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Una ventata di terrorismo russo raggiunge anche Zurigo

Andrea Caprez

Colpi d'arma da fuoco nella caserma della polizia di Zurigo e quattro uomini sconosciuti riescono a fuggire. Ma poi il giovane poliziotto Beck ricorda di aver già visto il volto di uno di loro. La pista conduce agli ambienti anarchici. Un giallo del 1907.

Il 3 giugno 1907 è un grande giorno per la recluta Beck. Finalmente può indossare un’uniforme e iniziare il suo primo turno di guardia notturna nella caserma della polizia di Zurigo. Poco dopo mezzanotte, quattro uomini suonano il campanello del portone principale. Mentre Beck chiede loro gentilmente cosa desiderano, uno dei quattro estrae una pistola e irrompe nell’atrio dell’ingresso.

Beck cerca di mettersi al riparo e bussa alla porta della stanza in cui si trovano le altre guardie. Ma i suoi colleghi si sono trincerati nel locale e non intendono lasciarlo entrare. Beck grida ad alta voce per chiedere aiuto. La risposta sono dei colpi d’arma da fuoco.

“Erano senza dubbio dei russi”

Il primo proiettile infrange un vetro, il secondo attraversa la porta di un ufficio, un altro si incastra in una parete. Scatta l’allarme e gli intrusi fuggono.

L’attacco è durato meno di cinque minuti. L’intero corpo di polizia si riversa per le strade per inseguire i fuggitivi, ma di loro non vi è più nessuna traccia.

L’ingresso della caserma della polizia dove è avvenuto l’attacco perpetrato nel 1907 dagli anarchici. Stadtarchiv Zürich

Tremante, Beck dice al suo superiore che gli aggressori erano sicuramente dei russi. Il comandante ordina immediatamente una retata negli ambienti russi: una cinquantina di persone vengono prelevate dai loro letti e portate via. In mancanza di prove, gli arrestati sono rilasciati lo stesso pomeriggio.

Bombaroli nei quartieri residenziali?

Lo stesso giorno, tre bambini del quartiere operaio di Aussersihl scoprono una lattina colorata in un foro delle condutture di scarico. Incuriositi, cercano di aprirla. La lattina esplode con un boato assordante, ferendo i ragazzi al volto e alle gambe.

Questi eventi sollevano grande scalpore. “Zurigo sotto il terrorismo rosso”, scrive il quotidiano Zürcher Volksblatt. Il giornale socialista Volksrecht condanna i “mascalzoni criminali”, “persone senza cervello” che hanno piazzato una bomba nel quartiere più popolato di Zurigo.

I giornalisti sono convinti che i bombaroli sono immigrati russi. Non è la prima volta che cittadini russi residenti a Zurigo sperimentano esplosivi mortali. La comunità russa di Zurigo è tenuta d’occhio dalla polizia, soprattutto da quando una studentessa russa ha cercato di sparare ad un ex ministro dell’interno russo in un grande albergo svizzero.

Tentativo di liberare un assassino

La stampa ritiene che i russi volevano probabilmente liberare dalla caserma della polizia il prigioniero Georg Kilaschitzki. Questo giovane polacco aveva partecipato all’assassinio di un alto funzionario russo ed era fuggito all’estero.

Il governo russo aveva chiesto la sua estradizione, dopo che le spie del regime dello zar lo avevano ritrovato a Zurigo. Kilaschitzki aveva domandato l’asilo politico alla Svizzera, affermando che il suo atto era dovuto a ragioni politiche.

Chiamato a pronunciarsi su questo caso, il Tribunale federale non si dichiara d’accordo: il giovane voleva vendicare operai maltrattati. L’omicidio era frutto di uno “spirito terroristico” e nulla impediva pertanto l’estradizione.

“Il vento russo comincia a soffiare in Svizzera”, si indigna la Neue Zürcher Zeitung.

Prova di servilismo

Questa sentenza suscita l’indignazione della sinistra. Per il quotidiano Berner Tagwacht si tratta di una “dimostrazione di servilismo” nei confronti del governo russo. “I nostri semplici e solidi antenati sputerebbero sulle teste dei magistrati e degli statisti di oggi”.

