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Se l’accordo Ue-Canada va in pasto ai parlamenti nazionali

L'accordo commerciale Ue-Canada (CETA) include le denominazioni d'origine Codice della Strada, Giuffrè Editore, 1967, via wikimedia.org

di Mariasole Lisciandro (LaVoce.info)

Il Ceta negoziato tra Unione Europea e Canada è un buon accordo commerciale. L’entrata in vigore dovrebbe essere esclusiva competenza delle autorità europee. Ma la Commissione ha scelto la ratifica mista, cedendo alle pressioni dei grandi stati alle prese con problemi interni. Un pessimo segnale.

Marcia indietro della Commissione sul Ceta

Marcia indietro per la politica commerciale comune: la Commissione europea ha annunciato martedìCollegamento esterno che intende far ricadere nella disciplina degli accordi misti il trattato di libero scambio con il Canada, subordinando quindi la sua entrata in vigore anche alla ratifica unanime da parte dei parlamenti nazionali degli stati membri. Quando, in realtà, avrebbe bisogno della sola approvazione a livello europeo.

L’accordo in questione è il Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement) ed è il frutto di lunghi negoziati – durati in totale cinque anni e conclusi nell’agosto 2014 – tra Commissione europea e Canada. Si tratterebbe del migliore accordo mai negoziato dall’Unione perché garantisce – oltre che l’abbattimento dei dazi e delle altre barriere tariffarie – il riconoscimento delle denominazioni d’origineCollegamento esterno, da sempre uno dei più ambiziosi obiettivi dei negoziatori europei.

Regole a tutela del lavoro e dell’ambiente, apertura del mercato dei servizi e degli appalti pubblici e mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali sono alcune tra le altre promesse dell’intesa, provvidenziale per un’Europa alla spasmodica ricerca di partner commerciali che sostengano le esportazioni e, quindi, la crescita.

La politica commerciale comune rientra tra le competenze esclusive dell’UnioneCollegamento esterno (articolo 3 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), ossia tra le competenze che gli stati membri hanno deciso di cedere all’autorità sovranazionale: la negoziazione di accordi commerciali (articoli 207 e 218 Tfue) compete quindi alla Commissione europea e la loro entrata in vigore è sancita dall’approvazione del Consiglio e dalla ratifica del solo Parlamento europeo. Non è quindi necessario procedere alla ratifica “mista”, ossia la formula che richiede l’unanimità dei consensi dei parlamenti nazionali. Formula che è prevista appunto per gli accordi misti, ossia le intese che includono argomenti sia di competenza esclusiva dell’Unione che di competenza concorrente tra Ue e stati membri. Per intenderci, un esempio di accordo misto è il controverso Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership).

Invece è proprio questa la soluzione proposta dalla Commissione in risposta alle crescenti preoccupazioni di molti paesi membri. Compresi Germania, Francia, Olanda, Austria e Belgio, che hanno scelto di dare voce agli istinti più irrazionali di quella parte dell’opinione pubblica che non vuole libero scambio, non vuole apertura e, soprattutto, non vuole Europa. Mettendo così in moto un lungo processo burocratico che rallenterà inevitabilmente l’entrata in vigore dell’accordo e che potrebbe addirittura metterne a repentaglio l’approvazione. Il prezzo della mancata ratifica sarà pagato collettivamente dall’Europa, ma si è preferito assecondare le scadenze elettorali nazionali (l’anno prossimo si terranno elezioni difficili in Germania, Francia e Olanda). Interessi nazionali prima di quelli europei.

Non se ne sentiva proprio il bisogno nelle settimane dopo il referendum su Brexit, in un momento in cui l’esecutivo comunitario è chiamato a dare prova di coesione e a difendere l’interesse dell’Unione nel suo complesso. Dovrebbe essere proprio questa la funzione della Commissione europea, nel suo ruolo istituzionale di “garante dei Trattati”.

La posta in gioco

Ma qual è la posta in gioco? Al di là dell’eventuale rifiuto di un accordo vantaggioso, c’è in ballo la credibilità dell’Unione Europea come interlocutore commerciale di peso in ambiente internazionale. C’è la certezza dei patti che negozia e stipula con i suoi partner. C’è la possibilità di aver sprecato cinque anni di negoziati.

La Commissione europea, dopo aver incessantemente difeso i suoi poteri in materia commerciale, non ha avuto il coraggio di tirare dritto nelle sue funzioni di fronte alle pressioni dei “pesi massimi”. Ha creato un pericoloso precedente nell’ambito della politica commerciale comune, che da sempre rappresenta uno dei maggiori pilastri dell’aquis comunitario e la scintilla che ha dato il via al processo di integrazione europea. Ha sferzato anche un duro colpo alla certezza del diritto in Europa.

L’intesa con il Canada dovrebbe essere firmata in ottobre ed entrare in vigore a gennaio 2017. Per tenere in vita il progetto, la Commissione potrebbe ricorrere all’entrata in vigore provvisoria mentre cerca di risolvere il pasticcio giuridico che ha creato.

Nel frattempo, resta la brutta figura di un’Unione Europea che si piega al comando dei populismi e degli interessi particolari e occasionali degli stati, senza nemmeno provare a sfatare i miti demagogici e spesso infondati che risiedono dietro queste posizioni.

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