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Sostegno svizzero virtuale ai manifestanti birmani

camion con militari
29 marzo 2021: forze di polizia in un quartiere popolare di Yangon, l'ex capitale del Myanmar. La repressione brutale da parte dei golpisti rischia di portare a una risposta armata del movimento di disubbidienza civile. Copyright 2021 The Associated Press. All Rights Reserved.

Alcune personalità svizzere offrono il proprio nome come scudo virtuale per proteggere le persone che protestano pacificamente contro la giunta militare nell'ex Birmania. A Berna, dei parlamentari chiedono che le aziende elvetiche interrompano le loro relazioni con i conglomerati controllati dall'esercito birmano.

“Le proteste non sono così forti come qualche settimana fa. Questo a causa della brutale repressione da parte delle forze di sicurezza che ha già causato oltre 550 morti. Ora la maggior parte della gente ha paura di manifestare, specialmente a Yangon. Ci sono degli informatori nella comunità che avvertono la polizia non appena la gente si raduna, ma è molto difficile sapere chi sono”, racconta a swissinfo.ch Aje [nome fittizio], contattata nella giungla birmana tramite Elisabeth Decrey.

Ex deputata ginevrina già attiva in diversi centri e associazioni umanitarie, Elisabeth Decrey si è posta un’ulteriore sfida: esortare delle personalità svizzere a manifestare virtualmente con i dimostranti pacifici in Myanmar. Il manifestante porta un tesserino con il nome del patrocinatore svizzero, che recita: “Messaggio all’esercito o alla polizia: il signor X o la signora Y, da Ginevra (o altrove), sta manifestando con me oggi. Se mi doveste arrestare, ferire o uccidere, arrestereste, ferriste o uccidereste anche lui/lei”.

Nel caso dovesse succedere qualcosa al manifestante, il suo patrocinatore verrebbe informato e spetterebbe a lui spargere la voce attraverso le reti sociali, i media o gli amici.

“Le violazioni dei diritti umani generano lotte armate”

“È sempre più difficile manifestare e anche comunicare: WhatsApp non funziona quasi mai e Internet è bloccato”, nota Elisabeth Decrey. “Ma vado avanti, soprattutto per incoraggiare i birmani, perché sono disperati di fronte all’inazione della comunità internazionale. Finora sono riuscita a coinvolgere una ventina di svizzeri”.

Tra loro c’è Carlo Sommaruga, membro della Commissione di politica estera del Consiglio degli Stati: “È importante mostrare solidarietà individuale ai manifestanti che tramite questa azione beneficiano di una certa protezione”, dice. Allo stesso tempo, prosegue, “è un messaggio alla giunta: personalità e parlamentari di tutto il mondo si mobilitano a fianco dell’opposizione nelle strade. Questo tipo di azione era già stata intrapresa per la Bielorussia, ma ciò che sta accadendo in Myanmar è molto più violento”.

In Svizzera, il Consiglio federale ha sospeso l’aiuto allo sviluppo per il Myanmar e per il momento fornisce solo aiuti di emergenza. Ha anche adottato delle sanzioni nei confronti di undici membri della giunta militare. Tutti i beni detenuti in Svizzera dal comandante in capo dell’esercito, Min Aung, di nove ufficiali di alto rango e del presidente della Commissione elettorale sono stati congelati e queste persone non possono più recarsi in Svizzera. In linea con l’UE, Berna ha adottato provvedimento soltanto nei confronti dei militari, mentre gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si sono spinti oltre, sanzionando anche le aziende controllate dalla giunta.

Dal colpo di Stato militare del 1° febbraio, nel Parlamento svizzero sono stati presentati quattro interventi. Laurence Fehlmann, presidente dell’Associazione Svizzera-Birmania e partecipante alla campagna di patrocinio virtuale, ha chiesto in un’interpellanzaCollegamento esterno (non ancora trattata) che il Consiglio federale si assicuri che le imprese svizzere che operano in Myanmar non acquistino più prodotti provenienti da conglomerati controllati dai militari, in particolare nel campo delle pietre preziose. Chiede inoltre alla Svizzera di sostenere il deferimento dei dirigenti della giunta alla Corte penale internazionale.

Durante l’ora delle domandeCollegamento esterno, Nicolas Walder ha chiesto al Consiglio federale di garantire che le attività delle aziende svizzere non siano legate ai conglomerati MEC e MEHL. Il governo ha risposto che si aspetta che le imprese svizzere attive in Myanmar diano prova di due diligence.

