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«Lo spirito di Rio rischia di dissolversi»

Alla Conferenza di Rio, nel 1992, hanno partecipato anche gli indigeni Kayapo, che si battono per il loro diritto alla terra e il rispetto delle loro tradizioni ancestrali. Keystone

Vent'anni dopo il Summit della Terra del 1992, i leader del mondo tornano a Rio per rinnovare il loro impegno politico a favore di uno sviluppo sostenibile. Uno sguardo al passato con Philippe Roch, allora responsabile dell'Ufficio federale dell'ambiente.

Era stata definita la più grande conferenza politica di tutti i tempi: Rio 1992. Nel clima d’ottimismo che aveva seguito la caduta del Muro di Berlino, il summit si era concluso con l’elaborazione delle Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e altri documenti ufficiali, come la Dichiarazione di Rio, che mette lo sviluppo sostenibile tra le priorità della comunità internazionale.

Senza dimenticare l’Agenda 21, un “programma d’azione” per il 21esimo secolo che in un certo modo riflette anch’esso l’ottimismo dell’epoca. Il testo enumera una lista di soluzioni concrete per evitare  catastrofi ecologiche, da mettere in atto a livello mondiale, nazionale e locale.

Sviluppo sostenibile, una concetto innovativo

«Per la prima volta il principio di sviluppo sostenibile veniva discusso ad alti livelli», spiega Philippe Roch, che nel 1992 era presente a Rio quale nuovo direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM).

«Ma non è tutto. Era la prima volta che così tante persone prendevano coscienza della necessità che i leader del mondo politico, economico e ambientale lavorassero assieme, e dell’urgenza di creare una rete di attività per difendere le risorse della nostra terra. Questa è stata la grande novità».

La nozione stessa di «sviluppo sostenibile» deriva da un rapporto delle Nazioni Unite del 1987, meglio conosciuto come rapporto Brundland, e sottintende una forma di sviluppo nella quale economia ed ecologia non sono più agli antipodi, ma remano nella stessa direzione.

Agenda 21, sempre d’attualità

«È stata una grande avventura, un primo passo fondamentale, ricorda Philippe Roch. Si faceva largo l’idea secondo cui i temi che finora avevamo trattato in modo dispersivo erano legati tra loro. E i leader mondiali avevano riconosciuto la necessità di trovare delle strategie per difendere gli ecosistemi e le risorse del nostro pianeta, senza le quali non potrebbe esserci sviluppo sostenibile per tutti a lungo termine».

Per l’ex direttore dell’UFAM, vent’anni dopo l’Agenda 21 resta «il miglior documento, quando si tratta di affrontare le questioni di fondo. Il testo solleva le giuste domande». All’epoca, prosegue Roch, c’era una nuova energia nell’aria. «E questo malgrado non tutti gli Stati, le istituzioni e le organizzazioni si fossero impegnati allo stesso modo per raggiungere gli obiettivi prefissati. Da un punto di vista giuridico e istituzionale ci sono stati dei progressi».

Oggi bisogna tuttavia riconoscere che quel cambiamento di paradigma tanto atteso non si è prodotto, spiega Roch. «In molte parti del mondo le condizioni di vita sono peggiorate e oltre un miliardo di persone non ha ancora accesso all’acqua potabile».

A Rio i grandi del mondo avevano messo lo sviluppo sostenibile quale priorità e promosso un cambiamento di stile di vita e di commercio. «Oggi però di questo slancio non rimane molto. Spesso l’impressione è quella di una grande ipocrisia, una discrepanza tra le belle parole e la realtà».

Girare in tondo

«A Rio eravamo all’apice del progresso, continua Roch. Da allora giriamo a vuoto. In molti settori, la situazione è perfino peggiorata».

Un chiaro esempio è il clima. «La Convenzione di Rio è eccellente, ma bisogna ammettere che oggi non raggiungeremo nemmeno gli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto».

