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Il salario minimo non seduce gli svizzeri

I servizi di pulizie sono tra i rami con la quota più elevata di bassi salari: oltre il 40% dei dipendenti è pagato meno del minimo di 22 franchi all'ora proposto dall'iniziativa dell'Unione sindacale svizzera Keystone

La proposta d’introdurre un salario minimo nazionale in Svizzera, in votazione il 18 maggio, appare già condannata. Molto combattuta si profila invece la partita sull’acquisto dei caccia svedesi Gripen, che attualmente sarebbe bocciato, secondo i risultati del primo sondaggio dell’istituto gfs.bern.

Con il 52% di no e il 40% di sì, se si fosse votato ora, l’iniziativa popolare “Per la protezione di salari equi (Iniziativa sui salari minimi)”, non avrebbe avuto scampo, è emerso dall’indagine demoscopica, realizzata per conto della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR.

L’esiguo 8% di indecisi e il processo di formazione delle opinioni molto avanzato non lasciano presagire un eventuale capovolgimento della situazione entro il 18 maggio, ha indicato il responsabile del gfs.bern, Claude Longchamp, illustrando i risultati pubblicati venerdì. Tanto più che solitamente per le iniziative, man mano che ci si avvicina alla scadenza del voto, s’indebolisce il sostegno e si rafforza l’opposizione.

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1° sondaggio gfs.bern/SSR

Questo contenuto è stato pubblicato al Nell’indagine demoscopica condotta un mese e mezzo prima del voto, l’iniziativa popolare “Per la protezione di salari equi (Iniziativa sui salari minimi)”, è risultata respinta con il 52% di no contro il 40% di sì. L’8% non ha ancora un’opinione. Pure rifiutata la legge sul fondo per l’acquisto degli aerei da combattimento svedesi Gripen, con…

Di più 1° sondaggio gfs.bern/SSR

Promossa dall’Unione sindacale svizzera (USS), sostenuta dalla sinistra e combattuta dal padronato e dai partiti di destra e di centro, anche nell’elettorato l’iniziativa riflette il classico schema antagonista destra-sinistra. Tra gli elettori senza alcun legame partitico, i pareri sono più divisi e c’è molta più indecisione (17%). Ma anche tra costoro prevalgono i no: il 47%, contro il 36% di sì.

E in questa battaglia fortemente polarizzata, non c’è un argomento dei fautori di uno stipendio minimo legale su scala nazionale che faccia ampiamente presa sull’elettorato. A convincere una maggioranza di elettori sono invece essenzialmente due argomenti degli oppositori: si tratterebbe di un dettame dello Stato nell’economia privata e provocherebbe il taglio di posti di lavoro.

Per la seconda indagine demoscopica in vista della votazione federale del 18 maggio 2014, l’istituto gfs.bern ha intervistato telefonicamente 1’209 persone con diritto di voto, ripartite in tutte le regioni linguistiche della Svizzera, tra il 29 marzo e il 4 aprile.

Per motivi legati alla protezione dei dati, le autorità non mettono più a disposizione le coordinate degli svizzeri residenti all’estero, che perciò non sono più presi in considerazione nei sondaggi condotti su mandato della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR.

Il margine di errore è di ±2,9 punti percentuali.

Latini per il salario minimo

Fatto curioso, non è tra coloro che guadagnano di meno, che il testo raccoglie più consensi, bensì tra la classe di stipendi medio-alta. Mentre tra chi ha una paga mensile al massimo di 3’000 franchi i sì sono al 42%, contro il 39% di no e il 19% di indecisi, tra chi ha una retribuzione tra i 7’000 e i 9’000 franchi al mese i sì sono il 55%, contro il 38% di no e il 7% di indecisi.

Al momento appare una frattura linguistico-culturale, con la Svizzera tedesca contraria all’iniziativa (57% no, 37% sì), mentre la Svizzera francese (50% sì, 39% no) e italiana (46% sì, 39% no) sono favorevoli. Ma, considerata la fascia di incerti e di coloro che esprimono solo un’opinione tendenziale – in totale il 52% nella Svizzera francese e il 51% in quella italiana –nel corso della campagna, i fautori del salario minimo potrebbero perdere il vantaggio nella Svizzera latina.

