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Storici alla meta

Lo storico Jean-François Bergier, responsabile della commissione che ha indagato sul ruolo della Svizzera durante la Seconda guerra mondiale Keystone Archive

Nel dicembre 1996, investita dalle polemiche sul suo ruolo durante la seconda guerra mondiale, la Svizzera istituì la commissione Bergier. Ora, cinque anni dopo, la commissione presenta il suo rapporto finale.

Con la presentazione venerdì a Berna del rapporto finale della Commissione indipendente di esperti Svizzera-seconda guerra mondiale (CIE), una fase importante del recente e controverso dibattito sulla storia svizzera tra 1933 e 1945 giunge al termine.

Lo scandalo dei fondi in giacenza

Il dibattito aveva assunto una dimensione pubblica attorno alla metà degli anni Novanta, quando la stampa aveva cominciato a sollevare la questione degli averi di vittime dell’olocausto conservati nelle banche svizzere.

Il problema non era nuovo ed era riemerso a più riprese nel corso del dopoguerra. La Svizzera aveva però mancato le occasioni di trovare una soluzione definitiva. Quando la fine della guerra fredda e i ripetuti interventi delle organizzazioni ebraiche innescarono un dibattito internazionale sul risarcimento delle vittime del nazismo, la Svizzera si trovò nell’occhio del ciclone.

Affrontata anche dalla commissione banche del senato degli Stati Uniti, la questione dei fondi in giacenza si allargò nel 1996 ad una più ampia discussione sulle relazioni fra piazza finanziaria svizzera e Germania nazista e in generale sul ruolo della Svizzera durante la seconda guerra mondiale.

Il dibattito in realtà non riguardava la sola Svizzera e ben presto furono coinvolti anche altri paesi, tra cui gli stessi Stati Uniti, ma l’opinione pubblica elvetica lo percepì come un vero e proprio attacco alla nazione. Una reazione che indicava, al di là delle modalità a volte assai polemiche con cui il dibattito era condotto, le difficoltà del paese nell’affrontare la storia recente.

Il malessere svizzero nei confronti della storia

Uscita illesa dalla seconda guerra mondiale, la Svizzera si era sottratta a lungo ad un’indagine critica della propria storia. Prevaleva l’immagine di un paese che era riuscito a salvaguardare le proprie istituzioni democratiche, in un’Europa sconvolta dalla guerra e dai totalitarismi, e che aveva prestato aiuto alle vittime del conflitto.

Dagli anni Settanta, una nuova generazione di storici iniziò a smontare molti dei miti che ancora circondavano, nella coscienza collettiva, gli anni tra 1933 e 1945, suscitando però aspre reazioni da parte della generazione che durante la guerra aveva prestato servizio attivo nell’esercito.

Ancora nel 1989, in occasione delle manifestazioni per il 50esimo anniversario della mobilitazione generale dell’esercito, una parte consistente della società elvetica appariva piuttosto impermeabile alle critiche degli storici. Ma i tempi stavano cambiando.

Appena sei anni dopo – e prima che il dibattito sui fondi in giacenza assumesse dimensioni da crisi nazionale – l’allora presidente della Confederazione Kaspar Villiger espresse le scuse della Svizzera per alcuni aspetti della sua politica d’asilo, in particolare per le trattative con la Germania che nel 1938 condussero all’apposizione del famigerato “timbro J” nel passaporto degli ebrei tedeschi.

Poteva essere la fine di un dibattito, ma non ne era che l’inizio.

La nascita della commissione Bergier

Colta di sorpresa dalla discussione sui fondi in giacenza e dalle richieste di risarcimento indirizzate alle banche, la Svizzera si ritrovò nel 1996 nella necessità di reagire.

Un primo passo fu compiuto con l’accordo tra l’Associazione svizzera dei banchieri e le organizzazioni ebraiche per la creazione di una commissione incaricata di individuare i fondi in giacenza nelle banche svizzere, la cosiddetta commissione Volcker. Alcuni mesi dopo il coordinamento delle attività svizzere in relazione alla questione degli averi non rivendicati fu affidato a una task force, guidata dall’ambasciatore Thomas Borer.

Il 13 dicembre 1996 le camere federali approvarono all’unanimità il decreto che dava vita alla Commissione indipendente di esperti Svizzera-seconda guerra mondiale. Inizialmente, il mandato della CIE era limitato ad un’indagine storica e giuridica sulle sorte degli averi giunti in Svizzera durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, ma fu esteso poco dopo dal Consiglio federale a vari aspetti delle relazioni economiche e finanziarie tra Svizzera e potenze dell’Asse e alla politica verso i rifugiati.

Nato in una situazione straordinaria, il decreto del dicembre 1996 investì la CIE di privilegi altrettanto straordinari: né il segreto bancario né altre disposizioni giuridiche potevano limitare l’accesso dei collaboratori della commissione agli archivi pubblici e privati.

Alla testa della commissione, composta di cinque esperti svizzeri e cinque stranieri, fu nominato il medievista Jean-François Bergier. Il credito per il lavoro di ricerca, fissato dapprima a 5 milioni di franchi, fu ampliato nel 1997 a 22 milioni di franchi.

La commissione al lavoro

La nascita della commissione Bergier avveniva in una situazione difficile e suscitava molte aspettative non necessariamente compatibili con la metodologia e i ritmi di lavoro degli storici. Non stupisce perciò che agli inizi vi fossero delle difficoltà organizzative e di definizione del piano di lavoro.

L’annuncio nel marzo del 1997 del progetto di creazione di un fondo di solidarietà (oggi Fondazione Svizzera solidale) da parte dell’allora presidente della Confederazione Arnold Koller – fondo su cui, per strana coincidenza, il Consiglio nazionale è chiamato ad esprimersi venerdì – e soprattutto l’accordo globale dell’agosto 1998 tra le grandi banche svizzere e le organizzazioni ebraiche contribuirono tuttavia a smorzare la tensione.

Nel 1998 la CIE pubblicò su richiesta del Consiglio federale un rapporto intermedio sulle transazioni in oro e nel 1999 un altro rapporto sulla politica dei rifugiati. Nella commissione si fece strada l’idea che tutti gli studi svolti dalla cinquantina di collaboratori, pensati inizialmente come semplici materiali di lavoro in vista del rapporto finale di sintesi, meritassero di essere pubblicati.

Nell’agosto e nel novembre 2001 vennero così presentati al pubblico 12 studi e 4 rapporti di ricerca, oltre a due volumi di perizie legali. Altri 5 studi e 2 rapporti di ricerca sono ora presentati insieme al rapporto finale vero e proprio, redatto dall’intera CIE.

10’000 pagine in totale, 600 pagine per il solo rapporto di sintesi, che arrivano in un momento in cui del dibattito sui fondi in giacenza rimane ormai solo un’eco lontana. Ma dai quali non si potrà più prescindere in ogni discussione sulla Svizzera nella seconda guerra mondiale, nel bene e nel male.

Andrea Tognina

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