Proteste giungono da tutta Europa. L’ufficio dell’Internazionale socialista a Bruxelles definisce i giudici svizzeri “scagnozzi dello zar”, chiedendosi: “Il popolo svizzero vuole umiliarsi a tal punto da diventare il servo del boia? ” Le proteste si rivelano inutili.

Kilaschitzki rimane in prigione in attesa della sua estradizione.

Pericolo russo

La stampa sospetta rapidamente un legame tra la retata e l’esplosione della bomba. Temendo una perquisizione, i russi hanno probabilmente tentato di rimuovere tutto il materiale incriminante dalle loro abitazioni. “Il vento russo comincia a soffiare in Svizzera”, scrive in tono indignato la Neue Zürcher Zeitung.

“Quest’aria è velenosa, distruttiva; è impregnata di dinamite ed esplosivi che distruggono le cose fisiche tanto quanto i beni morali”. Il giornale invita il governo a non offrire più rifugio a questa “pericolosa marmaglia” e lancia un appello per donazioni allo scopo di pagare le spese mediche dei bambini feriti.

Nel 2014, Limmat Verlag ha pubblicato una biografia di Ernst Frick, che ha vissuto una vita da artista dopo gli anni trascorsi in prigione. Buchcover

Pista verso l’anarchico svizzero Frick

Quando la recluta Beck riesce a riprendersi dallo spavento, si ricorda di aver già visto uno degli aggressori. È il noto anarchico Ernst Frick, che ama criticare l’esercito, definendolo il “cane di guardia del capitale”, e minaccia pubblicamente di voler legare i ricchi ai lampioni dopo la rivoluzione.

Ritrovato dopo qualche settimana, Frick sostiene di aver trascorso la notte dell’attentato a Berna, nella casa di Margarethe Faas-Hardegger, impiegata presso l’Unione sindacale svizzera. Nella sua stanza vengono però rintracciate cartucce identiche a quelle sparate nella caserma e Frick viene accusato di tentato omicidio, nonostante il suo alibi.

L’alibi della sindacalista

Margarethe Faas-Hardegger conferma l’alibi di Ernst Frick davanti alla giuria di Zurigo. E afferma di aver sbrigato la corrispondenza quella notte, mentre aspettava Frick. “È arrivato alle tre. E dopo che abbiamo parlato di alcune vicende politiche, è andato nella camera da letto a disposizione degli ospiti.

l giudice è scettico e chiede: “Non sono orari di lavoro insoliti per una segretaria dei lavoratori? Ma Margarethe Faas-Hardegger risponde senza lasciarsi scomporre: “Sono sostenitrice di moderni metodi di lavoro che non sono legati all’orario d’ufficio.” L’alibi di una funzionaria sindacale ha più peso delle cartucce trovate da Frick. L’anarchico lascia così l’aula del tribunale come uomo libero. 

Confessione di un anarchico svizzero in Germania

Quattro anni dopo si verifica un inaspettato colpo di scena. Rinchiuso in una fosca cella di prigione in Germania, l’anarchico svizzero Robert Scheidegger ha nostalgia della moglie e dei figli e soffre di disturbi psichici. Si lascia persuadere dal sacerdote del carcere a iniziare una nuova vita. Un giorno confessa che, insieme al suo amico Ernst Frick e ad altri due anarchici, ha attaccato la caserma della polizia per liberare il russo Kilaschitzki.

Preso dal panico, ha gettato via la bomba, che il giorno dopo è esplosa, ferendo i bambini. Quando una copia della confessione arriva a Zurigo, il pubblico ministero ordina l’arresto immediato di Ernst Frick e Margarethe Faas-Hardegger.

Nell’aprile 1912, Robert Scheidegger viene estradato in Svizzera. È in pessimo stato di salute mentale. Il procuratore giunge alla conclusione che soffre di paranoia e ossessioni religiose e chiude il caso.

