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Lombardia e Veneto, le due vie per l’autonomia

Adesso tutti a Roma per ottenere il maggior numero di autonomie possibili. Questo il messaggio dei due presidenti - Maroni e Zaia - all'indomani del referendum consultivo. E se in Veneto Zaia ha fatto un passo indietro, dopo aver parlato di statuto speciale e fisco, Maroni ha già presentato la bozza sulle rivendicazioni che la Lombardia porterà a Roma.

Nessuno perde tempo. Tanto meno la Lombardia. Maroni nel giro di dieci giorni vuole trasformare la bozza in risoluzione che il governatore porterà al tavolo delle trattative con il governo romano. In breve la Lombardia chiederà più competenze in tutti quegli ambiti che prevedono la trattenuta dei proventi erariali e la loro ridistribuisce sul territorio lombardo: infrastrutture, strade, sanità, scuola, cultura e molto altro ancora fino ad arrivare al canone RAI.

In Veneto, dove Zaia ha dovuto far marcia indietro dopo i primi proclami a seggi chiusi domenica scorsa, ora punta ad avere le autonomie in tutte le materie di legislazione concorrente previste dalla Costituzione italianaCollegamento esterno: “avremo tutte le 23 materie che chiediamo, e su questo non ci saranno passi indietro, tecnici e giuristi ci dicono che per finanziarle lo Stato dovrà giocoforza concederci risorse pari ai dove decimi delle nostre tasse e questo ci porterà di fatto, non in diritto, ad essere uguali a Trento e Bolzano”.

Fretta di concludere

Maroni farà di tutto per convincere il Consiglio regionale ad approvare il prima possibile la risoluzione affinché si possa intavolare le discussioni con Roma già in novembre. Zaia  ha costituito la Consulta del Veneto, convocandola già  per venerdì 3 novembre. Entrambi i presidenti vogliono arrivare a una soluzione ancora con il governo Gentiloni. Prima dunque delle elezioni politiche previste nella primavera 2018.

Sarà la volta buona?

Come ci ricorda Nicola Pasini, docente alla facoltà di sciente politiche dell’Università statale di Milano, non è la prima volta che le due regioni chiedono maggiori autonomie. A inizio secolo con Silvio Berlusconi presidente del Consiglio e Roberto Formigoni governatore a Milano, la Lombardia non portò a casa nulla. Anche se sia a Roma, sia a Milano governava la stessa forza politica. Anche in Veneto, il presidente era Giancarlo Galan di Forza Italia, pur esprimendosi più volte sulla necessità che gli fosse riconosciuto lo statuto speciale, non ottenne mai nulla.

Oggi con due presidenti leghisti e un governo centrale di centrosinistra in balia di forze minori, non è matematico che i due governatori possano tornare a Milano e Venezia da vincitori.

Federalismo, autonomie, indipendenza

Le rivendicazioni per maggiori autonomie, per il federalismo fiscale, o addirittura per l’indipendenza sono cicliche. L’ultima ondata – ricorda ancora Nicola Pasini – fu ai tempi di Umberto Bossi negli anni ’90 del secondo scorso. Sebbene il Veneto soprattutto ma anche la Lombardia si fossero schierate contro lo Stato centrale (“Roma ladrona”), a conti fatti non si ebbe il coraggio di fare un ulteriore passo. Forse proprio perché si ebbe paura di intaccare profondamente l’unità nazionale. Inoltre le “vacche erano ancora grasse” e sebbene fosse già messa in discussione la solidarietà tra poveri e ricchi, la torta da spartire era più grande.

Ora con quanto succede in Europa, potrebbe essere il momento storico propizio per le regioni per avanzare nuove richieste al governo centrale. È anche vero però che le rivendicazioni federaliste e indipendentiste si sono assopite anche perché la globalizzazione ha creato i presupposti affinché la società si chiuda maggiormente all’interno di una nazione e non all’interno di una regione. Questa la tesi di Nicola Pasini.


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