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Sergio Marchionne il condottiero

Nello spazio di pochi anni, Marchionne è diventato uno dei manager più rispettati nel mondo Reuters

Ha salvato la Fiat e nelle ultime settimane si è lanciato all'assalto di Chrysler ed Opel. Ritratto di un manager che ha profondi legami anche con la Svizzera.

Ma dove si fermerà? La domanda se la devono essere posti in molti nelle ultime settimane. Sergio Marchionne sembra infatti inarrestabile: dopo solo alcuni giorni dalla firma dell’accordo per entrare nel capitale della Chrysler, lunedì l’amministratore delegato della Fiat era a Berlino, per discutere col ministro dell’economia Karl-Theodor zu Guttenberg di una possibile unione tra il gruppo italiano e la Opel, controllata dalla General Motors.

L’operazione rappresenterebbe «un matrimonio perfetto dal punto di vista ingegneristico ed industriale», ha affermato Marchionne. Se dovesse vedere la luce, il nuovo gruppo avrebbe un fatturato di circa 80 miliardi di euro all’anno, ciò che darebbe vita alla seconda casa automobilistica al mondo dopo la Toyota.

Anche se l’offerta presentata dalla Fiat è stata definita «interessante» dal ministro dell’economia tedesco, i giochi non sono ancora fatti. Alla Opel si sono infatti interessati anche altri gruppi, tra cui ad esempio il produttore austro-canadese Magna di componenti automobilistiche.

Una cosa è però certa: «Super Sergio» – uno dei tanti soprannomi di Marchionne – non è uomo da lasciarsi intimorire dagli ostacoli.

Le prime armi in Svizzera

Nato nel 1952 a Chieti, figlio di un carabiniere, all’età di 14 anni emigra in Canada assieme alla sua famiglia. A Toronto si laurea in legge, completa gli studi universitari in filosofia e consegue un diploma di esperto contabile.

Dal 1983 al 1985 lavora per Deloitte Touche, come esperto fiscale. Nel 1985 passa al Lawson Mardon Group di Toronto, acquistato nel 1994 dalla società svizzera Alusuisse Lonza. Trasferitosi a Zurigo, Marchionne scala velocemente i gradini del potere, fino a diventare nel 1997 amministratore delegato dell’azienda elvetica.

In queste vesti guida con successo la separazione in due entità della storica ditta: il comparto alluminio viene venduto alla canadese Alcan, mentre quello chimico è raggruppato nella nuova società Lonza.

Chiamato nel 2002 al capezzale della ginevrina SGS, leader mondiale nei servizi di verifica e di certificazione industriale, Marchionne riesce nello spazio di soli due anni a far uscire dalla crisi la società e a raddoppiarne gli utili.

Il grande salto

In seno al gruppo ginevrino, Marchionne sopprime numerosi gradini gerarchici, preludio di quello che poi avverrà alla Fiat. «Per lui gli stati maggiori servono solo a fornire un sostegno al settore produttivo», sottolineava un suo collaboratore in un articolo pubblicato dal giornale tedesco Die Zeit.

Nel maggio del 2004 il grande salto: John Elkann, nipote di Gianni Agnelli, gli propone di prendere le redini della Fiat. Il gruppo è sull’orlo del precipizio (perde 2 milioni di euro al giorno e ha 10 miliardi di euro di debiti). Marchionne esita, poi accetta. «Sono nato in questo paese e, quando si è italiani, si porta un profondo rispetto alla famiglia Agnelli. Quando uno dei suoi membri ti domanda qualcosa non si può rifiutare», aveva dichiarato alla rivista francese Le Point.

A Torino, all’inizio, in pochi avrebbero puntato un centesimo su di lui. Sconosciuto nella Penisola, senza nessuna esperienza nel ramo automobilistico e con uno stile assai diverso da quello in voga in Italia – è stato probabilmente il primo dirigente di una grande azienda italiana a presentarsi vestito con un pullover nero davanti a una platea di analisti internazionali – Marchionne sembra destinato ad essere una meteora, come le quattro persone che si erano succedute alla testa della Fiat nei due anni precedenti.

Scommessa vinta

In realtà questa scarsa conoscenza della cultura industriale del gruppo torinese è anche un suo punto di forza: «Venendo da fuori, il fatto di smantellare qualcosa che non avevo costruito non intaccava né la mia fierezza né il mio istinto di possesso. Quindi è stato semplice, ho mandato a casa tutto il vecchio management».

