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Gli svizzeri vogliono rinunciare all’atomo, ma senza correre

Le cinque centrali nucleari della Svizzera forniscono circa il 35% dell'elettricità del paese. Ex-press

Il no all’abbandono del nucleare non è stato un voto a favore dell’atomo, sostiene buona parte della stampa svizzera all’indomani della votazione federale sull’iniziativa degli ecologisti. La maggioranza della popolazione ha preferito fidarsi delle autorità, prediligendo una svolta energetica graduale e ordinata.

«Gli svizzeri hanno confermato per la quinta volta il loro sostegno alle centrali atomiche. L’atomo è una fonte energetica di cui continuano a fidarsi e che ritengono per ora insostituibile, nonostante Fukushima e l’età avanzata di certi impianti», scrive il Corriere del Ticino, che parla di una decisione «pragmatica».

«L’atomo non si spegne con un click», scrive il quotidiano di Lugano, sottolineando che con il rifiuto di staccare la spina dell’energia nucleare «ci sarà il tempo necessario per la trasformazione del settore dell’approvvigionamento, per lo sviluppo interno delle energie rinnovabili, per l’adozione delle opportune misure di risparmio e per l’adeguamento dell’infrastruttura di rete». Come indica il Quotidien Jurassien, «la paura di non avere abbastanza elettricità è stata più forte della paura del nucleare».

La bocciatura dell’iniziativa popolare dei Verdi svizzeriCollegamento esterno (respinta dal 54% dei votanti) non è però da interpretare come un voto in favore dell’energia nucleare, sostengono diversi giornali elvetici. «Una maggioranza della popolazione vuole abbandonare l’atomo, ma non con il ritmo e le relative incertezze previste dai promotori dell’iniziativa», commenta la Aargauer Zeitung. Il risultato di domenica, benché netto, non costituisce un plebiscito per il nucleare, concorda la Tribune de Genève.

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Ampia resistenza al nucleare

Anche per il Tages-Anzeiger e Der Bund, la bocciatura di domenica non rappresenta una sconfitta per i Verdi. Il 46% [di sì] ottenuto in votazione, rammentano, è chiaramente superiore al risultato dell’ultima iniziativa per l’abbandono del nucleare nel 2003, quando la quota di favorevoli è stata del 34%.

«Il risultato di domenica mostra un’ampia resistenza all’energia atomica, di cui la politica deve tener conto nell’attuazione della strategia energetica», si legge nel loro editoriale comune. Accolta dal parlamento quest’autunno, la Strategia energetica 2050 prevede il divieto di costruire nuovi impianti, l’abbandono graduale e pianificato dell’atomo e lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

L’esito delle urne, aggiungono i due giornali, contribuisce anche a «garantire la certezza del diritto», poiché lo spegnimento delle centrali potrà essere regolato con i gestori, ciò che eviterà la richiesta di risarcimenti miliardari. Nelle settimane prima del voto, alcuni gestori avevano in effetti paventato la possibilità di chiedere degli indennizzi nel caso di uno spegnimento anticipato dei loro impianti.

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Le cinque centrali atomiche svizzere

Questo contenuto è stato pubblicato al La Svizzera produce circa il 40% della sua energia grazie alle sue cinque centrali nucleari.

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Rifiutando l’iniziativa, la Svizzera ha evitato di dover procedere a una trasformazione dell’approvvigionamento energetico, per la quale non è pronta, osserva la Neue Zürcher Zeitung. A quanto pare, scrive il quotidiano di Zurigo, l’elettorato continua ad aver fiducia nella tecnologia nucleare e nei gestori delle centrali, anche se gli impianti hanno già una certa età. Si fida anche dell’autorità di vigilanza, del governo e del parlamento, che ha promesso che l’abbandono dell’atomo avverrà in modo ordinato nel quadro della Strategia energetica 2050.

Più tempo per abbandonare l’atomo

Per la ministra dell’energia Doris Leuthard, che in seguito all’incidente di Fukushima aveva annunciato l’intenzione di procedere a una svolta energetica, quello di domenica è stato un risultato «ideale», secondo il Blick.

