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Spagnoli in Svizzera: «Che ne sarà di noi?»

Gran parte della manodopera spagnola in Svizzera lavora nel settore edile. Keystone

Mi rinnoveranno il contratto? Cosa accadrà ai miei figli? E ora che devo fare? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che preoccupano la comunità spagnola in Svizzera, dopo il "sì" popolare all’iniziativa «contro l’immigrazione di massa».

Il voto di domenica fa parlare anche negli spogliatoi di un liceo bernese: «Così sembra che non ci vogliano più…», dice una giovane spagnola con fare scherzoso. «Mi spiace. Mi vergogno tanto per quanto successo questa domenica», le risponde una compagna di classe, di nazionalità svizzera, che si dice sorpresa dalle informazioni che circolano nei media sulle conseguenze dell’accettazione, il 9 febbraio, dell’iniziativa dell’Unione democratica di centro.

«Per ora non cambia nulla»

Il responso delle urne è giunto come una doccia fredda per gli oltre 73mila spagnoli residenti in Svizzera. Questa comunità straniera è la settima per ordine di grandezza e, assieme a quella degli italiani (oggi quasi 300mila) è stata tra le prime ad aver risposto, da ormai mezzo secolo, alla domanda di manodopera nel paese alpino.

La sezione del lavoro e della sicurezza sociale all’ambasciata spagnola a Berna ha subito diffuso un comunicato per tranquillizzare i propri cittadini.

«L’iniziativa per frenare l’immigrazione non pregiudica i diritti maturati dei cittadini spagnoli residenti in Svizzera. Il testo prevede un tempo massimo di tre anni entro il quale le leggi svizzere dovranno essere adattate alla nuova situazione. Fintanto che queste riforme non saranno approvate o che non sarà modificato l’accordo sulla libera circolazione delle persone, la situazione giuridica in materia di permessi di lavoro o di dimora è disciplinata dalle norme attualmente vigenti. In altre parole, per il momento non cambia nulla».

Gli spagnoli sono la settima comunità straniera in Svizzera. Le più importanti sono quelle degli italiani e dei tedeschi. A fine agosto 2013 (ultimi dati disponibili), si contavano circa 73mila spagnoli residenti in Svizzera, pari al 4% circa di tutta la popolazione straniera. Cinque anni prima, a fine 2008, erano circa 64mila (3,9%). Da decenni, la prima comunità straniera in Svizzera è quella italiana. A metà 2013, erano 299mila (16%). Tra gennaio e novembre 2013, il saldo migratorio (differenza tra immigrazione ed emigrazione) degli italiani in Svizzera era positivo, pari a circa 11mila persone in più. L’85% circa della popolazione straniera in Svizzera proviene da un paese europeo.

(Fonte: Ufficio federale della migrazione)

Ancora in stato di shock

Ciò malgrado, nella comunità spagnola si sono già manifestati i primi segnali di inquietudine, specialmente tra coloro che da molto tempo vivono e lavorano nella Confederazione. Dall’inizio della crisi economica, nel 2008, l’immigrazione spagnola in Svizzera ha ripreso a crescere in modo sensibile: nel 2013 sono stati circa 6’000 ad aver cercato fortuna in Svizzera.

«Tra i membri del sindacato, si fanno largo molti timori e incertezze. La gente ci chiede cosa accadrà ora. Vogliono sapere se potranno rinnovare il loro contratto di lavoro o se potranno continuare a vivere in Svizzera con la propria famiglia», indica a swissinfo.ch Aurora García, segretaria per la sezione migrazione del sindacato UNIA,  che tra i suoi affiliati contra circa 6’000 spagnoli.

La sindacalista, anche lei figlia di immigrati spagnoli, non nasconde il suo rammarico per il sostegno all’iniziativa dimostrato da una stretta maggioranza di svizzeri. «ho l’impressione che siamo ancora tutti in stato di shock».

