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Svizzera-Libia, storia di una relazione tormentata

Il colonnello libico Muammar Gheddafi ha tenuto in scacco per quasi due anni la diplomazia elvetica. AFP

Il parlamento svizzero ha pubblicato un rapporto sulla gestione della crisi libica. Retrospettiva su una lunga epopea corredata da violenze domestiche, foto segnaletiche, ostaggi, embargo petrolifero, e dal blocco di voli e visti.

Tutto è iniziato a metà giugno 2008 quando Hannibal Gheddafi, figlio del leader libico Muammar Gheddafi, viene arrestato e accusato di abusi sul suo personale domestico mentre soggiornava in un albergo di lusso ginevrino.

Hannibal Gheddafi e la moglie Aline passano due giorni in detenzione. Sono poi rilasciati su cauzione e lasciano la Svizzera. In seguito i due domestici ritirano la denuncia perché hanno ricevuto un indennizzo.

Vendetta

Profondamente offeso dall’arresto del figlio e della nuora, Muammar Gheddafi avvia una serie di misure di rappresaglia sia politiche sia economiche.

Oltre a cessare le forniture di petrolio libico alla Svizzera, il paese nordafricano obbliga le aziende elvetiche a chiudere i loro uffici a Tripoli e a sospendere i collegamenti aerei.

La misura più controversa è però l’arresto di due uomini d’affari svizzeri da parte delle autorità libiche. Max Göldi e Rachid Hamdani sono in un primo tempo rinchiusi in un carcere e poi viene loro concesso l’arresto domiciliare nell’Ambasciata elvetica di Tripoli.

Nel corso dell’anno seguente, diverse delegazioni svizzere cercano di riportare in patria i due ostaggi. Nel mese di maggio 2009, la ministra degli affari esteri Micheline Calmy-Rey visita la Libia e annuncia «notevoli progressi» nella vicenda.

Ma poi, nel giugno dello stesso anno, la Libia ritira la maggior parte dei suoi depositi dalle banche svizzere e blocca le attività elvetiche sul suo territorio. Il presidente svizzero Hans-Rudolf Merz si reca a Tripoli in agosto dove incontra il primo ministro ma non il leader della rivoluzione Gheddafi.

Merz firma un accorto inteso a migliorare le relazioni entro due mesi e si scusa inoltre ufficialmente per l’arresto di Hannibal Gheddafi. Ma anche lui torna a mani vuote e viene deriso dalla stampa locale su vignette poco lusinghiere. Merz è criticato di aver agito in solitaria senza informare i suoi colleghi di governo.

Blocco dei visti

Il settembre 2009 è un mese movimentato. La Libia non mantiene le promesse dell’accordo firmato con Merz in cui si impegnava a rilasciare i due uomini d’affari il 1° settembre.

Il 4 settembre, il quotidiano la Tribune de Genève pubblica le foto segnaletiche di Hannibal Gheddafi. Questa decisione provocherà più tardi un’azione legale.

Il leader libico e Merz si incontrano a margine dell’Assemblea generale dell’ONU a New York. Gheddafi incita i paesi membri a sostenere la sua idea di abolire la Svizzera in quanto nazione. Nello stesso mese, Göldi e Hamdani spariscono dopo un controllo medico a Tripoli. Berna descrive l’accaduto senza mezzi termini definendolo un sequestro.

In ottobre scade il limite di 60 giorni posto dall’accordo per la normalizzazione delle relazioni. Il mese seguente, il governo svizzero annuncia di volere mettere in atto restrizioni per i visti ai cittadini libici.

Le autorità libiche condannano Göldi e Hamdani a 16 mesi di carcere e li multano per violazione delle norme sui visti.

In dicembre, Hannibal Gheddafi indice una causa civile per violazione della privacy per la pubblicazione delle foto segnaletiche accusando la Tribune de Genève, uno dei suoi giornalisti e il cantone Ginevra. Richiede un risarcimento di 100 000 franchi. La causa sarà però avviata solo l’anno seguente.

Anno nuovo, vita nuova

Già in gennaio 2010, la sentenza di Hamdami viene capovolta. In febbraio lo svizzero è assolto dalle accuse di violazione della legge sul commercio.

Max Göldi invece non è così fortunato, il suo periodo di carcerazione viene confermato benché ridotto da 16 a quattro mesi.

