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A cosa serve il Trattato sul commercio delle armi?

Il Trattato internazionale sul commercio delle armi suscita speranze di un rafforzamento della lotta contro i traffici illeciti. Ma non mancano nemmeno gli scettici sul suo reale impatto. Reuters

Il Trattato internazionale sul commercio di armi terrà la prima conferenza degli Stati contraenti alla fine di agosto in Messico. La Svizzera spera di ottenere il Segretariato del nuovo Trattato a Ginevra. Ma a cosa serve, visto che in Medio Oriente, per esempio, degli Stati ne armano altri e dei gruppi ribelli commettono atrocità contro i civili?

“Per la prima volta, uno strumento internazionale giuridicamente vincolante obbliga i paesi che esportano armi a fare una valutazione prima di autorizzare le esportazioni. E ciò rispettando determinati criteri definiti da questo strumento, il Trattato sul commercio delle armi (TCA)”, commenta Marc Finaud, esperto di disarmo presso il Centro di politica di sicurezza (GCSP), una delle tante istituzioni – a Ginevra – attive per la pace, la sicurezza e il disarmo.

Tali criteri si basano in particolare sul diritto internazionale umanitario (Convenzioni di Ginevra), la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione universale dei diritti umani. L’obiettivo è di responsabilizzare gli attori del commercio legale e impedire quello illegale, destinato a gruppi terroristici o alla criminalità organizzata.

Mercato fiorente

Finora firmato da 130 paesi e ratificato da 72 di essi, il trattato dovrebbe sorvegliare un mercato delle armi fiorente: dal 2009 il suo commercio internazionale oscilla tra 30 e 40 miliardi di dollari all’anno, mentre la spesa militare mondiale si aggira sui 1’700 miliardi di dollari all’anno, pari al 2,6% del prodotto interno lordo mondiale.

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“Tra i primi clienti dei principali esportatori di armi, ci sono paesi del Medio Oriente, una zona di conflitto dove non mancano le risorse”, osserva Marc Finaud.

“Ma la tendenza degli ultimi anni ha spostato l’asse di questo commercio verso l’Asia. In cinque anni, quel continente ha sostituito il Medio Oriente al primo posto delle aree di importazione. Ciò si spiega con le tensioni causate dai numerosi conflitti di confine” (soprattutto tra la Cina e molti dei suoi vicini, preoccupati dalle rivendicazioni territoriali di Pechino nel Mar della Cina, Ndr), aggiunge l’ex diplomatico francese.

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Si può parlare di corsa agli armamenti? In parte, risponde Marc Finaud: “C’è una gara tra gli esportatori. Nessuno fa concessioni. Se un paese rinuncia a vendere determinata armi, un altro lo sostituisce”, rileva. “Perciò è importante responsabilizzare gli attori di questo commercio”.

Di fatto, questo accordo internazionale non cerca tanto di ridurre la vendita di armi, bensì a definire più rigorosamente le condizioni per la concessione di licenze di esportazione e darsi i mezzi per verificare il loro rispetto.

La virtù principale del TCA è quella di voler imporre una certa trasparenza in un commercio che preferisce l’ombra e l’opacità. È però necessario che la sostanza trattato non si volatilizzi nei negoziati sulla sua attuazione e le sue regole di funzionamento. Questa è la sfida della prima Conferenza internazionale degli Stati parte, che si terrà dal 24 al 27 agosto a Cancún (Messico).

“Gli Stati favorevoli fanno dei compromessi con coloro che vogliono limitare la portata del trattato. Degli Stati che hanno firmato per poi poter limitare il campo di applicazione ”

Guai diluirlo!

Delle organizzazioni non governative (Ong) sono preoccupate. Ciò è il caso di Amnesty International, indica Alain Bovard della sezione svizzera. “Ci siamo battuti per vent’anni per questo trattato, affinché porti trasparenza su tutti i trasferimenti di armi. E vediamo che gli Stati favorevoli fanno dei compromessi con coloro che vogliono limitare la portata del trattato. Degli Stati che hanno firmato per poi poter limitare il campo di applicazione”, insorge.