Ma a questo punto interviene il pubblico ministero federale Otto Kronauer, noto per dare la caccia agli anarchici. Poiché i reati relativi agli esplosivi rientrano nella sfera di competenza del governo federale, Kronauer sporge denuncia contro Frick per impiego di esplosivi “a fini criminali”.

Quanto è pericolosa la bomba?

Il processo fa notizia per settimane. Nell’aula di tribunale piena di gente, i medici discutono per ore sullo stato mentale di Robert Scheidegger e gli esperti di esplosivi dibattono sul grado di pericolo della bomba nella lattina.

Margarethe Faas-Hardegger ha pagato un prezzo amaro per la sua dichiarazione. Archiv Gewerkschaftsbund.

Vengono interrogati una trentina di testimoni, tra cui Margarethe Faas-Hardegger. La donna si contraddice in modo pericoloso. Non solo per il suo amico Ernst Frick, ma anche per se stessa. Se Frick viene condannato, rischia un procedimento penale per falsa testimonianza.

Per finire, Ernst Frick viene dichiarato colpevole. Rispetto ai dieci anni di prigione richiesti dal procuratore federale Kronauer, se la cava a buon mercato, ricevendo un solo anno da scontare.

La vittima è la donna

Poco dopo, Margarethe Faas-Hardegger viene condannata a quattro mesi di carcere per falsa testimonianza e deve pagare spese procedurali di 1200 franchi. Perde la sua rispettabilità borghese e si ritrova contro anche il movimento operaio, poiché voleva proteggere un anarchico violento.

Solo Skorpion, la rivista dei giovani socialisti radicali, la difende: “Camminava con orgoglio verso la prigione, consapevole di aver fatto il suo dovere. Farisei, scribi, sacerdoti e miserabili vermi la chiamano ‘criminale’. Ma per milioni di persone di una nuova generazione, è un eroina”.

L’attacco alla caserma della polizia porta una svolta involontaria non solo nella vita di Margarethe Faas-Hardegger. La recluta Beck rinuncia rapidamente alla sua uniforme e torna al suo lavoro precedente di fabbro.

Ma il destino peggiore spetta a Georg Kilaschitzki. Poco dopo l’attacco, viene estradato in Russia “in silenzio”. A parte le voci secondo cui viene ucciso durante un “cosiddetto tentativo di fuga” da una prigione russa, in Svizzera non si sente mai più parlare di lui. 

Attentati in Svizzera 

Ripercorrendo la storia della Svizzera si scopre che gli atti di violenza a sfondo politico nel Paese un tempo erano molto più frequenti di quanto si possa supporre oggi. Il primo attacco terroristico sul suolo elvetico fu commesso nel 1898 contro l’imperatrice Elisabetta d’Austria, che fu pugnalata dall’anarchico Luigi Luccheni. Sissi fu la prima vittima del terrore anarchico in Svizzera, ma non l’unica. 

All’inizio del XX secolo la Svizzera fu teatro di una vera e propria ondata di violenza terroristica. Gli anarchici fecero irruzione in banche e nella caserma della polizia di Zurigo, cercarono di far saltare in aria dei treni, ricattarono degli industriali, compierono attentati dinamitardi e uccisero degli avversari politici. 

La maggior parte dei responsabili proveniva dall’estero: russi, italiani, tedeschi e austriaci che avevano trovato asilo politico in Svizzera. Solo una minoranza degli autori era svizzera. La maggior parte di costoro era in stretto contatto con anarchici stranieri. In generale, tuttavia, causarono più orrore che danni. E a volte erano talmente dilettanti da farsi esplodere accidentalmente mentre costruivano le loro bombe. 

Per la Svizzera, gli atti di violenza anarchici furono una sfida politica: il paese reagì con espulsioni e l’inasprimento delle leggi. Nella cosiddetta legge sugli anarchici del 1894, furono aumentate le pene per tutti i reati commessi con l’ausilio di esplosivi e furono resi punibili gli atti preparatori. Al contempo, però, la Svizzera rifiutò di inasprire le disposizioni legislative sull’asilo, che offrivano una generosa protezione ai perseguitati politici.

Traduzione di Armando Mombelli

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