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Un nuovo voto sulla libera circolazione delle persone

La libera circolazione non è una strada a senso unico: dal 2002 anche gli svizzeri possono lavorare liberamente nei paesi dell'UE Keystone

L'8 febbraio gli svizzeri sono chiamati a esprimersi sulla prosecuzione dell'accordo sulla libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea e sulla sua estensione a Romania e Bulgaria. In gioco c'è tutto l'impianto degli accordi bilaterali.

Per la terza volta nel giro di pochi anni, il popolo svizzero deve pronunciarsi sull’apertura del mercato del lavoro ai cittadini dell’Unione europea. Ambienti della destra nazional-conservatrice hanno lanciato con successo il referendum contro il decreto che riunisce entrambe le questioni, proroga ed estensione.

La via dei bilaterali

La scelta di un avvicinamento all’Unione europea attraverso accordi bilaterali settoriali è una conseguenza del rifiuto dei cittadini svizzeri di aderire allo Spazio economico europeo nel dicembre del 1992.

In seguito a quella scelta, il governo svizzero ha intavolato trattative con Bruxelles per evitare l’isolamento economico del paese, garantire alle imprese svizzere un accesso adeguato al mercato unico europeo e impedire una loro discriminazione rispetto ai concorrenti europei.

Le trattative hanno condotto nel 1999 alla firma di un primo pacchetto di sette accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Unione europea. Tra di essi figura l’accordo sulla libera circolazione delle persone.

Consenso popolare

Il pacchetto è stato approvato in votazione popolare l’anno successivo. L’accordo sulla libera circolazione è entrato in vigore nel giugno del 2002. Tre anni dopo il popolo svizzero si è di nuovo espresso su questo tema, accettando l’estensione dell’accordo ai dieci paesi che hanno aderito all’UE nel 2004.

L’accordo prevede che i cittadini europei possano vivere e lavorare senza particolari restrizioni in Svizzera e viceversa che i cittadini svizzeri possano lavorare alle stesse condizioni nei paesi dell’UE.

La libera circolazione non è tuttavia incondizionata. Le persone che vogliono lavorare in un altro paese devono essere in possesso di un contratto di lavoro o dimostrare che esercitano un’attività indipendente. Chi non esercita un’attività lucrativa deve dar prova di disporre di risorse finanziarie sufficienti per mantenersi.

Fase di prova

Nel frattempo, la libera circolazione delle persone è diventata completa con i 15 paesi che facevano parte dell’Unione europea al momento della firma dell’accordo nel 1999 e per Malta e Cipro. Per gli altri paesi entrati in seguito nell’UE vige ancora, fino al 2011, un sistema di contingenti.

L’accordo sulla libera circolazione prevede per la Svizzera una fase di prova di dieci anni dalla firma (sette anni dall’entrata in vigore), scaduti i quali il paese deve decidere se confermare l’accordo o rescinderlo.

Nello stesso tempo, la Svizzera deve decidere se estendere l’accordo alla Bulgaria e alla Romania. Anche in questo caso, per un periodo di sette anni saranno in vigore dei contingenti. Una clausola di salvaguardia permette di reintrodurre dei contingenti anche in seguito, in caso di forte immigrazione.

Contrariamente alla proposta del Consiglio federale, il parlamento ha deciso di unire le due questioni in un solo decreto. Secondo la maggioranza delle camere, non è infatti realistico pensare che l’UE accetti di mantenere la libera circolazione delle persone con la Svizzera se questa non intende estenderla ai nuovi paesi membri.

Contro il pacchetto unico

Questa interpretazione è stata fortemente contestata dalla destra, che voleva un voto distinto sui due temi. Il pacchetto unico ha creato qualche scompiglio fra le sue file: l’Unione democratica di centro (UDC) ha rinunciato a lanciare un referendum, ritenendo impossibile una vera scelta.

Le firme contro il decreto sono state tuttavia raccolte con successo dai giovani UDC, dalla Lega dei ticinesi e dai democratici svizzeri. Una volta riuscito il referendum, anche l’UDC ha deciso a larga maggioranza di sostenerlo, schierandosi dunque contro la prosecuzione dell’accordo sulla libera circolazione delle persone.

La clausola ghigliottina

La votazione dell’8 febbraio non mette in questione però solo la libera circolazione delle persone. In gioco c’è l’intero impianto degli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Unione europea. Un no al decreto sulla libera circolazione farebbe infatti scattare la cosiddetta «clausola ghigliottina».

Come detto, l’accordo sulla libera circolazione delle persone fa parte di un pacchetto di sette accordi bilaterali. Non è possibile sceglierne solo una parte. Se uno degli accordi è respinto, tutti gli altri sono annullati. Un no potrebbe avere conseguenze anche sul secondo pacchetto di accordi bilaterali negoziati con l’UE e in particolare sull’accordo relativo allo spazio di Schengen.

Timori e opportunità

Per i fautori dell’accordo, tra cui si ritrova anche buona parte dell’imprenditoria elvetica, gli effetti benefici della libera circolazione della persone sulla crescita economica in Svizzera sono indiscutibili. L’accordo avrebbe permesso di creare nuovi posti di lavoro, contribuendo ad attirare in Svizzera manodopera qualificata.

La destra nazional-conservatrice paventa invece gli effetti dell’immigrazione sul tasso di occupazione, sui salari e sulle istituzioni sociali svizzeri. Anche l’argomento della sicurezza è evocato in relazione all’estensione della libera circolazione a Romania e Bulgaria.

A sinistra e fra i sindacati non sono assenti preoccupazioni sulla pressione esercitata sui salari dall’apertura del mercato del lavoro. Prevale però la valutazione positiva sulle misure di accompagnamento ottenute in cambio di un sostegno alla libera circolazione delle persone.

La difficile situazione congiunturale e il timore di una perdita del posto di lavoro potrebbe tuttavia andare a vantaggio degli avversari della libera circolazione.

swissinfo, Andrea Tognina

L’accordo sulla libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea apre progressivamente i mercati del lavoro e rende più facile ai cittadini svizzeri stabilirsi sul territorio dell’UE e ai cittadini dell’UE stabilirsi sul territorio svizzero.

L’accordo è limitato a sette anni. Ora si tratta di decidere se rinnovarlo a tempo indeterminato dopo il 2009 ed estenderlo ai due nuovi Stati membri dell’UE, Bulgaria e Romania. Contro il relativo decreto federale, che unisce i due aspetti della questione, è stato lanciato il referendum.

Gli avversari dell’accordo temono gli effetti dell’immigrazione sui salari e sulla previdenza sociale in Svizzera, i suoi fautori ne sottolineano l’effetto positivo sulla crescita economica. Un no all’accordo potrebbe far scattare la cosiddetta «clausola ghigliottina» e condurre quindi all’annullamento di tutto il primo pacchetto di accordi bilaterali tra Svizzera e UE.

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