Il difensore dei diritti umani precisa il suo pensiero: “La Danimarca ha presentato una proposta per una totale partecipazione delle Ong. Una proposta sostenuta da diversi paesi africani. Ma paesi come la Francia e la Germania si sono chiaramente opposti. Il Regno Unito è stato il primo paese europeo a sostenere il principio di questo trattato. Questo ha accelerato il sostegno degli Stati. Ma nel paese è cambiata la maggioranza e il governo attuale ha una posizione più discreta sul tema”.

Capo della delegazione svizzera alla conferenza di Cancún, Erwin Bollinger vede le cose diversamente. “I paesi che hanno ratificato il trattato lo volevano assolutamente. I recalcitranti sono quelli che non lo hanno firmato

Primo esportatore di armi con oltre la metà delle vendite mondiali, gli Stati Uniti hanno firmato il trattato, ma non l’hanno ancora ratificato. “Washington deve comunque tenere conto del trattato”, sostiene il responsabile del coordinamento dei controlli sulle esportazioni e delle sanzioni presso la Segreteria di Stato dell’economia (SECO).

“Per la Russia e la Cina, non sono ancora maturi i tempi per firmare. Ma il fatto che altri grossi esportatori, come Germania, Francia e Regno Unito, hanno aderito al trattato gli darà una certa autorità e probabilmente influenzerà paesi come la Russia ad adeguarsi – almeno in parte – agli obblighi di base del trattato”, prosegue Bollinger.

“Il trattato vieta le esportazioni in aree in cui le armi possono essere usate per crimini di guerra” 

La Svizzera, che ha ratificato il trattato nel gennaio 2015 è “per un approccio aperto, che inglobi la società civile e altri osservatori, come le organizzazioni internazionali e regionali. Ma altri paesi preferiscono che certe discussioni delicate non siano pubbliche sin dal principio, altrimenti c’è il rischio che alcuni paesi non giochino la carta della trasparenza. Ma la Svizzera si impegnerà per una soluzione più aperta possibile”, afferma l’esperto della SECO.

Impatto incerto

La storia recente è costellata di atrocità commesse da gruppi ribelli, armati – direttamente o indirettamente – dai principali produttori di materiale bellico, sia in Medio Oriente che in Africa.

Il TCA cambierà la situazione? Marc Finaud crede di sì. “Il trattato vieta le esportazioni in aree in cui le armi possono essere usate per crimini di guerra. I paesi esportatori e intermediari hanno l’obbligo di informarsi. La società civile avrà un ruolo di vigilanza”.

Niente è meno certo, ribatte Alain Bovard: “Il problema è sapere quali dati gli Stati saranno obbligati a rendere pubblici e quali saranno forniti solo su base volontaria. Numerosi Stati vogliono pubblicare soltanto dati minimi. La piena trasparenza voluta dal trattato è dunque rimessa in gioco”.

Segretariato a Ginevra?

Alla conferenza di Cancún si dovrà anche scegliere la sede del Segretariato del Trattato sul commercio delle armi. In corsa vi sono tre candidate: Ginevra, Vienna e Port of Spain (Trinità e Tobago).

Secondo il capo della delegazione svizzera, Erwin Bollinger, Port of Spain gode del maggior numero di sostenitori. Ma provengono principalmente dai paesi latino-americani. Ginevra, invece, ha l’appoggio di diverse regioni, in particolare dell’Africa.

In favore di Ginevra vi sono i seguenti fattori: ha il maggior numero di missioni diplomatiche, più un certo numero di Ong, think tank e istituzioni delle Nazioni Unite legate alla questione del disarmo. Ciò rende possibili delle sinergie e consente di ridurre le spese di segreteria.

Ginevra ospita pure la Conferenza sul disarmo e il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), nonché l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO).

Il TCA interessa molti settori e va ben oltre il campo del disarmo in senso stretto. La diversità degli aspetti che riguardano il trattato, secondo Erwin Bollinger, giocano in favore di Ginevra come sede del segretariato.

Ma anche Vienna, altra sede ONU, ha degli assi nella manica. In particolare la presenza dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA), che si basa su un trattato simile allo spirito del TCA.

swissinfo.ch

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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