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Preservare l’arte contemporanea dall’autodistruzione

Christoph Balsiger / swissinfo.ch

I restauratori d'arte contemporanei sono confrontati con sfide senza precedenti: Oggi gli artisti utilizzano metodi e materiali non convenzionali che invecchiano anzitempo o diventano obsoleti. Alcune opere vengono salvate, altre abbandonate al loro tragico destino.

I materiali artificiali si spezzano, i pezzi di ricambio delle sculture non sono più fabbricati e gli strumenti audio-visivi sono ormai superati… Dagli anni Settanta, l’uso di materiali non collaudati o degradabili, lo sviluppo di nuovi media, le performance e l’arte concettuale hanno trasformato profondamente il lavoro dei restauratori, introducendo nuove specializzazioni.

«Ogni opera d’arte rappresenta una nuova sfida, spiega Pierre-Antoine Héritier, che lavora come restauratore a Ginevra. Il vantaggio dell’arte contemporanea è che spesso i creatori sono ancora in vita e possono quindi darci indicazioni preziose».

Alcune opere sono vulnerabili perché plasmate con nuovi materiali, di cui non si conosce ancora il tempo e il modo in cui invecchieranno. Ciò non significa tuttavia che le creazioni artistiche siano più fragili o meno preziose prosegue Pierre-Antoine Héritier, attualmente impegnato a restaurare una tela ricoperta di gomme da masticare.

Condizioni nefaste

Pierre-Antoine Héritier sottolinea come le condizioni di esposizione, conservazione e trasporto siano spesso all’origine del deterioramento delle opere. Tanto più che oggi musei, gallerie, collezionisti e investitori fanno a gara per avere gli artisti più noti e così le loro creazioni circolano con gran facilità.

I nemici più acerrimi di Pierre-Antoine Héritier sono i funghi, le ragnatele, gli escrementi degli insetti, così come l’uso della plastica a bolle per l’imballaggio.

Pierre-Antoine Héritier racconta come il suo lavoro non sia cambiato molto da quando ha iniziato, nel 1975. Quanto ai giovani, la tendenza è quella di cercare di specializzarsi in un settore particolare del restauro. La sua assistente, Anita Durand, ha per esempio scritto una tesi sulla conservazione di opere effimere, come le performance artistiche che durano pochi giorni, ore o minuti.  

Sylvie Ramel-Rouzet

Non possiamo fermare il tempo. Possiamo solo rallentarlo.

Specialisti cercasi

Questa corsa alla specializzazione ha reso necessaria la collaborazione tra le diverse discipline. Il Metropolitan Museum of Art e il MoMA di New York, il Getty di Los Angeles e la galleria Tate di Londra possono contare sull’aiuto di un’equipe scientifica a tempo pieno il cui compito è quello di trovare il modo più adeguato per conservare i materiali instabili.

Negli ultimi anni i costi di restauro sono così esplosi. Ed oggi le compagnie di assicurazione esigono anche la presenza di loro esperti per valutare lo stato di un’opera d’arte prima e dopo il suo trasporto dall’altra parte del mondo.

Sylvie Ramel-Rouzet, specializzata nell’arte plastica, ammette: «Le diverse famiglie di prodotti chimici – che hanno contribuito alla creazione di materiali artificiali – evolvono molto rapidamente e le nostre conoscenze non sono al passo coi tempi».

Per questo, Sylvie Ramel-Rouzet  lavora in stretta collaborazione con esperti chimici e conservatori di musei per cercare di rallentare, ad esempio, il deterioramento delle sculture del francese Arman, realizzate con materiali di recupero. «Non possiamo fermare il tempo. Possiamo solo rallentarlo».

Non per tutte le opere d’arte, comunque, è necessario fermare il tempo, assicura il direttore del Museo cantonale di belle arti di Losanna Bernard Fibicher. La deteriorazione, ad esempio, è parte integrante delle opere di Daniel Spoerri (che lavora con i resti di cibo), e di Didier Roth con le sue sculture di cioccolato. «Dobbiamo accettare che tra venti o trent’anni di queste opere non resterà più molto».

Oggi i restauratori devono imparare a gestire un’ampia varietà di materiali instabili: poliuretano, vaselina, cioccolato, cera, grasso, gomma da masticare, animali in decomposizione, piante o cibo.
 