A metà febbraio, un quotidiano libico pubblica una lista nera svizzera comprendente i nominativi di 188 cittadini libici a cui poteva essere rifiutato il visto nell’area Schengen.

La vicenda si estende a livello europeo quando Tripoli a sua volta smette di rilasciare visti alla maggior parte dei cittadini UE in risposta alle restrizioni svizzere applicate a livello europeo.

A fine febbraio, Tripoli accorda un visto d’uscita ad Hamdani e ordina a Göldi di presentarsi alle autorità libiche per scontare la sua pena carceraria.
In marzo a Ginevra inizia la procedura per le foto segnaletiche. La Libia revoca il blocco dei visti per i cittadini dell’area Schengen in seguito all’annuncio del presidente dell’UE che la lista nera svizzera è stata stralciata.

L’onore del clan Gheddafi è in parte riparato a metà aprile con la decisione del tribunale ginevrino a favore delle pretese avanzate da Hannibal Gheddafi. Le foto pubblicate dalla Tribune de Genève sono una lesione della sfera privata. Tuttavia, il tribunale rifiuta il risarcimento di 100 000 franchi.

Lieto fine

Dopo quasi due anni di detenzione – tra cui quattro mesi di reclusione – Max Göldi è scarcerato la sera del 10 giugno 2010.

Due giorni dopo, la ministra degli affari esteri, Micheline Calmy-Rey, raggiunge il cittadino elvetico a Tripoli, accompagnata dal suo omologo spagnolo Miguel Angel Moratinos e dal premier italiano Silvio Berlusconi. A sbloccare definitivamente la situazione contribuisce l’accordo – definito piano d’azione – firmato da Svizzera e Libia. L’intesa prevede – tra gli altri punti – anche un’inchiesta affinché i responsabili della trasmissione e della pubblicazione delle foto segnaletiche di Hannibal Gheddafi siano condotti davanti alla giustizia.

Per la liberazione di Max Göldi, la Confederazione versa inoltre un milione e mezzo di franchi su un conto bancario tedesco. La somma doveva coprire le spese legali sostenute dalla parte libica in seguito alla pubblicazione delle immagini.

Il 14 giugno 2010, per Max Göldi si conclude un incubo durato 695 giorni. L’uomo d’affari svizzero può finalmente ritornare in patria e riabbracciare la famiglia.

La liberazione di Max Göldi è avvenuta in seguito ad importanti sforzi diplomatici da parte dell’Unione europea e alla firma di un documento – definito piano d’azione – in cinque punti.

In particolare, le due parti accettano di creare un tribunale arbitrale con sede a Berlino incaricato di far luce sulle circostanze dell’arresto di Hannibal Gheddafi e di sua moglie Aline.

Il secondo punto riguarda la “pubblicazione illegale” delle foto segnaletiche di Hannibal Gheddafi. La Svizzera si scusa per l’accaduto e il canton Ginevra riconosce la sua responsabilità.

Il documento ricorda pure che le persone all’origine della trasmissione di queste foto alla Tribune de Genève devono essere tradotte davanti alla giustizia. Se sarà identificato un colpevole, la Svizzera dovrà indennizzare Hannibal Gheddafi.

Il 18 giugno a Madrid si è tenuto il primo incontro tra segretari di Stato svizzeri e libici sull’applicazione del piano di azione. La riunione è stata organizzata sotto l’egida della Spagna e della Germania.

Le parti hanno discusso degli eventuali indennizzi che la Svizzera dovrà versare alla Libia qualora non venisse identificato l’autore della fuga delle foto pubblicate dalla Tribune de Genève.

Il 25 giugno 2010, il Dipartimento federale degli affari esteri ha indicato che i giudici saranno la britannica Elizabeth Wilmshurst (per la Svizzera) e l’indiano Sreenivasa Pammaraju Rao (per la Libia). Si tratta degli stessi giudici nominati nell’autunno 2009 in seguito ad un primo accordo, poi sospeso, firmato a Tripoli dall’allora presidente della Confederazione Hans-Rudolf Merz.

Il 29 giugno 2010, la delegazione delle finanze del parlamento svizzero ha approvato un credito di 1,7 milioni di franchi per coprire le spese procedurali e la partecipazione della Confederazione al tribunale arbitrale.

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