Secondo Elisabeth Decrey, le manifestazioni sono ancora in gran parte pacifiche, ma i giovani si stanno unendo alle forze armate di alcuni gruppi etnici per seguire un addestramento militare. Nel Paese sono ufficialmente riconosciuti circa 130 gruppi etnici; i birmani o bamar sono il gruppo maggioritario (75% della popolazione). “Le violazioni dei diritti umani e delle minoranze portano alla lotta armata”, rammenta Decrey, che lo ha constatato di persona con Geneva Call, l’ONG che ha co-fondato nel 1998.

“In Siria, la gente aveva iniziato a manifestare pacificamente. In Colombia, la guerriglia è nata da contadini a cui sono state sottratte le terre. Con i curdi si è arrivati al punto che non potevano più parlare la loro lingua. In Myanmar, la situazione è drammatica e può degenerare in una guerra civile in qualsiasi momento”, avverte.

“Nuova resistenza armata inevitabile”

Una premonizione confermata da Aje: “Per il momento, siamo in gran parte pacifici, ma dobbiamo arrenderci all’evidenza: per sconfiggere la giunta militare, una nuova resistenza armata è inevitabile. Il Myanmar è un Paese ricco di risorse, ma i soldi finiscono nelle tasche dei militari, che possiedono i due principali conglomerati del Paese, la Myanmar Economic Corporation, attiva soprattutto nei settori minerario, manifatturiero e delle telecomunicazioni, e la Myanmar Economic Holdings Limited, attiva tra l’altro nei settori bancario, edilizio, minerario, agricolo, del tabacco e della trasformazione alimentare. Godono inoltre del sostegno di Cina e Russia. Non possiamo semplicemente aspettare. Speriamo che le organizzazioni armate dei gruppi etnici possano combattere questa battaglia con il popolo del Myanmar”.

Quasi tutti i media privati che sono apparsi dopo l’apertura democratica del Paese sono stati vietati dalla giunta e sono ora attivi solo online, afferma Aje. La maggior parte dei giornalisti, prosegue, sta fuggendo dato che i militari cercano di rapirli.

Eletti lo scorso novembre, dei parlamentari che si oppongono al colpo di Stato hanno creato un governo civile parallelo chiamato CRPH (Comitato Rappresentativo del Pyidaungsu Hluttaw, il parlamento bicamerale birmano). “È il nostro governo legittimo ed è finanziato da birmani in tutto il mondo”, dice Aje. “Anche i governi stranieri dovrebbero finanziarlo e annunciare che lo riconoscono come l’unico governo legittimo del Myanmar”.

La militante aggiunge che il movimento di disobbedienza civile è stato creato da parlamentari e altri impiegati del governo (e del settore privato) dissidenti. Sebbene sia stato accolto e sostenuto dalla Karen National Union – uno dei dieci gruppi etnici armati ad aver firmato un cessate il fuoco con il governo, che ha però appena rotto ritenendolo superato – il movimento si sta indebolendo poiché, senza stipendio o sostegno finanziario, alcuni membri sono costretti a tornare al lavoro.

Birmani e minoranze etniche più uniti che mai

Come assicura Aje, non si tratta solo di tornare alla situazione precedente al colpo di Stato: “Bisogna abolire la Costituzione del 2008, perché non è affatto democratica. Il CRPH ha già annunciato la sua abolizione. Vogliamo creare un’unione federale democratica che rappresenti tutte le minoranze etniche e portare i capi militari di fronte alla Corte penale internazionale e alla Corte internazionale di giustizia, dato che il Consiglio di sicurezza è bloccato dai veti di Russia e Cina”.

I governi stranieri dovrebbero regolamentare le loro aziende e i loro fornitori affinché applichino l’obbligo di due diligence in materia di diritti umani nelle loro catene di approvvigionamento, aggiunge. Dovrebbero inoltre congelare i conti bancari dei dirigenti e le esportazioni di armi.

“In questo movimento popolare, siamo più uniti che mai. I birmani, le minoranze etniche compresi i Rohingya, tutti insieme e tutte le religioni. Il nostro obiettivo è rovesciare i militari. Aspettiamo la creazione di un esercito federale che riunisca gli eserciti etnici e i giovani che si stanno addestrando e che i governi stranieri dovrebbero finanziare. Sono sicura che un esercito federale è l’unico modo per porre fine a questa sanguinosa e brutale dittatura militare. Spero che la giustizia alla fine trionferà!”.

Traduzione dal francese: Luigi Jorio

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