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Informare, una missione delicata in tempo di guerra

Programmi radiofonici a onde corte diffusi con il trasmettitore di Schwarzenburg, 1945 RDB

Durante la Seconda guerra mondiale, la Svizzera si è servita delle onde corte per spiegare la sua politica al mondo. Grazie ai testi di questi servizi radiofonici, gli storici hanno ora la possibilità di studiare quale immagine volesse dare di sé in quel periodo storico.

Nata da Radio Svizzera Internazionale, prima Servizio svizzero delle onde corte (SOC), swissinfo.ch ha un ricco archivio in cui sono custoditi i manoscritti dei bollettini e delle cronache diffusi durante l’ultimo conflitto mondiale.

Questi innumerevoli documenti sono stati catalogati e inseriti in una banca dati a cui è possibile accedere rapidamente tramite una data o una parola chiave nel motore di ricerca.

Documenti originali

Gli scritti sono stati l’oggetto di un primo lavoro d’analisi durante un seminario organizzato dalla sezione di storia dell’università di Losanna (UNIL). La scelta di assegnare il compito a questo ateneo non è casuale; uno dei suoi campi di ricerca è la storia audiovisiva contemporanea. Il professore François Vallotton e il suo team si sono già occupati a più riprese della storia dei media in Svizzera e soprattutto di quella della Società svizzera di radiotelevisione (SSR).

Tuttavia, non tutte le pagine di questo capitolo della storia recente sono state scritte, soprattutto non quelle sulla radio internazionale, che, specialmente in Svizzera, sono ancora incomplete. Gli archivi del SOC permettono dunque di gettare uno sguardo su un argomento ancora in parte inesplorato.

«La caratteristica principale dei documenti del SOC è la loro originalità. Le emissioni del Servizio svizzero delle onde corte erano destinate ad ascoltatori residenti all’estero e avevano un mandato diverso rispetto ai media locali. Per gli storici è una fonte preziosa trattandosi del solo media elvetico che diffondeva oltre i confini nazionali in tempo di guerra», spiega Raphaëlle Ruppen Coutaz, assistente all’UNIL e la cui tesi di dottorato è incentrata proprio sul SOC.

«Lo studio di questi documenti non rivoluzionerà o rinnoverà certo le informazioni già note sulla Svizzera durante la Seconda guerra mondiale. Queste fonti ci permettono però di conoscere quale immagine il paese intendeva trasmettere all’estero in quel periodo storico. È questo l’aspetto più interessante della ricerca poiché finora si sono analizzati piuttosto i media rivolti a un pubblico elvetico», precisa François Vallotton.
 
Un altro elemento importante sono le cronache del giorno del SOC; sono i primi bollettini d’informazione prodotti direttamente da una redazione radiofonica. In quegli anni, infatti, i dispacci erano scritti e letti dai giornalisti dell’Agenzia telegrafica svizzera (ATS), un organo controllato dalla stampa.

Rispondere alle critiche

Durante un seminario, gli studenti di storia dell’UNIL si sono chinati su una serie di problemi (vedi galleria fotografica). Sintetizzate in articoli multimediali, le loro ricerche mostrano che il SOC aveva il mandato di diffondere all’estero un’immagine positiva della Svizzera e di spiegare, o giustificare, la posizione del governo elvetico.

Uno di questi studi si è occupato, per esempio, del modo in cui la Svizzera si difendeva alle critiche della Gran Bretagna. Londra accusava Berna di collaborare con l’economia tedesca. Il SOC ribatteva alle insinuazioni, parlando di una Svizzera che non prendeva le parti di nessuna nazione in conflitto, ma che desiderava mantenere un commercio “equilibrato e rispettabile” per sopravvivere.

«L’aspetto interessante di questi documenti è la funzione che svolgevano, ossia rispondere agli attacchi britannici. Il SOC contribuiva così a tutelare la posizione della Svizzera sullo scacchiere internazionale: non era un pedone passivo», commenta il responsabile del seminario.
 
La politica nei confronti dei rifugiati è un altro capitolo sensibile. «Dal 1939, il SOC dà risalto al ruolo umanitario della Svizzera. Con lo sviluppo della guerra, questo elemento diventa un soggetto delicato che non viene più evocato con altrettanta sollecitudine, se non a partire dal 1942 e soprattutto nel 1943, quando all’estero si levano numerose critiche.

Il SOC diventa quindi uno strumento utile per spiegare la politica seguita dalla Svizzera e il suo giro di vite nei confronti di chi cercava rifugio nel paese», indica François Vallotton. Il SOC giustificava questo cambiamento con le necessità legate a garantire l’approvvigionamento della popolazione.

Sigillo della censura

A discolpa del SOC, è doveroso aggiungere che i giornalisti non avevano proprio carta bianca. In tempo di guerra, la censura vegliava.

