La televisione svizzera per l’Italia

Se una notizia vale 15 euro

Giornalisti alla fame? tvsvizzera

di Aldo Sofia

Durante una serata pubblica organizzata a Lugano si discuteva di giornalismo: la sua sopravvivenza nell’era della “rete”, le risorse finanziarie sempre più ridotte, le regole della professione, il controllo delle fonti, l’eterno problema dell’indipendenza. Fu uno dei partecipanti, Pablo Trincia, della nota rubrica televisiva italiana “Le Iene” (a volte controversa e contestata, spesso disincantata e coraggiosa) a gettare un macigno nello stagno di una discussione doverosa ma anche un po’ scontata.

Disse, in sostanza: qui parliamo di tutto ciò che minaccia la professione di chi informa, ma la prima minaccia sta dentro di noi, sta nelle nostre redazioni e nelle nostre testate, ed è la vergognosa situazione di assoluto e vergognoso precariato che in Italia conoscono molti collaboratori, soprattutto i più giovani, pagati con tariffe da fame”. Ci fu un attimo di imbarazzo. Ma la “iena” sollevava una delle questioni più consolidate ma anche meno conosciute del mondo editoriale della Penisola.

Me ne ero occupato anni fa, scrivendo da Roma. Ma non sembra che la situazione sia molto cambiata. Un’inchiesta pagata ai freelance 50 euro, un articolo 30, una notizia 15 euro. Un grosso problema, mettere insieme pranzo e cena. E non pochi cronisti costretti, per sopravvivere, a fare un secondo lavoro. Una realtà che non riguarda le grandi testate nazionali. Ma che caratterizza molte testate regionali, che, in un paese socialmente ed economicamente diversificato come l’Italia, dovrebbero invece costituire l’ossatura di un’informazione sana e credibile.

Sembra che l’apparizione dei giornali on-line abbia addirittura aggravato la situazione. Tariffe addirittura più basse. E quando si tratta di proposte video, le cose non vanno affatto meglio. Ci dice un conoscente che, addirittura, viene proposto il….non pagamento del contributo: col pretesto che, mettendo il linea un filmato, il portale fa un favore al giornalista, garantendogli una visibilità altrimenti impossibile.

D’accordo, la crisi dei giornali è pesante, ovunque. Sembra che in pochi anni, il mercato italiano abbia registrato una caduta vertiginosa delle vendite: oggi si sarebbe addirittura su un totale di cinque milioni di copie, l’equivalente della somma di due o tre tabloid popolari inglesi. Alla scarsa propensione alla lettura, e al problema dei quotidiani gratuiti, si sommano ormai gli effetti del giornalismo in rete. Il numero dei nostri lettori dell’on-line – ci disse il direttore di La Repubblica, Ezio Mauro – sta ormai superando o forse ha già superato quello del giornale cartaceo, e presto si porrà il problema di far pagare i media elettronici per evitare l’affossamento dei giornali stampati.

Sta di fatto che la precarietà che colpisce molti, troppi giornalisti free-lance crea problemi sostanziali, vitali, per un settore, quello della libera informazione, che dovrebbe essere uno degli elementi essenziali e imprescindibili del dibattito e del confronto democratico. Quale indipendenza ci si può attendere da operatori della professione sottopagati e spesso ricattabili? Quali inchieste coraggiose possono produrre colleghi non tutelati e sottopagati, per un lavoro che presuppone tempi lunghi di realizzazione, e da cui già diversi giornali hanno abdicato a causa dei costi elevati? Giornalisti precari, giornalismo precario: questo il grande rischio.

Innumerevoli sono state fin qui le proposte per rivedere le attuali legge sul finanziamento pubblico della stampa. I “grillini” ne auspicano addirittura la totale cancellazione, ritenendo che l’indipendenza e la libertà giornalistica siano ormai garantite dal web. Per ora, una pia, e pericola, illusione. Un’altra via è probabilmente migliore: lasciare i sussidi all’editoria, al limite anche migliorarli, costringendo però gli editori a utilizzare i milioni garantiti dallo Stato (quindi dai cittadini) per migliorare le condizioni di lavoro e salariali di un “esercito” di collaboratori sfruttati. E troppo spesso costretti ad arrendersi.

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