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Il regista che ha dato voce agli stagionali

Alexander J. Seiler nel suo appartamento a Zurigo. Keystone

Con "Siamo italiani", un documentario-denuncia uscito nel 1964, Alexander J. Seiler ha partecipato alla nascita del nuovo cinema svizzero, portando per la prima volta sul grande schermo la figura dello straniero. Oggi la Svizzera premia questo 86enne con un "Oscar" alla carriera. Incontro.

«Fare documentari era per noi un modo per dar voce alla gente e portare alla luce una realtà di emarginazione. D’altronde come dice il nome stesso, un film documentario è di fatto un documento. A spingerci era il bisogno sociale e politico di mostrare un altro volto della Svizzera».

Schietto, a volte provocatorio, Alexander J. Seiler soppesa con rigore ogni parola. A volte s’infervora e lascia trasparire la passione che l’ha guidato in oltre quarant’anni di carriera. Lui che oltre ad essere stato regista, autore e produttore, ha dato anima e corpo affinché il cinema svizzero fosse sostenuto e valorizzato. Lo incontriamo nel suo appartamento di Zurigo, in un quartiere popolare.

Dalla difesa spirituale alla denuncia sociale

Nato a Zurigo nel 1928, Alexander J. Seiler debutta nel mondo del cinema all’inizio degli anni Sessanta, con un cortometraggio realizzato su richiesta dell’ufficio nazionale del turismo e premiato con la Palma d’oro a Cannes. Malgrado questo riconoscimento artistico, Seiler e Rob Gnant, fotografo col quale collaborerà a più riprese, non sono soddisfatti. Vogliono un cinema diverso, che confronti i miti alla realtà del paese.

Un piccolo popolo sovrano si sente in pericolo: cercavamo braccia, sono arrivati uomini.

A quell’epoca la Svizzera non conosce ancora un’industria cinematografica e la cultura risponde a una missione di «difesa spirituale» post bellica. L’obiettivo è promuovere i valori elvetici contro lo spettro del comunismo. «Si parlava di democrazia perfetta, di unità nazionale, ma non dei problemi della gente», ricalca il regista.

Nel 1964 arriva però la svolta. All’esposizione nazionale di Losanna, il cinema è utilizzato per la prima volta come strumento di analisi critica, attraverso i cinque cortometraggi di Henry Brandt (“La Svizzera s’interroga”). Ma il ’64 coincide anche con l’uscita di “Siamo Italiani”, un documentario che per la prima volta nella storia elvetica porta sul grande schermo la figura dello straniero, dandogli la parola. Con questo spaccato di storia degli stagionali, Seiler inaugura la tradizione del documentario impegnato nella Svizzera tedesca, mentre in quella francese sarà il cinema di finzione a farla da padrone, con personaggi come Alain Tanner, Claude Goretta o Michel Soutter.

Gli stagionali, quel “nemico” sconosciuto

Nel 1964, sono circa mezzo milione gli italiani che vivono e lavorano in Svizzera da stagionali. Una risorsa fondamentale per far fronte alla carenza di manodopera locale in un periodo di forte boom economico. La migrazione è scandita da regole ferree: gli stagionali possono restare per un massimo di nove mesi l’anno e inizialmente non hanno il diritto di far venire la propria famiglia. Spesso alloggiano in vecchie baracche e restano ai margini della società.«Gli italiani erano percepiti come un problema. C’era una xenofobia latente. In quanto uomini, però, restavano degli sconosciuti», afferma Alexander J. Seiler. «Proprio per questo rappresentavano il soggetto ideale per il tipo di documentario che io e Gnant volevamo fare».

Con la comunità italiana, Seiler ha inoltre un legame diretto: «Ho sempre amato questo paese. Mio nonno lavorava come architetto in Italia e mia madre era nata lì e parlava benissimo l’italiano».

I protagonisti prendono la parola

La novità di “Siamo italiani” non sta però unicamente nella scelta del soggetto, politicamente controverso. Il suo modo di girare ha segnato un punto di svolta, così come la tecnica utilizzata, quella del “cinema diretto”, con una camera silenziosa sulla spalla e il suono diretto sincronizzato.

Nel film non ci sono protagonisti. I volti anonimi, per evitare ripercussioni, e le testimonianze si susseguono a ritmo lento, mostrando stralci di vita quotidiana: il lavoro, la casa, la messa la domenica, le serate alla balera. Lo sguardo dei bambini. Le silouhette degli uomini immersi nella nebbia.

