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I testimoni saranno protetti meglio

AFP

Dall’inizio di quest’anno l’Ufficio federale di polizia dispone di un nuovo servizio nazionale di protezione dei testimoni, che fornisce alle autorità giudiziarie un nuovo strumento per lottare contro la tratta degli essere umani, il terrorismo e la criminalità organizzata.

Avere un sistema di protezione dei testimoni sembra una cosa ovvia per le principali forze di polizia. Hollywood, con i vari Humphrey Bogart, Harrison Ford o Mel Gibson, ha contribuito fortemente a pubblicizzare questi programmi.

Tuttavia, in Svizzera finora non vi era nulla di simile a livello nazionale. I cantoni potevano già adottare singole misure di protezione, ma non esisteva un vero e proprio programma.

«Negli ultimi anni ci siamo resi conto che per certi tipi di crimine è molto importante parlare con alcune persone chiave. E queste persone non sono disposte a parlare se la loro vita è minacciata», spiega il direttore dell’Ufficio federale di polizia Jean-Luc Vez.

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Colmare una lacuna

Il nuovo servizio colma una lacuna e permette alla Svizzera di soddisfare tutti gli obblighi previsti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, ratificato dalla Svizzera lo scorso anno.

I procuratori cantonali e federali prevedono che per questo programma vi saranno dai 10 ai 15 casi all’anno, per un costo di circa due milioni di franchi, divisi equamente tra autorità federali e cantonali. L’Ufficio federale di polizia fornirà inoltre consulenza ai cantoni per circa altri 140 casi.

La decisione finale sulla concessione o meno di una protezione spetterà al direttore dell’Ufficio federale di polizia. «È una grande responsabilità», osserva Vez. «Sono cosciente che la persona in questione potrebbe essere uccisa».

Nuova vita

Il programma sarà limitato a casi concernenti la tratta di esseri umani, il terrorismo e il crimine organizzato. Chi ne beneficia? Idealmente solo il testimone, ma la protezione potrebbe essere estesa anche a figli e partner.

In un ipotetico scenario immaginato dalla polizia, il Servizio di protezione dei testimoni deve intervenire per mettere al sicuro Maria, una giovane cubana forzata a prostituirsi dai membri di un’organizzazione criminale. Picchiata dai suoi magnaccia, la donna è disposta a testimoniare, ma solo se si sente al sicuro.

In cambio della sua deposizione, la polizia federale provvede a procurarle una nuova identità, un nuovo posto dove vivere, eventualmente anche all’estero, e alla ricongiunzione col figlio rimasto a Cuba.

Una delle difficoltà cui è confrontata la polizia federale quando indaga sui sospetti trafficanti è proprio legata al fatto che le vittime sono sottoposte a una forte pressione e sono perciò riluttanti a testimoniare.

Le associazioni delle vittime hanno accolto con soddisfazione la creazione di questo programma, sottolineando che si tratta di un passo nella buona direzione, anche se si potrebbe far di più.

«Riteniamo che ci dovrebbe essere un programma di protezione delle vittime e non solo dei testimoni», afferma Doro Winkler della FIZ, un’associazione che fornisce sostegno alle donne migranti e alle vittime della tratta di essere umani. «Non tutte le donne che sono vittime possono anche fornire informazioni. Tutte hanno però bisogno di protezione».

Ad occuparsi della protezione delle vittime sono principalmente le organizzazioni della società civile e i cantoni, spiega Winkler. «Quello che facciamo non è così diverso dal programma di protezione dei testimoni, ma le nostre risorse sono per contro più limitate».

La legge che prevede la creazione di un programma di protezione dei testimoni è stata approvata dal parlamento nel 2011 ed è entrata in vigore il primo gennaio 2013. Costerà due milioni all’anno. La somma sarà divisa in parti uguali tra autorità federali e cantonali.

I testimoni saranno inclusi nel programma su domanda delle autorità locali o di un procuratore. La decisione finale sarà di competenza del capo dell’Ufficio federale di polizia. Le misure di protezione saranno tolte quando la minaccia non sarà più presente o se il testimone viola a più riprese le condizioni dell’accordo, rendendo impossibile garantire la sua sicurezza o del personale che lo deve proteggere.

La nuova legislazione autorizza anche i testimoni sottoposti a misure di protezione in un altro paese a rifugiarsi in Svizzera.

Obiettivo mafia

La Svizzera è anche un luogo di predilezione per le organizzazioni criminali italiane, in particolare la ‘Ndrangheta calabrese. Secondo il Ministero pubblico della Confederazione, la Svizzera funge da piattaforma logistica per riciclare denaro sporco e investire.

Per combattere queste organizzazioni, gli informatori sono spesso essenziali. Senza un programma di protezione degno di questo nome è però difficile convincerli.

«Uno dei capisaldi delle organizzazioni mafiose è l’omertà», osserva Vez. «Per disporre di informazioni è necessario avere persone che le forniscono».

Le autorità sperano che il nuovo programma permetta agli inquirenti di avere uno strumento in più nelle loro indagini. Negli ultimi anni, malgrado inchieste durate diversi anni, alcuni casi si sono arenati davanti ai tribunali e si sono conclusi con sentenze leggere.

Tuttavia, si procederà coi piedi di piombo prima di garantire protezione a pentiti di mafia e alle loro famiglie. Anche se saranno considerati testimoni preziosi, non verrà garantita loro l’immunità per i crimini commessi.

Protezione, ma anche obblighi

Le autorità federali sottolineano inoltre che chi entra a far parte di questo programma non è esentato dalle sue obbligazioni, finanziarie o quant’altro. Ciò significa quindi che non si potrà andare dove si vuole senza pagare il conto.

I costi sono un altro fattore che entrerà in linea di conto quando si dovrà decidere se mettere sotto protezione o meno una persona. La polizia federale stima che ogni caso costerà da 5’000 a 150’000 franchi.

«Alcune volte dovremo forse rifiutare», ammette Vez, precisando che in simili casi la testimonianza della persona in causa non sarà sollecitata dall’accusa.

L’attuazione del programma – di cui si sa poco – è estremamente complessa: richiede la collaborazione tra polizie cantonali e federale, i procuratori, le autorità civili e in alcuni casi anche i governi esteri. Secondo il direttore di fedpol, una delle principali sfide sarà di mantenere la procedura al riparo dagli sguardi.

«È importante che ogni attore implicato nel processo si renda conto che le informazioni devono rimanere segrete», sottolinea. «Se ci sono delle fughe, i testimoni potrebbero essere in pericolo di morte».

(traduzione dall’inglese di Daniele Mariani)

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