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L’arte? È solo lavoro. Jean-Frédéric Schnyder in mostra a Berna

Jean-Frédéric Schnyder alla Kunsthalle di Berna.
Jean-Frédéric Schnyder alla Kunsthalle di Berna. swissinfo.ch

Due mostre contemporaneamente in corso a Berna cercano di inquadrare l'originale percorso di Jean-Frédéric Schnyder, un artista svizzero il cui progetto -come lui stesso afferma- era di non avere alcun progetto. I lavori esposti abbracciano oltre cinque decenni e testimoniano il suo peculiare approccio all'arte: una ricerca della semplicità tutt'altro che semplice.

Tutto ebbe inizio a Berna. Alla fine degli anni Sessanta, la Kunsthalle -uno spazio espositivo senza una collezione, diretto dall’acclamato curatore Harald Szeemann- era in sintonia con le avanguardie artistiche di allora e attirava nella tranquilla capitale svizzera, da tutto il mondo, i migliori talenti di quella generazione.

Jean-Frédéric Schnyder fu uno dei pochi giovani artisti svizzeri che ruotarono attorno a Szeemann e parteciparono alla rassegna ‘When attitudes become form’ nel 1969.

Questo esperimento collettivo, una pieta miliare nella storia dell’arte concettuale, chiamò a raccolta 69 artisti del Nord America e dell’Europa occidentale, tra i quali Joseph Beuys, Bruce Nauman, Eva Hesse, Lawrence Weiner e molti altri destinati a godere di grande considerazione.

Il ritorno alla Kunsthalle è per Schnyder la chiusura di un cerchio: l’intero spazio è dedicato a una retrospettiva del suo lavoro. L’artista non è incline a rilasciare interviste, ma ciò non significa che non gli piaccia parlare. Nel corso di un’anteprima della mostra, l’artista racconta aneddoti relativi a ognuno dei lavori esposti e fa qualche battuta.

Schnyder con H. Szeemann a Venezia, 1968
Un giovane Schnyder (a sinistra) con Françoise e Harald Szeemann (a destra) a Venezia nel 1968. Balthasar Burkhard, Katalog, 2017

Una piccola cerchia di artisti

Alla domanda sull’importanza di quei tempi, risponde: “Sembra gran cosa a parlarne oggi, quando in effetti non era che una piccola cerchia. È vero però che allora ci sembrava che Berna fosse il centro del mondo”.

L’euforia non durò molto. La popolazione locale e le autorità, disgustate sia dalle parti più radicali della mostra -l’artista statunitense Michael Heizer distrusse letteralmente il marciapiede davanti all’edificio- sia dall’attenzione internazionale, chiesero la testa di Szeemann, che un mese dopo fu invitato a rassegnare le dimissioni dalla Kunsthalle.

Harald Szeemann diede certamente una spinta alla carriera di Schnyder, ma non soltanto perché scoprì il giovane artista e scommise su di lui: il vivace ambiente della Kunsthalle di Szeemann fornì a Schnyder gli strumenti critici per sviluppare la propria arte e diventare un “artista serio”.

Dipingere controcorrente

Nato nel 1945, cresciuto in orfanotrofio e autodidatta, Schnyder ebbe il primo contatto con l’arte attraverso la fotografia. I suoi primi lavori erano influenzati perlopiù dalla pop art e dalle tendenze protagoniste di ‘When attitudes become form’ -l’arte povera e il cosiddetto post-minimalismo- ma una volta soffiata via la bolla creativa di Berna sentì che era il momento di progredire.

Alla fine degli anni Sessanta, decise di imparare a disegnare e dipingere. La cosa fu considerata persino più radicale dell’arte prodotta quand’era nell’orbita di Szeemann. Negli anni Settanta, tali abilità non erano più considerate necessarie per un artista. Piuttosto il contrario.

In quel particolare periodo, quando happening, installazioni e performance lottarono per liberare l’arte dalle cornici e darle spazio su ogni su ogni possibile superficie, materiale e immateriale, la pittura era vista non solo come politicamente morta, ma anche come forma d’arte superata e borghese.

La ricerca della semplicità

Appena prima dell’inaugurazione della mostra alla Kunsthalle, anche il Kunstmuseum Collegamento esterno(Museo d’arte) di Berna ha dedicato un’intera sala a una (piuttosto modesta) retrospettiva su Schnyder, con lavori appartenenti alla collezione del museo.

Flamencotänzerin, un dipinto di J.F. Schnyder
Flamencotänzerin (Ballerina di Flamenco, 1973), uno dei piccoli quadri che compongono la serie ‘How to paint’. Tutti e 16 i pezzi in mostra sono dipinti a olio su cartone ricoperto di tela. Le cornici sono realizzate con barattoli di latta. Bildkultur

Oltre a una selezione di sculture di grande effetto, che si adatterebbero perfettamente a uno spettacolo surrealista, il Kunstmuseum espone alcuni lavori dei tardi anni Sessanta e How to paint (1973), una serie di dipinti realizzati insieme alla moglie Margaret Rufener. Il titolo si riferisce a dei manuali di Walter T. Foster molto popolari tra gli anni Cinquanta e Settanta.