E poi quei commenti in sottofondo, voci senza volto di cittadini svizzeri che una dopo l’altra mettono in scena luoghi comuni sugli italiani: “Otto svizzeri fanno meno rumore di due italiani”; “Uno ha l’impressione, di essere lui lo straniero”; “Corrono dietro alle nostre donne”.

«Un piccolo popolo sovrano si sente in pericolo: cercavamo braccia, sono arrivati uomini», scriverà un anno dopo Max Frisch nella prefazione dell’eponimo libro di Seiler.

40 anni dopo, il conflitto d’identità

Alienazione, solitudine e oppressione fanno da fil rouge alla filmografia di Alexander J. Seiler. Nel 1977 esce quella che sarà l’opera più ambiziosa della sua carriera: “Die früchte der Arbeit”, un tentativo di fotografare la storia del movimento operaio in Svizzera. E più tardi, nel 1990, “Palaver, Palaver”, un documentario che ritraccia il dibattito politico sull’abolizione dell’esercito.

Regista impegnato, intellettuale di sinistra, Seiler ha dato origine ad accesi dibattiti politici con i suoi documentari. A partire da “Siamo italiani”, per il quale «sono state spese più parole del numero di spettatori in sala», sottolinea con una certa ironia. «Al cinema, il film è stato probabilmente un flop. È passato soprattutto alla televisione e nei circuiti paralleli».

Quasi a voler chiudere un cerchio, quarant’anni dopo “Siamo italiani”, Seiler torna a cercare alcuni dei protagonisti dell’epoca e i rispettivi figli. Girato in parte in un villaggio della Puglia, dove molti ex stagionali sono tornati a vivere, “Il vento di settembre” (2002) parla d’integrazione, di riscatto dalla povertà, ma soprattutto di un identità in bilico tra due mondi. Il film si apre proprio così, con i cosiddetti ”secondos” – i figli degli italiani rimasti in Svizzera – a chiedersi a quale paese appartengono, chi sono e da dove vengono.

Altri sviluppi

«Il vero documentario non esiste più»

Non sono solo i film però a fare di Seiler una delle figure di spicco del cinema svizzero. Il premio d’onore attribuitogli il 21 marzo 2014 dall’Ufficio federale della cultura rende omaggio anche al suo impegno per promuovere e sostenere un’industria sul nascere.

«Credo che abbia a che vedere con il mio passato di figlio unico. Non volevo restare da solo, avevo bisogno di condividere questa passione coi miei colleghi», racconta Seiler. Anche grazie al suo impulso sono nate, tra l’altro, le Giornate di Soletta (il festival del cinema svizzero), l’agenzia di promozione SwissFilms e la prima associazione di registi.

La fierezza lascia però spazio alla stizza, quando torniamo al presente. «Oggi il vero cinema documentario, quello socialmente e politicamente impegnato non esiste più. Salvo qualche rara eccezione». La nuova generazione ha forse rinnegato l’eredità militante degli anni Sessanta e Settanta? Il “politicamente corretto” ha avuto la meglio? Oppure ad ogni epoca corrisponde semplicemente un nuovo linguaggio? Ciò che è certo, è che il contesto attuale non è più quello della lotta di classe che faceva da sfondo a molti documentari dell’epoca. Ma anche il pubblico è cambiato, rincara Seiler. «Oggi, chissà, vuole solo divertirsi».

Nato il 6 agosto 1928 a Zurigo, Alexander J. Seiler studia filosofia e letteratura a Basilea, Parigi e Monaco. Nel 1957 ottiene un dottorato a Vienna con una tesi sulla scienza del teatro. Dapprima giornalista e critico, dal 1960 si dedica al cinema come autore, regista e produttore. Collabora regolarmente con June Kovach e Rob Gnant. Nel 1971 lancia una società di produzione con Kurt Gloor, Markus Imhoof, Fredi M. Murer e Yves Yersin. Seiler è cofondatore delle Giornate di Soletta e di quella che oggi è conosciuta come SwissFilms, l’agenzia di promozione cinematografica svizzera. Per diversi anni è stato inoltre membro dell’Associazione svizzera dei registi e della Commissione federale del cinema. Il 21 marzo 2014, Seiler riceve il Premio d’onore del cinema svizzero.

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