«È interessante occuparsi di questi documenti scritti perché si possono vedere le correzioni, i cambiamenti. Tuttavia non possiamo sapere chi ne è l’autore: è un censore che ha riscritto alcuni passaggi? In alcune cronache si vede il sigillo della censura, testimone di un’attenta rilettura dei testi», rileva Raphaëlle Ruppen Coutaz.

Durante il conflitto, il SOC mandava in onda i suoi servizi in tedesco, francese, italiano, inglese, portoghese e spagnolo. Le notizie erano trattate in maniera diversa secondo la lingua?

«È un aspetto difficile da individuare. In alcuni casi, le cronache sono semplicemente delle traduzioni. Non è facile individuare lo zampino dell’autore, determinare il suo ruolo. Tuttavia, abbiamo notato alcune differenze. Per esempio, nella versione tedesca si insisteva sul fatto che l’attacco a Pearl Harbour non era affatto una sorpresa, indicazione che non troviamo però nella versione francese. È necessario, tuttavia, guardare i documenti con la lente di ingrandimento per notare queste differenze», risponde Raphaëlle Ruppen Coutaz.

Influenza del rapporto Bergier

Descritta così dal SOC, la politica elvetica appare cristallina. Oggigiorno, gli storici hanno sviluppato però un senso critico maggiore nei confronti di simili documenti, specialmente alla luce della ricerca della Commissione Bergier (vedi dettagli a fianco).

«Siamo naturalmente influenzati dalla storiografia. Scriviamo la storia in maniera diversa dopo la pubblicazione del rapporto Bergier che ha modificato il nostro sguardo sulla Seconda guerra mondiale. Le nostre domande sono quindi diverse», afferma François Vallotton.

«Gli studenti potevano sviluppare liberamente la loro tematica. Hanno scelto degli elementi sensibili, emersi grazie ai risultati della Commissione Bergier, come le relazioni economiche o la questione dei rifugiati. Questi temi hanno suscitato un grande interesse che ha influenzato anche le attività del seminario», conclude Vallotton.

I primi programmi per gli svizzeri all’estero sono diffusi su onde corte dal 1935 mediante il trasmettitore della Società delle Nazioni Unite a Prangins, nel canton Vaud.


Nel 1939, il Servizio svizzero delle onde corte (SOC) ha a disposizione un proprio trasmettitore a Schwarzenburg, nel canton Berna.

Nel 1978, il SOC è ribattezzato Radio svizzera internazionale (SRI).


Le trasmissioni radiofoniche elvetiche destinate all’estero vivono la loro epoca d’oro durante la Guerra fredda. Con una diffusione in otto lingue e in tutti i continenti, la SRI avvicina un pubblico stimato tra i 5 e i 10 milioni di ascoltatori.

Il declino delle onde corte inizia alla fine degli anni Ottanta. I cambiamenti politici (fine della Guerra fredda) e le trasformazioni tecnologiche (comparsa di internet) mettono in discussione la continuazione del servizio.


La SRI manda in onda gli ultimi programmi radiofonici nel 2004. Da allora, il compito di informare al di fuori dei confini nazionali e la Quinta svizzera spetta alla piattaforma internet swissinfo.ch.

A differenza della Svizzera, molti paesi mantengono le radio internazionali. Fra questi ci sono gli Stati Uniti, la Francia, la Cina, il Regno Unito e Città del Vaticano.

Alla fine della Seconda guerra mondiale e per rispondere alle critiche degli alleati, la Svizzera diffonde l’immagine di un paese che mantiene un comportamento esemplare durante il conflitto.

Nei libri di testo scolastici si legge che la volontà di resistenza dell’esercito e l’accoglienza di un elevato numero di rifugiati ha evitato l’invasione della Svizzera da parte delle nazioni belligeranti.

Questa immagine idilliaca viene ridimensionata negli anni Novanta in seguito al caso dei fondi ebraici in giacenza. I sopravvissuti o i discendenti delle vittime del genocidio nazista riescono soltanto dopo grandi difficoltà a riavere il denaro depositato in Svizzera durante la guerra.

La questione assume una notevole importanza, specialmente nel momento in cui gli Stati Uniti minacciano le banche elvetiche di bandirle dal suolo americano.

Il capitolo fine viene scritto nel 1998 con il pagamento da parte degli istituti bancari svizzeri di un indennizzo pari a 1,25 miliardi di dollari (allora 1,8 miliardi di franchi) alle organizzazioni ebraiche.
 
In seguito a questo scandalo, nel 1996 il governo svizzero incarica una commissione indipendente di esperti di fare piena luce sulla politica della Svizzera durante la Seconda guerra mondiale.

La commissione, presieduta dal professore di storia Jean-François Bergier, pubblica il rapporto finale nel 2002. Quest’ultimo mostra che la Svizzera ha intrattenuto stretti rapporti di carattere economico con i paesi dell’Asse e che la sua politica nei confronti dei rifugiati è stata molto restrittiva.

Traduzione di Luca Beti

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