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Sopravvissuto all’Olocausto: “Se si ha paura, si viene scoperti”

Persona anziana con colbacco
Bronislaw Erlich, nato a Varsavia nel 1923, oggi vive a Berna. Annette Boutellier

Bronislaw Erlich è sopravvissuto al regime nazista facendosi passare come bracciante polacco in un'azienda agricola tedesca. La data di nascita nel suo passaporto è ancora sbagliata.

Bronislaw Erlich non ricorda più l’ultima volta che ha messo in testa il colbacco. Ma oggi deve uscire all’aria aperta e sedersi su una panchina di una casa di riposo nella città di Berna. Oggi gli scattano una fotografia ed è novembre. Guarda il colbacco da tutte le parti, se lo mette in testa. Se lo toglie, se lo rimette e sorride: “Adesso sembro un russo”.

La sua biografia è fatta di vere e false identità per sopravvivere.

I suoi ricordi lo portano molto lontano, nella cucina dei genitori, del mastro sarto Nachum Erlich e della moglie, la signora Brandel, nella strada Nalewki 34, a Varsavia. Nell’appartamento di quattro stanze c’era sempre un gran viavai. Erano in quattro figli. Bronislaw Erlich, nato nel 1923, era il terzogenito. La clientela provava i vestiti in cucina dove c’erano due macchine per cucire.

Old man sitting on a table
Quando la notte nella casa di riposo dove vive non riesce a dormire, il destino della sua famiglia perseguita ancor oggi Bronislaw Erlich. Annette Boutellier

Il 1° settembre 1939, con l’invasione della Polonia da parte dell’esercito tedesco, la sua infanzia ebbe improvvisamente fine. Le strade della capitale polacca si svuotarono, i negozi vennero chiusi, davanti alle panetterie si formavano lunghe code, le sirene suonavano per avvisare degli attacchi aerei. Bronislaw Erlich dovette interrompere l’apprendistato in una ditta di grafica che aveva iniziato nel 1937. La casa di fronte venne colpita da una bomba. Alla fine di settembre non c’erano più né acqua né elettricità né gas.

Un’ultima lettera

Il primo ad andarsene fu Mosche, il fratello maggiore. Raggiunse la parte occupata dai russi. Di notte, Bronislaw sentì la madre piangere. Il 2 dicembre 1939 scapparono anche Bronislaw, allora sedicenne, e la sorella Bracha. Un vicino li portò con una carrozza alla stazione di Varsavia Est. Erano nel treno quando sentirono delle urla. Un soldato tedesco gridava: “Ebrei, fuori!”. Bracha e Bronislaw non si mossero dai loro posti a sedere. Poi il treno si mise in moto. Fuori, sulla piattaforma, la madre seguì correndo l’incedere del treno, poi rallentò e infine scomparse alla loro vista.

Di notte, nella sua stanza nella casa di riposo, Bronislaw Erlich rimane spesso sveglio. Rivede davanti a sé la madre che non li saluta perché non vuole attirare l’attenzione della Gestapo sui figli nel treno. È stata l’ultima volta che l’ha vista.

Con la sorella raggiunse la città di Waukawysk, che oggi si trova in Bielorussia. Rimasero insieme finché, nella primavera del 1940, Bracha fu deportata in un campo di lavoro per donne in Siberia. “Quel giorno è crollato per me un mondo. Era tutto per me: una madre, una zia, una sorella, l’unica sicurezza in un mondo fatto di sconosciuti”. E poi era l’unica che sapeva chi fosse davvero. A lei poteva raccontare la verità.

Quando parla del suo periodo trascorso a Waukawysk riaffiora un altro ricordo doloroso: Bronislaw aveva messo da parte dei generi alimentari – otto chilogrammi di pasta, riso e burro fuso – e aveva inviato il pacchetto nel Ghetto di Varsavia. I genitori gli avevano riscritto che si erano rallegrati molto del pacco e più tardi gli avevano inviato ancora una lettera con una foto: il fratello minore Jakob, la madre, il padre; tre visi smunti. Bronislaw uscì di corsa nei campi con la foto in mano e poi, gettatosi a terra, iniziò a piangere. Più tardi l’ha fatta a pezzi: “Dovevo distruggere tutto ciò che potesse svelare la mia vera identità”. La lettera con la foto è stato l’ultimo segno di vita dei genitori.

Certificato di nascita fasullo

Il 22 giugno 1941, l’esercito tedesco iniziò l’invasione dell’Unione sovietica. Il 28 giugno, le truppe raggiunsero Waukawysk e così ricominciò una vita sotto l’occupazione tedesca. Bronislaw lavorava come bracciante nella fattoria del contadino Karol Urbanowicz.