«L’uscita accelerata dall’atomo è stata respinta, ma una quota del 46% è abbastanza alta per scongiurare qualsiasi ritorno del nucleare in futuro». Il popolo, prosegue il quotidiano svizzero tedesco, concede a Leuthard più tempo per l’abbandono del nucleare, per lo sviluppo delle rinnovabili in Svizzera e per adattare la rete elettrica.

«Doris Leuthard esce rafforzata da questa lotta», concorda il romando Le Temps. «Con la sua Strategia energetica 2050, accettata dalle camere, può procedere nel suo abbandono organizzato della partecipazione della Svizzera al concerto dei paesi che si riscaldano con il nucleare».

Il popolo non sbaglia mai

Più critico, Le Matin sostiene che questo «rinvio alle calende greche di un grande problema» per la Svizzera è «molto preoccupante».

«Speriamo che non capiti alcun incidente nelle vecchie centrali, le quali continueranno a “cucinare” il nostro uranio all’antica. Se dovesse succedere, nessuno si sentirebbe responsabile. Ma è il popolo ad aver scelto ed è chiaro, soprattutto in materia di sicurezza nucleare, che il popolo non sbaglia mai».

Dopo il no di domenica, bisognerà pregare il cielo affinché le nostre vecchie centrali tengano botta e ci evitino una seconda Fukushima?» s’interroga pure la Tribune de Genève.

Se il no di ieri rappresenti un sì alla Strategia energetica 2050, lo si vedrà l’anno prossimo, rammenta il Corriere del Ticino. «La Strategia energetica, che pure promette un’uscita ordinata dal nucleare e punta a trasformare il sistema di approvvigionamento energetico senza procedere a tappe forzate, potrebbe essere rimessa in discussione dal referendum lanciato dall’Unione democratica di centro», avverte.

La fine annunciata del nucleare

Per La Liberté, però, i cambiamenti climatici impongono il passaggio a energie pulite. Bisogna quindi «investire per il futuro invece di cercare di preservare una tecnologia del passato».

Anche per Le Temps il destino del nucleare in Svizzera appare segnato. «La Svizzera dovrà abbandonare le sue centrali man mano che arrivano al termine del loro ciclo di vita. Questo capitolo della storia energetica del paese verrà comunque, a un certo punto, definitivamente chiuso».

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Il voto svizzero sui media italiani

«Con il no i cittadini elvetici hanno dato fiducia a una visione meno estrema di quella presa dalla Germania, che dopo Fukushima ha optato per un “phasing out” entro il 2022. Con una mano sulla sua (elevata) coscienza ambientalista la Svizzera ha insomma pensato di dare retta anche alle ragioni del portafoglio, visto che sostituire in fretta parte della sua elettricità con un’altra fonte (in totale il 40% viene dal nucleare) sarebbe stato problematico, e di sicuro più costoso, a meno di optare per il carbone», scrive in un editoriale il Corriere della Sera.

Nel 1987 in Italia, rammenta il Corriere, è stata fatta una scelta diversa, confermata nel 2011: chiudere subito le centrali nucleari, facendo pagare il costo in bolletta alle generazioni future.

Quale scelta sia da considerare la migliore è questione da lasciare ormai alla storia, osserva il quotidiano italiano. «Una cosa, però, si può pretendere dai nostri vicini: che i vetusti impianti siano sicuri al 100%. Mühleberg sarà spento nel 2019, ma Beznau 1 ha il primato della centrale nucleare più vecchia del mondo (opera dal 1969). E dista 300 chilometri dal centro di Milano. Proprio certi che non vada chiusa?».

La sicurezza dell’approvvigionamento energetico è stato uno dei principali argomenti di quanti si sono opposti all’iniziativa, analizza il Sole 24 Ore. Il voto di domenica, «conferma l’orientamento di fondo degli elettori svizzeri, a lungo favorevoli a una contenuta presenza nel nucleare e poi in anni più recenti favorevoli a un’uscita da questo, però organizzata su tempi non brevi».

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