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TPF: tentò attentato in un giornale, condannato a dieci anni

Il Tribunale penale federale a Bellinzona Keystone/KEYSTONE/TI-PRESS/CARLO REGUZZI sda-ats

(Keystone-ATS) Il Tribunale penale federale di Bellinzona ha condannato a dieci anni di reclusione un 41enne con doppia cittadinanza svizzera e macedone accusato di aver cercato di perpetrare nel 2002 un attentato a Zurigo contro il giornale albanofono “Bota Sot”.

L’imputato è stato riconosciuto colpevole di ripetuto tentato assassinio. L’accusa chiedeva undici anni di reclusione, mentre la difesa si era battuta per l’assoluzione. Una pena pecuniaria è stata inoltre inflitta per infrazione alla legge sulle armi.

L’uomo era accusato di aver voluto uccidere i membri della redazione del quotidiano con un pacchetto esplosivo contenente una bomba a mano a frammentazione nascosta in una fornitura di vino, inviata al caporedattore da un ufficio postale di Zurigo-Oerlikon il 26 settembre 2002 e recapitata il giorno seguente.

Nel corso del dibattimento svoltosi in agosto l’uomo ha ammesso di aver mandato il pacchetto con la granata, di fabbricazione russa. A suo avviso questa non era però in grado di funzionare. Si trattava solo di “dare una lezione”, facendo paura ai redattori: mai vi è stata la volontà di uccidere, ha fatto presente il difensore. A suo avviso manca quindi la componente soggettiva del reato. Quello che rimane è la minaccia: questa è sì di per sé punibile, ma nel frattempo è caduta in prescrizione.

Stando al Ministero pubblico della Confederazione (MPC) l’inchiesta ha però messo in luce che l’ordigno era, al contrario, perfettamente funzionante: il meccanismo di detonazione a tempo non si è attivato solo perché il pacchetto era stato aperto lateralmente e non dall’alto, secondo la procura. La Corte ha ritenuto poco plausibili le affermazioni dell’imputato e ha seguito le indicazioni dei procuratori.

L’imputato sosteneva di aver preparato il pacco bomba da solo in seguito a uno choc emotivo. In precedenza aveva visto un documentario sul massacro della popolazione civile in Kosovo. A suo dire, “Bota Sot” aveva indicato durante la guerra le vie di fuga della popolazione, ciò che aveva portato ai massacri.

Il fatto che gli inquirenti siano riusciti a risalire al 41enne, 15 anni dopo i fatti, è dovuto al caso. Nel dicembre 2016 l’uomo era infatti rimasto coinvolto in una rissa di fronte a un locale di Zurigo: era stato prelevato un campione di DNA ed era stato notato che corrispondeva alle tracce trovate sul pacchetto.

Il 31 gennaio erano scattate le manette: l’arresto era avvenuto sul posto di lavoro. L’uomo ha sempre sostenuto di aver agito da solo e di non avere complici. La bomba a mano, stando all’atto d’accusa, sarebbe stata un regalo per il servizio prestato nel 2001 nei ranghi dell’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK): l’uomo l’avrebbe portata in Svizzera in auto attraversando la frontiera a Chiasso, per poi inizialmente esporla nel salotto di casa.

Durante la perquisizione della sua abitazione la polizia aveva trovato anche una pistola con le relative munizioni. Secondo l’imputato l’arma era venuta alla luce durante i lavori di ristrutturazione della sua casa.

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