Roch ammette che sono stati fatti dei progressi. Tuttavia non si avanza di molto, perché nessuno rimette in questione il sistema secondo cui la crescita del PIL è l’unico criterio economico. «Finché questa visione prettamente materialista dominerà i discorsi, la mia visione delle cose sarà piuttosto pessimista. Lo spirito di Rio rischia di dissolversi».

La Svizzera non è meglio degli altri

Per quanto riguarda la realizzazione degli obiettivi di Rio in Svizzera, Philippe Roch – che fino alla sua partenza nel 2005 si è battuto per l’elaborazione di una nuova legge ambientale – traccia un bilancio negativo.

In settori come il clima e l’energia, i progressi sono «troppo lenti». A parte la legge sul CO2, rispetto alle energie fossili non si è fatto praticamente nulla, denuncia Roth. «E purtroppo c’è voluta una catastrofe come quella di Fukushima perché la Svizzera decidesse di uscire dal nucleare».

Nel campo della biodiversità, Roth ricorda invece con soddisfazione il voto popolare che nel 1987 aveva portato all’accettazione dell’iniziativa popolare Rothenthurm “Per la protezione delle paludi”. E ritiene il nuovo sistema di organizzazione dei parchi naturali regionali uno sviluppo positivo.

Roth sottolinea poi l’enorme pressione economica e demografica alla quale è sottoposta la Svizzera nella sua pianificazione territoriale. «Distruggiamo troppo facilmente le nostre ultime zone verdi e il popolo ne è cosciente, come dimostra la decisione popolare di limitare il numero di residenze secondarie».

Per l’ex direttore dell’UFAM, c’è un importante margine di manovra anche nel campo dell’agricoltura che oltre al suo obiettivo primario di produzione, dovrebbe servire a proteggere il suolo e le acque. «L’agricoltura svizzera è lungi dall’essere sufficientemente ecologica. C’è ancora molto da fare e purtroppo l’Unione svizzera dei contadini si oppone ancora troppo spesso ai cambiamenti necessari».

1972: Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, Stoccolma

 

1992: Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, Rio de Janeiro

1997: Conferenza Rio+5, New York

1997: Conferenza COP3, Kyoto   

2002: Vertice mondiale dell’ONU sullo sviluppo sostenibile, Johannesburg

2012: Conferenza sullo sviluppo sostenibile Rio+20, Rio de Janeiro

Nel 1972, il rapporto del Club di Roma segna il punto di partenza per una presa di coscienza collettiva sull’importanza di uno sviluppo ecologicamente sostenibile.

Quindici anni più tardi, la Commissione ONU per l’ambiente e lo sviluppo pubblica il rapporto Brundtland, dal nome della sua presidente, la norvegese Gro Harlem Brundtland.

Intitolato «Our common future» (Il futuro di tutti noi), il testo mette in evidenza il legame esistente tra i problemi globali dell’ambiente, la grande povertà del sud e i modelli di produzione e di consumo non sostenibili del nord.

Lo sviluppo sostenibile è definito come uno «sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri».

Il rapporto Brundtland rappresenta il testo di riferimento per la nozione ormai universamente riconosciuta di sostenibilità e influenza ancora oggi il dibattito politico.

Oggi si parla sempre più di «economia verde». Questo termine è uno dei più ricorrenti nei dibattiti in vista della Conferenza Rio+20.

(Fonte: Dipartimento federale dell’ambiente)

Nel 1992, i rappresentanti di 172 paesi si sono incontrati a Rio de Janeiro per cercare di far fronte a problemi quali la povertà, la crescente disparità tra Stati ricchi e poveri, e le difficoltà sempre maggiori in campo sociale, economico e ambientale.

Il vertice si è concluso con la firma di tre accordi non vincolanti a livello internazionale:

– La Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo  

– L’Agenda 21 

– La Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste

I paesi partecipanti hanno sottoscritto inoltre due convenzioni giuridicamente vincolanti: la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e la Convenzione sulla diversità biologica.

(Fonte: Ufficio federale dello sviluppo territoriale)

(Traduzione dal tedesco, Stefania Summermatter)

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