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‘La madre fa politica!’

“Un viaggio per immagini nel suffragio femminile in Svizzera”, dagli anni Venti fino alla votazione popolare del 7 febbraio 1971, che riconobbe alle donne il diritto di voto ed eleggibilità a livello federale.

Nell’atrio della Biblioteca cantonale di Bellinzona, fino al prossimo 11 febbraio, sono esposti manifesti d’epoca e pagine di riviste satiriche che ripercorrono il lungo dibattito tra favorevoli e contrari.

Altri sviluppi

La mostra si intitola ‘La madre fa politica!’, è promossa da Amnesty International e Fondazione Diritti Umani, ed è stata allestita dagli studenti del corso propedeutico del Centro Scolastico per le industrie artistiche (CSIA) di Lugano.

Una battaglia lunga trent’anni

Le prime svizzere a entrare alle urne furono le cittadine di Vaud, Neuchâtel e Ginevra tra il 1959 e il ’60, limitatamente alle elezioni e votazioni cantonali. Nel decennio successivo, appena tre cantoni seguirono l’esempio: Basilea Città (1966), Basilea Campagna (1968) e Ticino (1969).

Gli anni di svolta furono il 1970 e ’71: i diritti politici sono riconosciuti alle donne in altri 17 cantoni e, soprattutto, a livello federale. La Svizzera è però tra le ultime della classe: in Europa, precede solo il Portogallo (1976) e il Liechtenstein (1984).

Sopravvive, inoltre, un piccolo paradosso: le cittadine di due cantoni della Svizzera orientale –che a livello federale possono ormai votare sia su iniziative popolari e referendum, sia per scegliere i loro rappresentanti o essere elette alle Camere- non hanno gli stessi diritti su scala locale.

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Sarà così per altri vent’anni: Appenzello Esterno approverà il suffragio femminile nel 1989, mentre Appenzello Interno dovrà concederlo nel 1990 su ingiunzione del Tribunale federale, la corte suprema del Paese.

Perché?

“Paradossalmente”, spiega la storica Susanna Castelletti, dell’Associazione Archivi Riuniti delle Donne Ticino, “il ritardo della Svizzera si spiega con la nostra tradizione democratica. È servita l’approvazione del popolo, e quindi degli uomini con diritto di voto”, per concedere alle donne pari diritti. Altrove “è invece bastata una decisione dell’élite governativa”.

Senza contare che le suffragette doverono difendersi pure dal fuoco amico: nacquero, seppur poche e piccole, “associazioni di donne, non riconducibili a una particolare classe sociale” che oltre a non voler esercitare il voto, si impegnarono perché fosse precluso a tutte.

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