Sono inoltre confrontati con l’invecchiamento delle opere, l’erosione e la corrosione legati alla presenza di polimeri biodegradabili, movimenti meccanici, elettrici, elettronici, fotografie e materiale audiovisivo.

 
Tra le tecniche utilizzate dai conservatori di arte contemporanea figurano il micro-spettroscopio ad infrarossi, la scansione multi-spettrale ad alta definizione,  l’analisi termica e la foto-elastica.

Consultare gli artisti

Cosa ne pensa al proposito Thomas Hirschhorn? «La mia arte è per l’eternità». Una risposta sorprendente se si considera che questo artista svizzero di fama internazionale per le sue opere utilizza soprattutto carta da imballaggio, nastro adesivo e pennarelli invisibili alla luce del sole, nonché ritagli di giornali che di duraturo hanno poco o nulla. «Un’opera d’arte inventa il tempo», sottolinea Hirschhorn.

I restauratori sono confrontati tutti i giorni con questo concetto di eternità suggerito da Hirschhorn, malgrado debbano lavorare con materiali effimeri. «Hischhorn è un buon esempio, perché pone delle domande alle quali anche noi siamo chiamati a rispondere», commenta Pierre-Antoine Héritier.

Hirschhorn consentirebbe a ricostruire uno dei suoi lavori in caso di danno irreparabile? Risposta negativa: «Il mio lavoro non ha bisogno di essere riprodotto, perché in realtà non sparisce mai».

Altri la pensano diversamente e sono favorevoli alla possibilità che alcune delle loro opere vengano “rinfrescate”. L’artista inglese Damien Hirst, ad esempio, prevede un “servizio dopo vendita” per le sue opere danneggiate. Mentre lo statunitense Paul McCarthy non solo rimpiazza gli elementi distrutti delle sue sculture, ma lo fa con oggetti ancora più sconvolgenti.

Dal canto suo, Sarkis – artista concettuale le cui installazioni sono state presentate al Mamco di Ginevra lo scorso anno – accetta che il suo lavoro venga adattato al luogo in cui è esposto. L’artista, spiega la curatrice del museo Sophie Costes, considera le sue opere come partizioni musicali che possono essere suonate in mille modi diversi.

Opere da salvaguardare?

«L’arte deve continuare a viaggiare ed è compito nostro cercare di mantenerla in vita», sottolinea Sophie Costes, rammaricandosi del fatto che le celebri tele blu monocromatiche di Yves Klein (difficili da restaurare) siano spesso protette da un plexiglas.

«Bisogna avere la mente aperta», ma accettare allo stesso tempo che tutte le opere non devono per forza sopravvivere. «Se tutto fosse preservato, non ci sarebbe sufficiente spazio per la creazione di qualcosa di nuovo».

Bernard Fibicher racconta che un giorno aveva notato una macchia su una tela dell’espressionista tedesco Kirchner. Il celebre mercante d’arte Eberhard Kornfeld gli aveva risposto: «Ragazzo. Vedo che hai già qualche capello bianco. Tutto nella vita si degrada. Perché non possiamo accettare la stessa cosa per un’opera d’arte?».

Matthew Barney (1967 – ): l’artista americano crea installazioni scultoree che combinano video e performance. Il suo materasso riempito di tapioca e i suoi disegni di vaselina sono notoriamente difficili da conservare.

 
Joseph Beuys (1921-1986): fino a poco tempo fa, le sue sculture ricoperte di polvere, per segnare il passaggio del tempo, erano ancora religiosamente spolverate da conservatori ben intenzionati.
 
Dan Colen (1979 – ): le tele “accidentali” di questo giovane americano che usa gomme da masticare e coriandoli sono una sfida non indifferente per i restauratori.

 
Damien Hirst (1965 – ): quando il suo famoso squalo in formaldeide – denominato “L’impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo” – ha raggiunto uno stato avanzato di decomposizione, l’artista britannico l’ha semplicemente sostituito.

Dieter Roth (1930-1998): le sue opere sono realizzate con materiali trovati nella spazzatura, compreso il cioccolato, il formaggio e i vermi.

 
Sarkis (1938 – ): questo artista concettuale di origine armena,  residente in Francia, accetta che le sue strutture siano ricostruite, anche se diversamente.

 
Daniel Spoerri (1930 – ): l’artista svizzero nato in Romania è noto per le sue opere realizzate con avanzi di cibo.

(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)

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