È interessante notare la reazione della critica a questa serie, inizialmente considerata uno scherzo, e in seguito ampiamente definita kitsch. Schnyder contesta, con forza, entrambe le classificazioni.

La modestia di questi dipinti genera un’immediata risonanza con le opere dei pittori di strada, non solo di quelli che si trovano nelle località turistiche ma anche di coloro che decorano le case più umili dei luoghi più poveri, come accade in America Latina o nell’Asia meridionale.

“Deve sapere che con quella serie non avevamo soltanto intenzione di fare un esperimento”, spiega Rufener a SWI swissinfo.ch. “Non si trattava neppure di uno scherzo. Schnyder era davvero innamorato dei suoi soggetti”. Aggiunge il diretto interessato: “L’ironia mi annoia e un dipinto comporta molto lavoro. Non sono capace di impegnarmi in un pensiero a metà; bisogna provare gioia nel proprio lavoro”.

È solo lavoro

La pittura divenne la forma d’arte preferita da Schnyder. Negli anni Ottanta e Novanta si propose come pittore itinerante, creando delle serie nelle quali esplora l’aspetto banale delle forme di bellezza più semplici.

Un viadotto dipinto
Lorrainebrücke, 28.7.1983 2008 Museum Of Fine Arts Bern, Switzerland, All Rights Reserve

Berner Veduten (vedute di Berna), Wartsäle (sale d’aspetto), Bänkli (panchine) e i tramonti sul Lago di Zugo seguono processi di produzione simili, nei quali l’artista viaggia in bicicletta o in treno su percorsi normali, incontrando gente normale e realizzando dipinti normali i quali, tutti insieme, lo fanno sentire più vicino alla straordinaria bellezza della ‘vita reale’.

Durante la visita guidata alla Kunsthalle, Schnyder racconta un aneddoto di quando dipingeva la vista che offrono i cavalcavia dell’autostrada. I poliziotti di pattuglia si fermavano a guardare i suoi quadri ed esprimevano apprezzamento, gli autisti di camion spesso lo salutavano sollevando un dito dal volante, come fanno tra loro. Lui rispondeva “innalzando leggermente il pennello al di sopra della tela”. Schnyder non si è mai sentito a suo agio sul piedistallo dell’artista.

Nonostante il suo atteggiamento modesto, non ha voltato le spalle al circuito dell’arte né al mercato. Oltre a due partecipazioni al prestigioso Documenta, che si tiene ogni cinque anni a Kassel, in Germania, Schnyder ha rappresentato la Svizzera alla Biennale di Venezia del 1993 e sue opere sono state esposte un po’ per tutta Europa e negli Stati Uniti. Nel mercato dell’arte, i suoi interessi sono curati da una gallerista molto influente, Eva Presenhuber (Zurigo e New York).

Le dimensioni e la portata dei suoi lavori cambiano radicalmente a seconda dei materiali che gli capitano per le mani, che siano essi scarti, legno o mattoncini Lego. “Per Schnyder, la pluralità stilistica non è un programma, ma il risultato di una pratica rigorosa”, riassume il critico d’arte svizzero Hans Rudolf Reust. Tuttavia, Schnyder sostiene che tutto quel che fa è attenersi alle arti del dipinto, del disegno e della scultura; piccole e grandi tele, miniature.

das Andere (2014-2021)
das Andere (2014-2021). Il lavoro originale contava oltre 14’000 pezzi. Una versione più piccola, con 9’216 croci, è esposta alla Kunsthalle. Gunnar Meier Photography

La Kunsthalle espone anche alcuni oggetti in legno lavorato (“roba da falegname”, nelle parole dello stesso Schnyder) e intagli. In evidenza, circa 9’000 delle 14’000 croci in legno che ha intagliato e assemblato con colla d’ossa. Su un’altra parete, i coltelli usati sono legati su una corda, come una catena.

Perché croci? “È semplicemente la forma più semplice che puoi ottenere da due pezzi di legno. Non c’è alcun esoterismo. Ognuno può vederci quel che vuole”, aggiunge.

Colla d’ossa su croci disposte come un enorme cimitero in miniatura… e nessun simbolismo? Difficile da credere.

das Andere (2014-2021)
Le telecamere di sorveglianza installate alle pareti sono parti dell’installazione, e non sono in funzione. Gunnar Meier Photography

C’è qualcosa di quintessenzialmente svizzero in questo riserbo e apparente anti-intellettualismo. L’atteggiamento di Schnyder è certamente con i piedi per terra, fedele all’ordine naturale delle cose, ma è proprio questa serietà a trasformare uno scherzo o un’ironia in un enigma. Che Schnyder non scioglierà per noi.

La mostra al Kunstmuseum di Berna è aperta fino al 29 maggio 2022, quella della Kunsthalle fino al 15 maggio.

Traduzione dall’inglese di Rino Scarcelli

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