Dopo meno di un anno dalla sua entrata in funzione, riesce a mettere a segno il primo grande colpo, facendo uscire la Fiat dal girone della General Motors e rientrando dagli Stati Uniti con un assegno di 2 miliardi di dollari in tasca.

Con le mani ormai libere, Marchionne, attorniato da un gruppo di giovani e fedelissimi manager, può compiere la sua rivoluzione, senza per questo procedere a licenziamenti di massa, guadagnandosi così il rispetto dei sindacati. Riduzione dei costi, lancio di nuovi modelli, tra cui in particolare la Fiat Grande Punto (auto più venduta in Italia nel 2006 e nel 2007), la 500 o l’Alfa 159… Il gruppo di Torino ritrova le cifre nere già nel 2005.

Nel Cda dell’UBS

Anche se trascorre gran parte del suo tempo in Italia, il manager dell’anno 2008 risiede ufficialmente con la sua famiglia in Svizzera, sulle rive del Lago Lemano. «Viaggio enormemente», aveva dichiarato alla rivista svizzera L’Hebdo, in una delle rare interviste concesse negli ultimi anni, «ma il solo posto che considero veramente come il mio focolare domestico è la mia casa in Svizzera».

Del resto, in Svizzera conserva ancora due incarichi importanti nei consigli d’amministrazione della SGS e dell’UBS. «Mister Blackberry» – un altro dei suoi soprannomi – è entrato nel cda della banca svizzera all’inizio del 2007. Un incarico che si è rivelato più difficile del previsto, a causa dei profondi scossoni che negli ultimi mesi hanno messo a dura prova la sopravvivenza della banca.

Questa storia con l’UBS potrebbe però presto finire: Marchionne ha infatti dichiarato appena due giorni fa al Financial Times «di non potere fare tutto», aggiungendo che probabilmente non si ripresenterà per una rielezione alla fine del suo mandato nella primavera del 2010. Insomma, pur dormendo solo cinque ore per notte e lavorando sette giorni su sette, anche «Super Sergio» ha dei limiti.

Daniele Mariani, swissinfo.ch

Se dovesse andare in porto, l’acquisto della Opel da parte della Fiat rappresenterebbe una delle operazioni più importanti degli ultimi decenni nel mondo dell’automobile.

Negli ultimi 40 anni i matrimoni in questo settore sono stati numerosi e numerosi sono stati anche i divorzi. Tra gli esempi menzionati solo l’alleanza tra Renault e Nissan è ancora in piedi.

1968: Fiat acquista il 49% di Citroen da Michelin, a cui rimane il 51%. L’alleanza si interrompe cinque anni dopo.

1987: Ford compera una quota in Aston Martin.

1989: Ford acquista la Jaguar per 2,5 miliardi di dollari.
– General Motors acquista il 50% di Saab.

1990: Volkswagen aggiunge Skoda alla rosa delle sue
controllate (Audi e Seat).

1994: Bmw acquista la Rover, produttrice anche dei marchi MG, Land Rover e Mini per un miliardo di sterline.
– Ford diventa proprietaria dell’Aston Martin.

1998: Si celebra il ‘matrimonio del secolo’ fra la tedesca Daimler e l’americana Chrysler, che insieme danno vita alla DaimlerChrysler, quinto produttore mondiale.
– La Volkswagen si aggiudica i marchi Rolls-Ryoce e Bentley ed acquista la Lamborghini e la Bugatti.

1999: Ford acquista la divisione auto della Volvo.
– Renault entra nel capitale di Nissan Motor con una quota del 36,8%, prendendone il controllo.

2000: Nasce l’alleanza tra Fiat e General Motors, che finirà nel 2005.
– Bmw vende Land Rover a Ford, che la inserisce assieme a Jaguar
e Aston Martin nel Premier Automotive Group.

2005: la MG Rover è acquisita dalla compagnia cinese Nanjing
Automobili.
– La Porsche diventa il maggiore azionista di Volkswagen.

2007: Si smembra la DaimlerChrysler. La Daimler cede l’80% del capitale Chrysler al fondo d’investimento Usa Cerberus, mantenendo il 19,9%.

2008: La indiana Tata acquisisce da Ford i marchi Jaguar e Land Rover per 2,3 miliardi di dollari.

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