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La coca dei narcos che sarebbe dovuta passare dalla Svizzera

pacchi di cocaina
La cocaina, prodotta in Colombia, sarebbe dovuta passare dal Brasile e dal Brasile all'Italia via la Svizzera. (nella foto un maxi sequestro di coca effettuato alcuni anni fa in Colombia) Keystone

L'operazione "Brasile Low Cost" ha permesso di smantellare a fine gennaio un traffico di droga tra il Sudamerica e l'Italia, che sarebbe dovuto passare dalla Svizzera. A tirare i fili era il clan romano dei Casamonica.

È un pomeriggio di sole estivo. Due uomini scendono dall’Eurocity e camminano a passo svelto lungo i binari. Arrivano da Roma e hanno fretta di raggiungere un bistrot poco distante dalla stazione di Sion, in Vallese. Si siedono al tavolino con un signore e appena si accomodano iniziano subito a parlare di affari: “Noi siamo pronti, prontissimi! Stiamo spendendo 4,5 milioni di euro calcola…”

La delegazione arrivata in Svizzera gioca in grande. Ha contatti diretti con i narcos colombiani ed è capace di importare tra le 5 e le 7 tonnellate all’anno di cocaina via Brasile. Ha solo bisogno di far atterrare un aereo in un posto sicuro e nulla appare essere più adatto dell’aeroporto di Sion nel Cantone Vallese. Il carico può arrivare lì.

aereo su una pista d atterraggio
Incastonato tra le Alpi, l’aeroporto di Sion si trova a circa un’ora di auto dal confine italiano. © KEYSTONE / OLIVIER MAIRE

A tirare le fila è Salvatore Casamonica. Ha poco più di quarant’anni ed è il fratello di ‘don’ Peppe detto Bìtalo, ritenuto dagli inquirenti uno dei capi del clan. I Casamonica: un migliaio di affiliati e un patrimonio stimato in quasi cento milioni di euro.

Arrivati nei primi anni Sessanta dal Molise e dall’Abruzzo come venditori di cavalli, nella Capitale hanno costruito un impero. Da braccio armato di criminali sono passati al racket e all’usura per conto proprio, ai capitali ripuliti nel settore immobiliare e automobilistico e al traffico di droga. Un’ascesa inarrestabile celebrata dalle esequie trionfali di Vittorio con tanto di carrozza, elicottero e acclamazione a re di Roma sulle note de ‘Il Padrino’.

Una rete molto estesa

Salvatore ha a disposizione un cartello colombiano che lavora in esclusiva per lui e contatti consolidati con la criminalità organizzata di altri paesi. Lo affianca il serbo montenegrino, Tomislav Pavlovic. Uno che faceva paura persino a Massimo Carminati, il boss di Mafia Capitale: quelli sono tipi che “prendono la pistola e sparano…brutti forti”. Pavlovic che posta foto sui social quando sorvola São Paulo, spara al poligono, mostrando orgoglioso di aver centrato più volte la sagoma, e nel frattempo organizza la spedizione del carico. E poi un albanese, Dorian Petoku, ha trent’anni e su Instagram esibisce soldi, gioielli, due pistole semiautomatiche e i cellulari che gli permettono conversazioni sicure.

Per comunicare Salvatore ha fornito alla sua squadra solo telefoni BlackBerry criptati con sim card olandesi procurate da un suo collaboratore slavo e, soprattutto, il dispositivo BQ Aquaris. “Possiamo dirci quello che vogliamo, perché questo non è rintracciabile, si paga 1’500 euro ogni sei mesi per i messaggi che si cancellano dopo sette giorni in automatico. Io con questo parlo con tutto il mondo, non puoi lavorare se non hai questi telefoni”, spiega. Di più: “Nessuno può entrare nel nostro sistema perché è a uso militare”.

È una delle più recenti tecnologie utilizzate dalla criminalità organizzata: un dispositivo che, con una modifica del nucleo del sistema operativo, raggiunge in rete tutti gli altri utenti collegati su una chat crittografata e permette la cancellazione dei messaggi dal telefono di un altro utente digitando un pin.

Salvatore è uno accorto, lascia spesso l’altro telefono, quello conosciuto da tutti e forse anche dalle “guardie”, in un luogo diverso da quello in cui si trova, così da simulare un diverso posizionamento. E infatti, l’utenza italiana a lui intestata quando è a Sion, rimane sotto le celle di Roma.

Agente infiltrato

Mille astuzie per non essere ‘beccato’. Peccato che ad essere seduto di fronte a lui, in quel caffè tra le valli della Svizzera, non sia un funzionario aeroportuale corrotto pronto ad assicurare il “transito sereno”, ma un agente undercover dell’agenzia CRIS, Centrale Romande pour l’Investigation Secrète di Ginevra. E così il grande affare va in fumo.

A condurre le indagini insieme agli svizzeri ci sono i militari della Guardia di Finanza capitolina, poliziotti sudamericani e l’agenzia federale antidroga del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. E così a fine gennaio la Direzione Distrettuale Antimafia ha arrestato Salvatore Casamonica e altre quattro persone e bloccato l’ingresso in Europa di 7’000 chili di cocaina purissima.

Era tutto pronto. L’accordo fatto, la droga già impacchettata. Per il trasporto Salvatore Casamonica si sarebbe preso il 20-25% della merce, mentre il resto, una volta arrivato in Italia, sarebbe stato recuperato dai colombiani. Chili e chili di cocaina che Salvatore avrebbe diviso con un’organizzazione camorristica che comanda alla Stazione Garibaldi di Napoli, presumibilmente nell’orbita del clan Mazzarella, e con una ‘ndrina che opera in Lazio. E poi avrebbe provveduto a rifornire fratelli e cugini. Lui è “quello che gestisce proprio il discorso di cocaina, i contatti grossi, che riforniva”, svela un uomo che viene da una famiglia di ‘ndrangheta. 

