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Crisi coreana, altolà di Mosca e Pechino agli USA

Il lancio di un nuovo missile intercontinentale da parte della Corea del Nord ha suscitato un vortice di reazioni internazionali di segno anche opposto.

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Se è praticamente unanime la condanna del nuovo test balistico di Pyongyang, sono numerose le critiche e i paletti posti, soprattutto da parte delle confinanti Cina e Russia, alla politica statunitense nella regione.

Il Ministero della difesa di Pechino ha infatti espresso “profonda preoccupazione” ma ha anche ribadito che la risposta militare “non è un’opzione” e che la Cina vuole “pace e stabilità nella penisola coreana”.

Più dura la presa di posizione di Mosca, il cui ministro degli Esteri Serghei Lavrov ha giudicato “intenzionalmente provocatorie” le azioni statunitensi: i passi recenti di Washington, ha detto il capo della diplomazia russa, “sembrano deliberatamente diretti a provocare Pyongyang e a spingerla ad azioni dure”. La via delle sanzioni, ha aggiunto, ormai è esaurita.

In precedenza l’ambasciatrice USA all’ONU Nikki Haley aveva detto al Consiglio di Sicurezza, convocato d’urgenza dopo il test balistico, che “ora la guerra è più vicina”. E lo stesso presidente Donald Trump era tornato ad attaccare sul piano personale su Twitter il dittatore Kim Jong-un, descrivendolo come un “cagnolino malato”.

Intanto l’Amministrazione USA sta valutando l’ipotesi di un blocco navale e di nuove sanzioni nei confronti del regime nordcoreano ma l’orientamento dei Quindici del Consiglio di sicurezza è quello di attuare in modo rigoroso e integrale le misure restrittive già decise negli scorsi mesi.  

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