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Aztechi decimati dalla Salmonella, lo dimostra il DNA antico

(Keystone-ATS) Fu la febbre tifoide scatenata da un ceppo letale di Salmonella, a sterminare le popolazioni indigene di Messico e Guatemala dopo l’arrivo dei Conquistadores europei nel XVI secolo.

A dimostrarlo sono le tracce di Dna del microrganismo rinvenute nei resti delle vittime dell’epidemia (chiamata ‘cocoliztli’, in lingua azteca) che colpì l’America centrale tra il 1545 e il 1550.

Le hanno analizzate i ricercatori dell’Istituto Max Planck di Jena, in Germania, che pubblicano i risultati sulla rivista Nature Ecology and Evolution in collaborazione con l’Università di Harvard e l’Istituto messicano di antropologia e storia.

I ricercatori hanno esaminato i resti di 29 indigeni uccisi dal morbo letale e sepolti nel cimitero della città messicana di Teposcolula-Yucundaa, abbandonata dopo l’epidemia. Dopo aver estratto il Dna antico dalle ossa, gli esperti hanno usato un innovativo programma che permette di cercare ad ampio spettro ogni genere di Dna batterico.

Questo metodo di screening ha evidenziato tracce di Salmonella enterica in 10 campioni. Successivamente, grazie ad un metodo di arricchimento del Dna ideato apposta per questo studio, è stato possibile ricostruire integralmente i genomi dei vari ceppi del microrganismo: in 10 dei 29 defunti sono state trovate sottospecie di Salmonella enterica responsabili della febbre tifoide.

“Questo è un passo avanti molto importante per la ricerca sulle malattie dell’antichità”, afferma la ricercatrice Kirsten Bos, tra gli autori dello studio che lo scorso febbraio era già comparso su bioRxiv (l’archivio digitale che raccoglie le bozze degli articoli scientifici su temi biologici non ancora revisionate dalle grandi riviste internazionali). “Ora – continua l’esperta – possiamo cercare tracce molecolari di vari agenti infettivi nei resti archeologici, cosa fondamentale quando la causa della malattia non è nota a priori”.

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