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Quando le aziende elvetiche volevano chiedere asilo all’estero

Uomo trasporta casse di legno
Le aziende multinazionali con sede in Svizzera erano già state confrontate durante la Seconda guerra mondiale con il problema di un possibile trasferimento. Nella foto un impiegato della Nestlé attorno al 1940. Iba-archiv / Keystone

Come salvaguardare le aziende svizzere da un'invasione sovietica? Durante la Guerra fredda, le autorità federali – in stretta collaborazione con gli ambienti economici – elaborarono piani dettagliati per il trasferimento all'estero della sede di imprese svizzere. Ma trovare il paese adatto non era facile.

“In breve, lo scopo del trasferimento della sede consiste da un lato nel mantenere a disposizione dell’economia nazionale le aziende svizzere e gli interessi da loro rappresentati, dall’altro però anche nel creare le premesse affinché i valori patrimoniali svizzeri, nell’eventualità di un’occupazione del nostro territorio da parte di un belligerante, non siano considerati beni del nemico dalla parte avversa.”

RichiestaCollegamento esterno del Dipartimento politico federale al Consiglio federale, 10 settembre 1959

All’inizio di ottobre del 1959, una delegazione di membri dell’amministrazione federale e rappresentanti del mondo economico partì dalla Svizzera alla volta del Canada.

La commissioneCollegamento esterno era chiamata a discutere con una delegazione canadese la possibilità per le imprese svizzere di trasferire temporaneamente la propria sede in Canada, pur mantenendo la personalità giuridica svizzera, nell’eventualità di un conflitto che minacciasse l’integrità della Confederazione.

La questione era piuttosto delicata e complessa, perché coinvolgeva sistemi giuridici diversi e poneva numerosi problemi di ordine politico, legale e fiscale. Ma agli occhi delle autorità federali elvetiche si trattava di un tassello importante nel dispositivo di difesa del paese.

“La vicenda va letta alla luce della percezione di una minaccia imminente che pervadeva l’epoca della guerra fredda”, osserva Sacha Zala, direttore dei Documenti diplomatici svizzeri (DodisCollegamento esterno). “La Svizzera viveva in uno stato di continua preparazione a una possibile aggressione.”

Altri sviluppi

Inquietudini dell’economia

Già nel corso della Seconda guerra mondiale, il Consiglio federale aveva emanato decreti relativi al trasferimento della sede di società commercialiCollegamento esterno. Pochi anni dopo, nel 1949, il governo tornò a occuparsi della questione, reagendo alle inquietudini del mondo dell’economia e della finanza per l’evolversi della situazione internazionale.

Le riflessioni di una commissione di esperti incaricata di elaborare un nuovo progetto legislativo scaturirono nell’aprile 1957 in due decreti governativi, dedicati alla protezione delle persone giuridiche, società di persone e ditte individualiCollegamento esterno e alla protezione dei titoli di creditoCollegamento esterno.

Evidentemente il problema non poteva però essere risolto in modo unilaterale dalla Svizzera. Fin dal 1951, il DPF si era rivolto alle rappresentanze svizzere all’estero per valutare le possibilità di un ipotetico trasferimento delle aziende. I sondaggi avevano interessato Stati Uniti, Canada, Australia e America latina, ma anche alcuni paesi europei, soprattutto in relazione alle loro colonie.

Alla ricerca del paese ideale

Nel 1959, il DPF constatavaCollegamento esterno tuttavia che “quasi ovunque certi aspetti positivi erano controbilanciati da gravi svantaggi”: mentre sull’America latina pesava l’instabilità politica e l’Australia appariva troppo periferica, gli USA avevano un sistema giuridico eccessivamente complesso e non fornivano garanzie sul rispetto degli accordi da parte del Congresso; in SudafricaCollegamento esterno d’altro canto la questione razziale comportava dei rischi, mentre il Congo belgaCollegamento esterno presentava molte incognite riguardo al suo statuto futuro.

Segnali incoraggianti erano giunti da Panama, non da ultimo grazie all’intervento del console svizzero e presidente della holding Unilac, che controllava le attività di Nestlé nel Nord e Sudamerica. Il paese centroamericano aveva emanato una legge che rispondeva alle esigenze delle aziende svizzere in cerca d’asilo, ma Berna rimaneva cauta, in considerazione della sua “labilità politica”.  

Anche Curaçao, nelle Antille olandesi, si proponeva di elaborare una base legislativa che incontrasse le aspettative elvetiche. L’arcipelago era interessante, perché durante la Seconda guerra mondiale era stato sede di aziende olandesi che avevano abbandonato il paese durante l’occupazione nazista, tra cui la Philipps. Ma il possibile distacco futuro dalla madre patria lasciava troppi margini di incertezza.

Intesa con il Canada

Restava il Canada, che agli occhi dell’amministrazione federale e anche dell’economia appariva il candidato ideale, sia per la sua stabilità politica e il suo prestigio internazionale, sia perché era vicino agli Stati Uniti e ospitava già filiali di varie aziende svizzere. Inoltre sembrava abbastanza al riparo da possibili episodi bellici, anche se Berna non escludeva i rischi di una “guerra artica”.

