail”. A questo proposito, il Consiglio federale aveva incaricato nel novembre 2009 una commissione di esperti affinché trovasse una soluzione per stabilizzare il sistema e impedire che lo Stato, e di riflesso i contribuenti, dovessero nuovamente intervenire per salvare dal fallimento tali banche.

Il disegno di legge, che verrà dibattuto in parlamento nella sessione estiva e autunnale, si rifà in ampia misura proprio sul rapporto di questa commissione, presentato a fine settembre 2010. «La nuova normativa consiste di quattro punti principali e non ha subito grandi modifiche rispetto al testo posto in consultazione il dicembre scorso», ha ricordato Widmer-Schlumpf.

Più fondi propri, misure fiscali e controllo

In sostanza, il progetto propone che le grandi banche, ossia quelle il cui dissesto danneggerebbe notevolmente l’economia e il sistema finanziario svizzero, rispettino alcune misure fondamentali. Prima di tutto, dovranno rafforzare i fondi propri affinché siano in grado di affrontare un’eventuale crisi finanziaria senza far capo all’aiuto statale. A questo proposito, saranno importanti le cosiddette CoCos, ossia obbligazioni convertibili in capitale proprio. La legge non definisce tuttavia l’entità di tali fondi propri. Sarà l’ordinanza a regolare questi dettagli, ha ricordato Eveline Widmer-Schlumpf.

Inoltre, il Consiglio federale propone misure fiscali di accompagnamento volte a rafforzare il mercato svizzero. Concretamente, si tratta della soppressione della tassa d’emissione sulle obbligazioni e sui titoli del mercato monetario e l’esenzione dei diritti di partecipazione dalla tassa d’emissione. Stando alla ministra delle finanze elvetica, queste disposizioni dovrebbero garantire entrate maggiori pari a circa 220 milioni di franchi all’anno.

Il nuovo testo di legge inasprisce anche le esigenze relative alla liquidità, garantendo così che le banche di rilevanza sistemica dispongano di sufficiente liquidità anche in caso di crisi per almeno trenta giorni. Oltre a ciò, la normativa vuole ridurre le interconnessioni all’interno del settore bancario con una migliore ripartizione dei rischi. In tal modo, si diminuirebbe la dipendenza delle altre banche da quelle “too big to fail”.

La revisione definisce inoltre le misure organizzative che le banche dovranno adottare al fine di garantire il funzionamento, come il traffico dei pagamenti, le operazioni di deposito e di credito, anche in caso di insolvenza. Nell’ipotesi in cui una banca sistemica dovesse ricorrere all’aiuto statale nonostante queste rigorose normative, la Confederazione si è premunita affinché possa controllare il versamento di bonus ai suoi dirigenti, ciò che è così avvenuto invece con l’UBS nel 2008.

Un occhio piange, l’altro ride

Le reazioni al messaggio del Consiglio federale da parte dei partiti, degli istituti bancari e dei sindacati non si sono fatte attendere. Se da una parte tutti i partiti sono unanimi nell’affermare che una maggiore regolamentazione era necessaria, dall’altra i partiti borghesi si sono detti preoccupati per la piazza finanziaria elvetica poiché la nuova legge sulle banche va ben al di là della normativa europea. L’UDC, da parte sua, ha espresso dei dubbi sull’intero testo, definendolo “non equilibrato” e “non completo”.

Per l’Unione sindacale svizzera, invece, il messaggio non è sufficientemente restrittivo in materia di fondi propri. Critica inoltre la soppressione da parte del Consiglio federale della tassa d’emissione sul capitale di terzi poiché aumenta il rischio di indebitamento delle banche.

Dal canto suo, l’Associazione svizzera dei banchieri (ASB) si augura delle risposte più precise da parte del Consiglio federale affinché la competitività a livello internazionale di UBS e Credit Suisse sia garantita. Giudica inoltre “troppo vago” il rapporto annuale, che dovrebbe garantire un’adeguata modifica delle disposizioni in vigore nella Confederazione rispetto agli sviluppi internazionali.

Gli accordi di Basilea definiscono i requisiti patrimoniali delle banche stabiliti dal comitato di Basilea, costituito dagli enti regolatori delle banche mondiali allo scopo di garantire la stabilità monetaria e finanziaria.

I requisiti di capitalizzazione delle banche sono stati fissati nel 1988 con l’accordo sul capitale minimo delle banche, noto appunto come “accordo di Basilea”. Con il passare degli anni, l’intesa si è rivelata inadatta a fronteggiare le nuove sfide legate ai prodotti finanziari, ai mercati bancari e alle tecniche di gestione dei rischi.

Di conseguenza, nel 2007 è entrato in vigore un nuovo accordo sui requisiti minimi di capitale (Basilea 2): la nuova intesa fissava il coefficiente di solvibilità all’8%. Tale coefficiente definisce l’ammontare minimo di capitale che le banche devono possedere in rapporto al complesso delle attività ponderate in base al loro rischio creditizio.

Basilea 3, adottato nel settembre 2010 dal comitato dei governatori delle banche centrali, va più in là, aumentando in particolare i fondi propri minimi delle banche. Il tasso di solvibilità rimarrà fissato all’8%, mentre il common equity (il nocciolo duro del capitale costituito dalle azioni ordinarie e dagli utili non distribuiti) salirà dall’attuale 2% al 3,5% nel 2013 e al 4,5% a fine 2018. Il Tier 1 (azioni ordinarie, utili non distribuiti e obbligazioni perpetue) passerà invece dal 4 al 6%.

(con la collaborazione di Etienne Strebel)

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