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Gran San Bernardo: crocevia di un’ospitalità millenaria

L'ospizio del Gran San Bernardo, uno dei luoghi di passaggio simbolici delle Alpi. Andrea Alborno

L’ospizio che ha visto sfilare Napoleone e i cui cani hanno salvato tanti viaggiatori ha bisogno di diversi milioni per assicurarsi un futuro. Le sue mura millenarie accolgono sempre migliaia di persone, di passaggio o in cerca di spiritualità.

Per i vacanzieri diretti a sud, il Gran San Bernardo è forse prima di tutto un tunnel, lungo 5,8 chilometri, tra il Vallese e la Valle d’Aosta. I viaggiatori meno stressati che scelgono invece di percorrere la strada serpeggiante che porta al passo, conoscono non solo i famosi cani San Bernardo che vegliano sul luogo, ma anche l’atmosfera unica della regione.

Bernard de Menthon (1020 circa – 1081 o 1086), arciduca di Aosta, vedeva arrivare regolarmente dei viaggiatori spossati provenienti dal passo del Mont-Joux, una delle porte di passaggio nord-sud attraverso le Alpi, a 2472 metri. Il passo era considerato tra i più pericolosi d’Europa a causa delle condizioni meteorologiche e delle aggressioni di banditi.

Il futuro San Bernardo fece allora costruire un rifugio, inaugurato verso il 1045 o 1050. Nacque così la comunità religiosa, fondata sul principio dell’ospitalità. Il passo prese il nome di Gran San Bernardo a partire dal XIII o XIV secolo. Un altro rifugio fu fatto costruire sul colle del piccolo San Bernardo, tra la valle d’Aosta e quella di Isère. 

Lunare, selvaggio, desertico e, molto spesso, ricoperto da un manto di neve: a circa 2500 metri di altitudine, il passo del Gran San Bernardo – con i suoi edifici e il suo piccolo lago – non lasciano indifferenti. Un tempo denominato Mont-Joux (Mons JovisCollegamento esterno, in riferimento alla divinità romana Giove), il passaggio era uno dei più pericolosi delle Alpi.

Circa mille anni fa, l’arcidiacono d’Aosta Bernard de Menthon ordinò la costruzione di un rifugio per i viaggiatori e i pellegrini esposti ai banditi e al freddo. La reputazione del luogo e la sua tradizione di accoglienza si diffusero così rapidamente in tutta Europa.

Nel corso dei secoli, il passo è stato valicato da viaggiatori prestigiosi – o spettacolari: il 20 maggio 1800, durante la seconda campagna d’Italia, Napoleone Bonaparte lo ha percorso con 40mila soldati, 5mila cavalli, 50 cannoni e 8 obici.

Se la sua vocazione di accoglienza non è cambiata, l’ospizio deve però rinnovarsi. Come attirare nuovi visitatori in un luogo piuttosto freschino (il record è 21,8 gradi) e aperto al pubblico appena cinque mesi l’anno? È la sfida che hanno colto Annick e Stéphane Boisseaux-Monod, che hanno appena ripreso – con il loro bimbo di un anno – l’albergo-ristorante dell’ospizio, ribattezzato per l’occasione “locanda”Collegamento esterno.

Lo stesso spirito

Assieme ai canonici agostinianiCollegamento esterno, la coppia intende rivitalizzare questi luoghi, con un tocco di calore in più. «Vogliamo creare qualcosa di più ospitale, spiega Annick Boisseaux-Monod. Ma ciò non può funzionare se non abbiamo lo stesso spirito che di fronte».

«Di fronte» c’è l’ospizio, con una chiesa barocca, una cripta, un’esposizione e i luoghi di vita dei canonici e dei loro ospiti, pellegrini o meno. Separati da qualche metro soltanto, l’ospizio e la locanda sono situati ai due lati della strada.

Nel 1925 l’albergo era stato dato in gestione a forestieri, per accogliere ospiti a pagamento, mentre l’ospizio continuava a offrire gratuitamente vitto e alloggio ai pellegrini.

Solidarietà minacciata

Il passo è accessibile su strada da giugno a metà ottobre. L’ospizio offre alloggio a circa 11mila persone e vitto a circa 20mila l’anno. 

Dal 1893, la nuova strada portava infatti al passo migliaia di nuovi visitatori, che alcuni non esitavano a mandare dai canonici, sapendo che l’accoglienza era gratuita. La tradizione di ospitalità minacciava di sprofondare.