«Il sindacato UNIA ha difeso il fatto che l’immigrazione non è responsabile dei problemi legati alla libera circolazione delle persone con l’UE, come il dumping salariale. I veri responsabili sono i datori di lavoro, che non rispettano le norme di impiego, mentre le autorità hanno temporeggiato invece di introdurre gli strumenti di controllo necessari e le sanzioni pertinenti per evitare il fenomeno della manodopera a basso costo».

Comprensione per il “sì”

La maggior parte degli spagnoli in Svizzera è impiegata nei settori dell’edilizia, della ristorazione e in quello alberghiero. Tra loro vi è anche Genaro Rodríguez, un capocantiere che da 42 anni vive e lavora in Svizzera. Il galiziano non si dice sorpreso dal risultato di domenica.

«Capisco le ragioni che hanno spinto la gente a votare sì. Se avessi avuto diritto di voto, anch’io avrei probabilmente  fatto lo stesso. Le autorità non sono riuscite a comprendere che questo voto era un’opportunità per esprimere un malcontento popolare. Ciò che ha spinto molti svizzeri a sostenere il freno all’immigrazione è stato il malessere nel vedere che la manodopera è pagata sempre meno e che negli ultimi dieci anni non si è fatto nulla per contrastare questo ed altri problemi».

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Alcuni, in disoccupazione

«Negli ultimi anni ho fatto davvero fatica a trovare un impiego stabile, mentre mio marito è disoccupato. Abbiamo però l’impressione che i nuovi immigrati – con contratti di lavoro a durata determinata – riescono ad essere assunti per posti che noi non potremmo mai avere», indica una signora spagnola, che da vent’anni vive in Svizzera e che preferisce mantenere l’anonimato.

Anche lei sostiene che non sono state prese misure sufficienti per evitare che il tasso di disoccupazione tra gli stranieri (6%) sia tre volte più alto di quello degli svizzeri (2%). Lo spettro degli abusi nel campo delle assicurazioni e dell’assistenza sociali è stato uno dei temi pungenti della campagna portata avanti dai promotori dell’iniziativa.

Nessuna soluzione concreta

Per gli stranieri nati in Svizzera, figli dei primi immigrati negli anni Sessanta e conosciuti con il termine di “secondos”, l’iniziativa in quanto tale non offre soluzioni concrete. «Produrrà unicamente nuovi problemi», afferma l’associazione Second@s Plus.

Uno dei suoi membri, l’avvocato binazionale Daniel Ordás ribadisce a swissinfo.ch che il successo dell’iniziativa è legato a preoccupazioni sociali reali: carenza di alloggi, affitti troppo alti, traffico, dumping salariale…. Problemi che prima non esistevano in Svizzera, sottolinea Ordás. «Questo sentimento di paura che gli svizzeri hanno sviluppato quanto all’arrivo di nuovi migranti ha trovato una forma di espressione nelle urne. L’iniziativa non è però lo strumento adeguato per far fronte a queste inquietudini».

Lo spagnolo,  residente a Basilea, vuole rassicurare i suoi connazionali: «Questo voto, in sostanza, non cambierà nulla perché il mercato del lavoro svizzero continuerà ad aver bisogno di manodopera straniera anche in futuro».

E l’immagine della Svizzera?

Daniel Ordás terrà prossimamente una conferenza all’università di Barcellona per presentare la Riforma 13, un progetto di modifica della Costituzione spagnola che si ispira – in parte – alle caratteristiche della democrazia diretta svizzera. È convinto che in quell’occasione dovrà rispondere anche a molte domande sul voto del 9 febbraio.

«Diversi media spagnoli mi hanno contattato in questi giorni perché vogliono partecipare alla conferenza e discutere con me. Il voto contro l’immigrazione ha rafforzato l’interesse per la democrazia diretta elvetica e le opportunità che offre ai cittadini».

Non tutti però vedono di buon occhio questo strumento politico. È dunque necessario spiegare le condizioni che hanno permesso l’accettazione dell’iniziativa UDC, sostiene Ordás. «Bisogna prestare attenzione all’immagine della Svizzera, perché negli ultimi giorni da paese modello di democrazia diretta, ora viene ingiustamente tacciato di egoismo».

(Traduzione dallo spagnolo, Stefania Summermatter)

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