Nel novembre del 1942, la popolazione ebrea di Waukawysk fu ammassata nell’area dell’ex caserma della cavalleria. “Come animali in una buca”, dice Bronislaw Erlich. Uomini, donne e bambini furono rinchiusi in una specie di fossa grande otto metri per 25, coperta da un tetto di legno.

“Un uomo in pericolo di vita non è un eroe. Lui fa di tutto per sopravvivere.”

Bronislaw Erlich, sopravvissuto all’Olocausto

Quando un soldato dall’altra parte del filo spinato chiese se c’erano dei volontari disposti a lavorare fuori dal lager, lui si annunciò subito. Non sapeva che il “lavoro” consisteva nello smistare i vestiti delle persone ebree deportate.

A questo punto, il racconto va avanti a singhiozzi. Gli uomini raccoglievano i vestiti negli appartamenti per poi caricarli su carri trainati da cavalli. I capi d’abbigliamento erano destinati all’aiuto tedesco d’inverno. Bronislaw Erlich rimane in silenzio poi dice: “Un uomo in pericolo di vita non è un eroe. Lui fa di tutto per sopravvivere”. Se trovava qualcosa da mangiare nelle dispense dei deportati, se lo metteva in tasca.

Trovò scarpe e pantaloni nuovi e una giacca di pelliccia di pecora. Di sera, gli uomini della colonna di lavoro venivano riportati in prigione. Di giorno, la sorveglianza era meno severa che nel lager. Un pomeriggio Bronislaw si imbatté imbattuto nel cognato del contadino Karol Urbanowicz, un avvocato, che lo invitò a casa sua.

L’avvocato consultò i suoi archivi e trovò il certificato di nascita di una donna, Bronislawa Karkos, nata nel 1912. Bronislaw, che aveva una certa esperienza in fatto di grafica, sapeva come cancellare una “a” con una lametta da barba senza che si notasse. Come trasformare Bronislawa in Bronislaw e un “1912” in “1920” – sarebbe stato troppo difficile scrivere il suo vero anno di nascita, il 1923. Un certificato di nascita falso, una nuova identità e così Bronislaw decise di scappare. Si nascose poco prima che la guardia carceraria venisse a riportarlo in prigione per la notte. Quando sopraggiunsero le tenebre si mise in marcia.

In Germania

Nel dicembre 1942, nei pressi di Bialystok, un contadino lo assunse come bracciante. Per tre mesi lavorò lì finché un soldato polacco tornò al villaggio in licenza. Il soldato era stato prigioniero di guerra in Germania e poi aveva dovuto lavorare in un’azienda agricola. E ora non voleva più tornare in Germania. Ne aveva abbastanza. E visto che nel villaggio c’era bisogno di braccia forti, Bronislaw venne mandato al suo posto a Illeben in Turingia, in Germania. Il primo aprile 1943 raggiunse la fattoria del contadino Schönau.

Gli occhi svelano se si ha paura

Nella primavera del 2019, Bronislaw Erlich parla senza interruzione per tre ore. Stanco? “No”. Sopravvivere è stato un enorme atto di volontà. Non ci si poteva distrarre un attimo. Una sola parola ebrea, messa lì per caso in una frase tedesca, e sarebbe stato spacciato. “C’era chi sospettava di me”. Paura? Non poteva averne. “Gli occhi svelano la paura. Se si ha paura, si viene scoperti”.

Ma ci sono immagini che sono rimaste impresse. Ad esempio, quando gli cadde a terra una patata mentre mangiava. La contadina lo guardò con occhi diffidenti. Lui si chinò e la raccolse, la pulì e la rimise nel piatto. La donna disse trionfante: “Se fossi un ebreo, non l’avresti mai fatto”. Un ebreo non mangerebbe più la patata, gli ha spiegò la padrona di casa.

Altri sviluppi

Di notte, quando non riesce a dormire, si chiede che fine ha fatto la sua famiglia. La sorella è sopravvissuta alla deportazione in Siberia. L’ha rivista nel 1946. I suoi genitori e Jakob, il fratello minore, che cosa hanno vissuto? Quando sono morti? E come? Domande senza risposta.

Nel suo passaporto c’è sempre ancora la data sbagliata. Il nome lo ha fatto cambiare, perché ci si sia dimenticati della data di nascita, non lo sa più, probabilmente “perché c’erano problemi maggiori”. Una volta, un 14 luglio, il sindaco di Belp, il suo ex comune di residenza, gli ha portato un mazzo di fiori e gli ha fatto gli auguri per il compleanno. Il giorno sbagliato e tre anni in anticipo. “Abbiamo riso insieme e abbiamo brindato con vodka”.

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