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Attaccata ambasciata Israele ad Amman. Retata anti-Hamas

Attaccata ambasciata Israele ad Amman. Retata anti-Hamas (foto d'archivio). KEYSTONE/EPA/AHMAD ABDO sda-ats

(Keystone-ATS) Dopo tre giorni di scontri a Gerusalemme est e in Cisgiordania per la Spianata delle Moschee, Israele mette nel mirino le organizzazioni islamiche, in particolare Hamas, ritenendole le principali fomentatrici delle violenze.

In un clima di tensione crescente, in Giordania ieri sera in una sparatoria nell’ambasciata israeliana ad Amman sono rimasti uccisi due cittadini giordani, mentre un israeliano è rimasto ferito in modo grave.

Secondo il ministero degli Esteri israeliano l’incidente è avvenuto in un appartamento vicino all’ambasciata, dove veniva sostituito il mobilio alla presenza del suo proprietario. Uno dei manovali ha colpito alla schiena con un cacciavite un agente israeliano di sicurezza il quale, rimasto ferito in modo non grave, ha subito reagito in autodifesa. Il manovale è stato ucciso, mentre il proprietario dell’appartamento è rimasto ferito ed è morto in un secondo tempo. Secondo il ministero degli Esteri l’agente beneficia di immunità diplomatica. Non è chiaro al momento se l’agente di sicurezza e gli altri funzionari diplomatici si trovino tuttora ad Amman.

In un blitz notturno, l’esercito israeliano ha arrestato numerosi alti esponenti di Hamas in Cisgiordania, fra cui un ex ministro, un parlamentare e cinque miliziani liberati anni fa nel contesto di uno scambio di prigionieri. La reazione di Hamas è stata di sfida aperta: “Questa massiccia campagna di arresti – ha tuonato Abdel Rahman Shedid – è la dimostrazione migliore che le forze di occupazione stanno perdendo il controllo della situazione”.

Mentre la Turchia cerca di mobilitare l’opinione pubblica islamica sulla questione della Spianata, Israele sta sondando il terreno con Paesi arabi moderati, fra cui Egitto e appunto Giordania, nel tentativo di escogitare una soluzione che da un lato consenta di rimuovere i metal detector, ma dall’altro garantisca che al suo interno non vengano più trafugate armi.

Dall’estero si moltiplicano gli appelli alla calma. Fra tutti spicca quello del Papa, che ieri ha lanciato un’invocazione “alla moderazione e al dialogo” e ha pregato “affinché il Signore ispiri a tutti propositi di riconciliazione e di pace”.

Nonostante la fiammata in serata dell’attentato in Giordania, il volume delle proteste è andato ieri declinando. Incidenti sporadici sono stati segnalati in alcune località cisgiordane ma il numero dei feriti è calato in maniera sensibile. Da Gaza due razzi sono stati sparati verso Israele nelle ultime 24 ore, ma nessuno dei due ha provocato vittime.

Il ministro degli Interni Arye Deri, un ebreo ortodosso, ha fatto presente che dai metal detector passano anche gli israeliani. Anche fra di loro, ha detto, potrebbero annidarsi pericolosi attentatori, che vanno neutralizzati per tempo. Il premier israeliano Benyamin Netanyahu si trova in una situazione non facile, privo inoltre di sostegni che in passato si erano rivelati utili: quello della diplomazia Usa, ora piuttosto abulica, e quello dell’Anp.

Intanto in Israele prevale un clima di cordoglio. Migliaia di persone hanno seguito nel cimitero di Modi’in, a est di Tel Aviv, i feretri dei tre israeliani – un padre di 70 anni e i due figli di 46 e 35 anni – assassinati da un giovane palestinese nell’insediamento di Halamish, in Cisgiordania. L’uomo ucciso lascia cinque orfani. La casa dell’attentatore – un sostenitore di Hamas che è stato arrestato – sarà rasa al suolo “il più presto possibile”, ha promesso Netanyahu.

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