I colloqui della delegazione svizzera con gli interlocutori canadesi a Ottawa si conclusero il 14 ottobre 1959 con un memorandumCollegamento esterno che fissava lo stato delle discussioni. Su molti punti i due paesi avevano trovato soluzioni condivise: le aziende svizzere avrebbero potuto spostare la loro sede in Canada mantenendo la personalità giuridica svizzera e il paese nordamericano avrebbe offerto facilitazioni per il conferimento di visti al management.

Differenze rimanevano in ambito fiscale, dove il Canada, contrariamente alle speranze svizzere, ribadiva che le aziende sarebbero state sottoposte alla tassazione canadese per tutte le loro attività.

Questo articolo è parte di una serie dedicata alle “Storie della diplomazia svizzera”, realizzata in collaborazione con i Documenti diplomatici svizzeri (Dodis).Collegamento esterno

Il centro di ricerca Dodis, un istituto dell’Accademia svizzera di scienze umane e socialiCollegamento esterno, è il polo di competenza indipendente per la storia della politica estera svizzera e delle relazioni internazionali della Svizzera dalla fondazione dello Stato federale nel 1848.

Abboccamenti con altri paesi

Il parziale accordo con il Canada, sul quale entrambi i paesi mantennero il massimo riserbo, aprì la porta ad altri mandati esplorativi. Già all’inizio del 1960 il Dipartimento politico federaleCollegamento esterno (DPF) si mise in contattoCollegamento esterno con la rappresentanza svizzera in Sudafrica per valutare le possibilità di un accordo analogo con le autorità di Pretoria. Pochi mesi dopo Berna fece avere al ministero degli esteri sudafricano un memorialeCollegamento esterno che riassumeva efficacemente i termini della questione.

Anche negli anni successivi vi furono vari abboccamentiCollegamento esterno con le autorità di potenziali paesi d’asilo. Nell’ottobre 1968 uno scambio di lettere confidenzialiCollegamento esterno con l’Australia siglò un’intesa analoga a quella raggiunta nove anni prima con il Canada.

Sovente erano le aziende stesse a premere per la ricerca di paesi d’asilo. Nestlé ebbe un ruolo importante nelle discussioni con Panama, le Antille britanniche e il Canada (nella delegazione che si recò a Ottawa nel 1959 sedeva anche Rodo von Salis, vicedirettore della multinazionale alimentare).

La Swissair segnalò dal canto suo nel 1968Collegamento esterno al DPF il suo interesse per colloqui con il Messico, paese che sarebbe entrato in considerazione per il trasferimento dei velivoli intercontinentali della compagnia in caso di conflitto e che presentava vantaggi climatici rispetto al Canada.

Nel 1974 anche l’azienda metalmeccanica Georg Fischer AG si informòCollegamento esterno sullo stato delle discussioni relative al trasferimento di sede, segnalando il proprio interesse a trattative con il Brasile. In quell’occasione, il funzionario del DPF Emanuel Diez notò tuttavia che l’interesse delle aziende per la questione era diminuito rispetto agli anni Sessanta.

Aziende svizzere senza Svizzera

Ancora nel 1978Collegamento esterno, una novantina di aziende era tuttavia iscritta nelle liste per il trasferimento tenute dall’Ufficio federale per il registro di commercio. Di queste, 68 erano interessate a spostare, in caso di conflitto, la propria sede in un paese di propria scelta, 18 avrebbero preferito seguire il Consiglio federale in un eventuale paese d’esilio.

Mentre le misure adottate durante la seconda guerra mondiale supponevano che il governo elvetico si sarebbe riorganizzato in esilio e che le aziende lo avrebbero potuto seguire, i decreti nati nel clima della Guerra fredda prevedevano la possibilità che il Consiglio federale non riuscisse a fuggire all’estero o che fosse sostituito da un governo controllato dal potenziale aggressore.

In tal caso i decreti sarebbero diventati operativi automaticamente, senza la necessità di un’ulteriore decisione del governo. Al limite, come ha notato lo storico Bernhard Stüssi, autore di uno studio sulla questioneCollegamento esterno, le aziende avrebbero potuto mantenere la nazionalità svizzera anche in caso di scomparsa dell’entità statale corrispondente.

Neutralità e guerra fredda

I decreti sul trasferimento della sede di aziende svizzere ponevano qualche problema anche dal punto di vista della neutralità. Le misure adottate dalla Svizzera si basavano, seppure non esplicitamente, sull’ipotesi di un’aggressione da parte di paesi del blocco sovietico. Le trattative con potenziali paesi d’asilo riguardarono solo Stati dell’area di influenza occidentale.

Le autorità svizzere ritenevano tuttavia che la neutralità non si estendesse alla sfera economica, perlomeno nella misura in cui non si trattasse di accordi fra Stati su un’unione doganale o economica. A ogni buon conto, anche per evitare reazioni da parte del blocco sovietico, Berna mantenne sempre il riserbo sulle discussioni relative al trasferimento di sede delle aziende.

A posteriori, le misure adottate dalla Svizzera per proteggere gli interessi delle aziende appaiono tigri di carta, testimonianza di un’epoca segnata dal timore quasi paranoico di un intervento militare sovietico. Piuttosto sorprendente è il fatto che sopravvissero anche alla caduta del muro di Berlino: nel 1990 il Consiglio federale, rispondendo a un’interpellanza del consigliere nazionale socialista Martin Bundi, ne ribadì l’importanza. I decreti del 1957 furono abrogati nel 2017.

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