Durante il XX secolo, la separazione tradizionale – con le persone giunte in auto alloggiate in albergo e le altre all’ospizio – è diventata artificiale e il dialogo tra i due vicini si è fatto sempre più raro. Simbolo di questo allontanamento: la passerella che collega i due stabili è bloccata, perché trasformata in discarica.

«La riapriremo, assicura Annick Boisseaux-Monod. Vogliamo che torni ad essere un punto di unione. Con le sue vetrate, la passerella permetterà anche la vista sui due versanti del passo. Un altro simbolo di questo luogo che ignora le frontiere, quella tra due paesi, così come tra la chiesa e il mondo esterno.

Cinque milioni circa da trovare

Il “lifting” dei luoghi è stato dapprima dettato da una situazione di emergenza. «Le tubature dell’acqua erano talmente arrugginiti che non lasciavano più passare un filo d’acqua, spiega il canonico José Mittaz, priore dell’ospizio. Anche tutta l’installazione elettrica deve essere rifatta».

La lista dei lavori comprende anche una nuova presentazione degli oggetti del “tesoro” (di culto, ma anche opere d’arte e libri preziosi), la ristrutturazione della locanda, la riorganizzazione delle vecchie scuderie in “casa del territorio” (Maison du terroir), il rifacimento delle facciate e la sostituzione di 120 finestre, tutti pezzi unici.

Vi è però un problema non certo irrisorio. I lavori, di per sé costosi, lo sono ancor di più in alta montagna. La piccola congregazione non ha i 4,7 milioni di franchi necessari. È stato dunque lanciato un comitato di patrocinio per una raccolta fondi.

Il gruppo riunisce molte personalità della Svizzera francese, dall’ex consigliere federale vallesano Pascal Couchepin, all’aeronauta Bertrand Piccard fino alla guida di montagna Jean Troillet.

Attaccamento alla regione

Christophe Darbellay, compagno di scuola del priore e presidente del Partito popolare democratico, è a capo del comitato di patrocinio. Come molti vallesani, ha un forte legame con il Gran San Bernardo.

«La mia nonna paterna vi ha lavorato come domestica durante la Prima guerra mondiale, spiega il politico. Il passo è un luogo speciale. Ci sono andato spesso, da ragazzo, per fare delle camminate in montagna in estate o con le pelli di foca d’inverno, con i miei cugini».

Le donazioni hanno già iniziato ad affluire. Il tesoro dell’ospizio, nella sua nuova veste, è stato inaugurato. «Le reazioni alla nostra campagna sono incoraggianti. Siamo consapevoli che non dobbiamo contare unicamente sulle nostre forze. L’ospizio appartiene a tutti», fa notare José Mittaz. Dal canto suo, Christophe Darbellay ricorda che il rifugio è sempre dipeso dalla generosità della gente. Ogni anno, gli abitanti della valle donavano un sacco di sale».

Altri sviluppi

Annick Boisseaux-Monod ne è convinta : «Il Gran San Bernardo può rispondere a nuovi bisogni, di silenzio, ritiro o spiritualità in senso lato. Le nuove sistemazioni non hanno più alcuna connotazione religiosa».

Questa filosofia dell’ospitalità è fondamentale anche per il priore José Mittaz.«Non chiediamo ai nuovi arrivati quale sia la loro religione, ma diciamo loro di mettersi al riparo. Favoriamo il passaggio. Un turista è qualcuno che ha bisogno di un altrove per tornare più forte».

«Dove sono i cani?»

Nel corso della sua lunga storia, l’ospizio ha saputo reinventarsi più di una volta, attraverso l’apertura della strada nel 1893 o quella del tunnel nel 1964. Anche i celebri cani, che hanno trovato più di un viaggiatore congelato nella neve durante le gite mattutine dei canonici, sono cambiati.

Dal 2005, l’allevamento è di proprietà della Fondazione BarryCollegamento esterno, dal nome del più celebre dei cani San Bernardo. «Il loro fascino è incontestato e incontestabile, afferma José Mittaz. “Dove sono i cani?”, chiedono spesso i turisti al loro arrivo. Sono il serbatoio dei nostri sentimenti e ci portano molto più lontano che noi stessi…».

Jean-François Chételat, un pensionato giurassiano che per due settimane lavora come volontario all’ospizio, non smentisce. «Vado a camminare tutte le mattine con due o tre cani. Se potessi, resterei qui tutto il tempo!».

(Traduzione dal francese, Stefania Summermatter)

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