All’inizio il piano era di far arrivare l’aereo in Italia, all’aeroporto di Roma Ciampino, proprio nella roccaforte dei Casamonica dove vivono in ville con le statue di marmo alte tre metri, i portoni barocchi e dentro i water d’oro zecchino tra i reperti archeologici dei tombaroli. Loro che hanno dichiarazioni del reddito inesistenti. Dimore arredate con un kitsch sfarzoso e grottesco, diventato uno stile autonomo che ha fatto scuola tra i camorristi di ‘Gomorra’.

poliziotto perquisisce l interno di una casa, con in primo piano un giaguaro di ceramica
Gli ‘sfarzosi’ interni di una villa dei Casamonica. guardia di finanza

In quello scalo hanno un’uscita riservata e preferenziale. Manca però chi sia capace di pilotare un aereo dal Sud America. Casamonica ha buoni agganci in ambito internazionale e per risolvere contatta un narcotrafficante francese, in passato detenuto in un carcere di Marsiglia con un suo sodale. L’avevano arrestato con l’accusa di aver trasportato dalla Spagna del prodotto necessario a raffinare la pasta di cocaina.

Il francese conosce un pilota brasiliano che vive in Svizzera, legato sentimentalmente ad un’albanese. Quell’uomo potrebbe fare al caso loro. E così chiama. “Sono persone in gamba?”, chiede conferma Salvatore. Nessuno risponde, ma l’utenza è intestata a un macedone che gestisce un night, il cui padre ha un divieto di dieci anni di entrare in territorio elvetico. Il francese però nel frattempo vuol cambiare vita e decide di collaborare con la Guardia di Finanza. Inizia la sua nuova missione da infiltrato nell’organizzazione. Segue passo passo le istruzioni che gli vengono date e tesse la ragnatela. La trappola è pronta.

Porta con sé un pilota, Robert Miller. In realtà è anche lui un agente sotto copertura della DEA, la Drug Enforcement Administration americana. E iniziano a registrare tutto. “Basta che lo sappiamo il giorno prima”, perché non ci sono problemi ad aggirare i controlli a Ciampino, “non serve niente, basta che scendono con i bagagli, noi siamo più del cento per cento, noi lo possiamo fare”, conferma il braccio destro di Casamonica. Si chiama Silvano Mandolesi ed è in rapporti con criminali napoletani e calabresi che operano fino in Belgio, ed è nella partita per importare non solo cocaina ma anche 600 litri di anidride acetica, una sostanza chimica precursore dell’eroina. Il pilota incalza, manifesta perplessità, ma quello lo rassicura “non gli domandano niente, nessuno chiederà nulla, si prende le borse e se lo porta via”.

Aggirare i controlli a Ciampino? “Basta che lo sappiamo il giorno prima, non serve niente”

Per stringere gli accordi se ne vanno sul colle più alto di Roma, in un hotel super lusso con un ristorante tre stelle Michelin. Dalla hall Salvatore comunica con il suo telefonino criptato in tempo reale l’evolversi della riunione. La droga in Sudamerica è già pronta bisogna solo organizzare il viaggio. Pavlovic rassicura, è lui a programmare la partenza dal Brasile e da Santo Domingo “che è come casa mia, è molto facile”. E avverte il pilota, perché deve capire con chi ha a che fare. Una volta preso l’impegno non ci si può tirare indietro, loro sono “gente molto pericolosa”.

Ciampino improvvisamente non va più bene

Poi qualcosa non torna, l’affare si complica. “La notizia di questa cazzo di uscita ce l’ha più di qualcuno”, viene a sapere Salvatore che inizia a non fidarsi più della sicurezza dello scalo di Ciampino. Bisogna trovare un’alternativa. E così il francese, istruito dalla Guardia di Finanza, dice di aver conosciuto una persona in grado di far uscire la droga dalla Svizzera e portarla a Milano.

In un caffè alla moda in piazza della Scala, all’ombra della Madunina, partono le trattative con lo svizzero, per importare immediatamente una prima parte: 600 chili intanto, poi a seguire dai 1’500 in su. Casamonica chiarisce allo svizzero che ha trovato anche il velivolo, un Gulfstream 5, e gli invia col telefono sicuro le foto dell’aereo e anche dei panetti già pronti con il marchio del cartello ‘BB’.

A bordo ci metteranno anche due insospettabili giocatori di calcio muniti di visto. La cocaina sarà nascosta nelle valige e il volo farà uno scalo tecnico a Miami. L’adrenalina è a mille, il canale è promettente e navigheranno nei soldi. Perché i chili “possono solo aumentare” confermano. Il serbo montenegrino ha già in mente come ampliare il business, tanto che chiede spavaldo allo svizzero: “Io sono paracadutista, io faccio sport estremi. Io ho aerei di paracadutismo, ma è possibile se ti faccio scendere un aereo sulla pista me lo carichi scarichi in una parte per la prossima volta!?”.

Non appena portata la droga da Sion a Milano ci sarà una staffetta: “Se scende a Roma avrà una macchina dietro e una davanti, coperti tutti i caselli, noi abbiamo la gente poi gli rimane un solo casello, il casello di Roma e basta e là c’è gente nostra”, chiarisce Salvatore. Nella Capitale comandano loro. Si sono piazzati a pochi chilometri dal centro per avanzare tra palazzoni di edilizia selvaggia, sale slot e abbandono. Tollerati da una metropoli sempre più rassegnata e impaurita si sono fatti potenza criminale.

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