Aspra lotta sugli aerei da combattimento

Ben lungi dall’essere segnato appare il destino del piano dell’esercito svizzero di dotarsi di 22 caccia svedesi Gripen, per un costo totale di 3,1 miliardi di franchi distribuiti sui prossimi undici anni. Nel sondaggio, la legge per l’istituzione del fondo destinato all’acquisto è rifiutata nella misura del 52%, contro il 42% di sì e il 6% d’indecisi.

Nonostante le turbolenze attuali, il vento potrebbe ancora girare in favore dell’aviogetto di fabbricazione svedese, prevede Longchamp, analizzando dettagliatamente i risultati dell’indagine rappresentativa. In entrambi i campi c’è infatti una quota del 17% che si dice solo “tendenzialmente” a favore o contrario. Aggiunti a coloro che non hanno ancora un’idea di come voteranno, costituiscono una proporzione del 40% d’incertezza che pesa sul voto.

La capacità di convincimento e di mobilitazione dei due campi sarà determinante e la partita potrebbe anche decidersi sul filo di lana. Di certo sarà il tema più scottante della campagna per lo scrutinio del 18 maggio, assicura il responsabile del gfs.bern.

Secondo il politologo, il “punto critico” dell’acquisto sono i costi: perfino tra i suoi fautori, una leggera maggioranza non giudica giudiziosa la spesa di circa 300 milioni di franchi all’anno per i prossimi 11 anni. E questo è proprio il cavallo di battaglia degli avversari, rileva Longchamp. Se questo argomento dovesse prevalere nelle motivazioni dei votanti, allora la legge sul Fondo Gripen verrebbe affossata dall’elettorato.

Intanto comunque regna la suspense totale. Forse nel secondo sondaggio, una settimana e mezza prima dello scrutinio, si potrà azzardare un pronostico.

Nonostante i temi caldi che compongono il nutrito ordine del giorno della votazione del 18 maggio, ancora una volta sembra che a decidere sarà una minoranza dell’elettorato elvetico. Nel 1° sondaggio del gfs.bern, soltanto il 45% degli intervistati ha detto che voterà di sicuro. Solitamente la mobilitazione progredisce leggermente con l’avvicinarsi dell’appuntamento con le urne e si traduce in una partecipazione effettiva di circa 3 punti percentuali superiore agli intenti di questo momento della campagna. Ciò significa che il 18 maggio si dovrebbe registrare una partecipazione nella media pluriennale, ma nettamente inferiore a quella segnata nell’ultima votazione, il 9 febbraio, quando l’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” ha mobilitato più del 55% dell’elettorato.

Sui pedofili una decisione viscerale

Nessun influsso avrà invece la campagna sull’iniziativa “Affinché i pedofili non lavorino più con i fanciulli”, che nel sondaggio è plebiscitata con il 74% di sì, il 19% di no e il 7% d’indecisi. Ben il 52% ha dichiarato che approverà di sicuro il testo che vuole proibire a perpetuità di esercitare attività a contatto con fanciulli o persone dipendenti a chi è stato condannato per abusi sessuali su minori o persone incapaci di resistere. Si tratta di una cifra “veramente eccezionale”, sottolinea la ricercatrice del gfs.bern Martina Imfeld.

Benché la stragrande maggioranza sia già assolutamente certa di come voterà, il sondaggio ha evidenziato che non si tratta di convinzioni argomentate e basate sulla conoscenza del tema. “Sarà una decisione di pancia, non razionale”, ha osservato la politologa. Un voto emozionale su un’iniziativa che sfonda tra gli elettori di tutti i partiti, anche di tutti quelli che raccomandano il no.

Sostegno popolare ai medici di famiglia

Una solida approvazione popolare si preannuncia anche per il quarto oggetto in votazione: l’articolo costituzionale sulle cure mediche di base, che promuove la medicina di famiglia. Messo in ombra dagli altri temi, è l’oggetto sul quale si registra la più alta proporzione di elettori che non sanno ancora cosa voteranno: il 24%. Ma solo il 10% si esprime contro, mentre il 66% sostiene questo articolo avversato unicamente dall’Unione democratica di centro, che però non fa una campagna attiva. Il voto su questo oggetto non riserverà dunque sorprese.

Ad eccezione della Legge sul Fondo Gripen, per la quale basterà la maggioranza semplice dei votanti, tutti gli altri oggetti per essere approvati dovranno ottenere anche la maggioranza di sì dei cantoni, poiché comportano modifiche costituzionali.

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