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“Nessuno in Iran vuole una guerra aperta con gli Stati Uniti”

Al di là delle relazioni diplomatiche, in Iran la popolazione come vive le forti tensioni tra Teheran e Washington nella quotidianità? Intervista a Farsin Banki, ex professore universitario elvetico-iraniano, rientrato recentemente in Svizzera da un soggiorno nella Repubblica islamica.

In un attacco sferrato all’aeroporto iracheno di Baghdad, le forze statunitensi il 3 gennaio scorso hanno ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani, figura chiave della strategia di Teheran in Medio Oriente e fedelissimo della Guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei. Per ritorsione, l’Iran ha bombardato una base militare americana in Iraq pochi giorni dopo. Secondo l’ultimo bilancio, 64 soldati americani sono rimasti feriti.

Farsin Banki, 63 anni, è nato in Iran ed è cresciuto in parte in Germania. Si è trasferito in Svizzera per studiare e vi ha vissuto per più di 46 anni, con alcune interruzioni. Ha la doppia cittadinanza, svizzera e iraniana, e trascorre circa tre mesi all’anno in Iran. È stato ricercatore e professore all’Istituto statale per le scienze umane e culturali di Teheran. Farsin Banki

La situazione in quei giorni ha fatto temere il peggio. Ma in seguito le tensioni tra i due Paesi si sono un po’ allentate. L’ex professore universitario Farsin Banki (63 anni), che in quel periodo soggiornava in Iran, testimonia come la popolazione iraniana affronta questa difficile realtà.

swissinfo.ch: Dopo l’uccisione del generale Soleimani, c’erano grandi timori di un’escalation militare in Medio Oriente. Quando l’Iran ha risposto, lo erano ancora di più. Qual è stata la sua reazione?

Farsin Banki: Ero a dir poco spaventato, ma avevo anche sentimenti confusi. Mi chiedevo come una nazione [gli Stati Uniti, Ndr.] potesse violare in tal modo degli accordi internazionali e poi pretendere il rispetto, indipendentemente dalle persone uccise nell’attacco.

In seguito, quando il governo iraniano ha bombardato la base americana, ero senza fiato. Pensavamo tutti che ci stessimo dirigendo verso una guerra aperta con gli Stati Uniti, ciò che lì nessuno vuole. Sono appena tornato da Teheran e ho viaggiato in tutto il paese. È sorprendente constatare che non si sente nulla degli ultimi eventi politici, anche se dietro le apparenze si cela un fermento. Tutti sanno cosa è successo ma non lasciano trasparire nulla e svolgono le loro attività quotidiane.

Il governo iraniano ha impiegato tre giorni per riconoscere il suo coinvolgimento nello schianto del Boeing 737 dell’Ucraina International Airlines, in gennaio, che fatto 176 morti. Sono seguite proteste di piazza. Lei ha partecipato? Le manifestazioni continuano?

No, la mia famiglia e io non abbiamo partecipato. Non sarei sopravvissuto negli ultimi 41 anni se avessi preso così tanti rischi, sia come privato cittadino che come professore universitario.

“Il popolo iraniano è sempre più consapevole che le grandi promesse e gli annunci del governo non corrispondono alla realtà.”  

Le manifestazioni sono già finite. Ma il popolo iraniano è sempre più consapevole che le grandi promesse e gli annunci del governo non corrispondono alla realtà. Senza dubbio, il malcontento si farà sentire di nuovo in altre circostanze.

Da alcune settimane, in Europa non si sente quasi più parlare delle tensioni irano-americane. La questione è ancora d’attualità in Iran?

Sì, e rimarrà tale finché le due parti non si siederanno allo stesso tavolo per discutere. Non è stato espresso alcun rifiuto di parlarsi, ma i due Paesi stabiliscono condizioni che impediscono tale incontro. E, a mio parere, è l’unico modo per porre fine a questa discordia.

La diffidenza nei confronti dell’Occidente è una realtà tra la popolazione iraniana o è condivisa solo da una minoranza che sostiene il regime?

“La maggior parte degli iraniani venera l’Occidente perché crede – giustamente – che garantisca la libertà di pensiero.”

Le persone oggi hanno altri modi per ottenere informazioni. Ma sarebbe necessario educarli sull’uso dei mass media e dei social network in modo che non credano a tutto. Ciò è tanto più importante quando si tratta di elezioni.

La maggior parte degli iraniani venera l’Occidente perché crede – giustamente – che garantisca la libertà di pensiero.

Di recente, degli scienziati binazionali sono stati incarcerati (e nel frattempo rilasciati). Questo la preoccupa personalmente?

Simili notizie sono sempre preoccupanti. Ma non vi sono grossi rischi che io sia direttamente interessato, perché sono un professore emerito e non ho più molta influenza sui miei studenti.

Le sanzioni contro l’Iran sono percettibili nella vita di tutti i giorni?

Sì, lo sono. C’è un vecchio detto in Iran secondo cui le persone sono pagate in rial, ma i prezzi sono calcolati in dollari. Gli stipendi dei funzionari pubblici non aumentano più e vengono pagati in rial. A seconda della provenienza del bene importato, i prezzi sono fissati sul tasso di cambio del dollaro o dell’euro. Molto spesso, il salario non basta nemmeno più per pagare l’affitto. Per far fronte a questa situazione, la gente prende due, tre, o anche quattro lavori.

Da tanto tempo ormai i prezzi in Iran non corrispondono più al valore reale. Sono parzialmente sovvenzionati dallo Stato attraverso vari canali. Lo stesso vale per il prezzo della benzina. E sebbene sia stato moltiplicato per sei, ho l’impressione che ciò non abbia avuto alcun effetto sul traffico!


PLACEHOLDER

Esistono misure di sicurezza speciali per gli espatriati o la vita procede normalmente? A Teheran la sera si esce come se nulla fosse?

In Iran, la vita sociale si svolge piuttosto tra quattro mura. La maggior parte degli svizzeri che conoscevo in Iran sono rimpatriati. Gli svizzeri che hanno legami con l’ambasciata si fanno visita l’un l’altro o sono in contatto con altri espatriati. Finché non vi sono minacce vitali come nei Paesi vicini, la vita continua il più normalmente possibile. Sorprendentemente, l’Iran è il Paese più sicuro del Medio Oriente.

Secondo l’Ufficio federale di statistica, alla fine del 2018 in Iran vivevano 214 svizzeri. In seguito agli eventi all’inizio di quest’anno, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) nei Consigli di viaggioCollegamento esterno raccomanda agli svizzeri in Iran di “evitare i raduni di massa e le manifestazioni di qualsiasi tipo” e in generale di “rimanere vigili e discreti”.

Secondo il DFAE, “la Svizzera e l’Iran intrattengono buone relazioni diplomatiche e si incontrano regolarmente per consultazioni politiche”. In qualità di potenza protettrice, la Svizzera rappresenta gli interessi degli Stati Uniti in Iran.

La Svizzera applica le sanzioni internazionali giuridicamente vincolanti delle Nazioni Unite e decide, caso per caso, se allinearsi alle sanzioni unilateralmente adottate dai suoi principali partner commerciali, in particolare l’Unione europea, precisa il DFAECollegamento esterno.

L’intervista è stata effettuata per iscritto.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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