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“Fare soldi non era lo scopo primario dell’ATS”

Un giubbotto giallo dei serivzi di sicurezza sindacali con la scritta Save sda appeso al guardaroba.
"Salvate ATS!", è l'appello lanciato dai giornalisti dell'agenzia di stampa svizzera nel corso dello sciopero attuato la scorsa settimana. Ma come? Thomas Kern/swissinfo.ch

Lo sciopero dell'agenzia di stampa nazionale svizzera ATS, in seguito all'annuncio di un drastico taglio occupazionale, è un ulteriore segnale della crisi del finanziamento del giornalismo di qualità. Invece di lasciare l'ATS ai privati, la si dovrebbe trasformare in una cooperativa o in una fondazione, dice un esperto svizzero di media.

La Svizzera è una delle poche democrazie occidentali in cui i media non ricevono aiuti statali diretti. Nella Confederazione, lo Stato si limita ad un aiuto finanziario indiretto, concedendo agli editori tariffe preferenziali per la consegna dei giornali per posta.

Il calo degli abbonamenti e dei ricavi pubblicitari ora mette però a repentaglio i media privati di qualità, afferma Manuel Puppis*, professore ordinario di sistemi e strutture mediatici presso l’università di Friburgo.

Manuel Puppis a mezzo busto.
Manuel Puppis zVg

swissinfo.ch: In Svizzera si sciopera raramente perché si predilige il partenariato sociale, ossia la negoziazione tra datori di lavoro e dipendenti tesa a trovare una soluzione di compromesso. È rimasto sorpreso dal fatto che ora anche dei giornalisti siano scesi in piazza?

Manuel Puppis: Negli ultimi anni, molti editori hanno effettuato risparmi e licenziamenti, senza che i dipendenti abbiano per questo scioperato. Ciò che è accaduto con l’ATS è davvero una rarità.

swissinfo.ch: I giornalisti dell’ATS in lotta sono sostenuti non solo dai politici di sinistra. I tagli di posti di lavoro annunciati hanno suscitato grande indignazione nell’opinione pubblica. Perché?

M. P.: L’ATS assicura l’approvvigionamento di base a tutti i media in Svizzera con notizie sicure; serve media nazionali e regionali, privati e pubblici della SSR [di cui fa parte anche swissinfo.ch, NdR.]. E lo fa in modo equilibrato, basato su fatti.

Molti media dipendono da questo servizio di base. Questa è la ragione principale della dimensione pubblica assunta dalla controversia.

Altri sviluppi

swissinfo.ch: Perché all’ATS non si è riusciti a risolvere il conflitto tra i partner sociali e ad evitare lo sciopero?

M. P.: Posso solo supporre che vi sia una grande insoddisfazione interna sulla procedura. Il fatto che tutti i giornalisti di età superiore ai 60 anni siano licenziati invece di essere pensionati anticipatamente non è ben visto dal profilo del partenariato sociale.

Anche la fusione tra l’ATS e l’agenzia fotografica Keystone solleva interrogativi. Ad esempio, se l’ATS debba essere orientata al profitto per essere una sposa attraente per questa unione.

Dai media percepisco inoltre che i commenti del CEO in un’intervista giornalistica hanno fatto traboccare il vaso.

swissinfo.ch: Lei sta parlando del fatto che il CEO dell’ATS, Markus Schwab, ha dichiarato al settimanale NZZ am Sonntag che deve rendere conto unicamente agli azionisti. L’ATS non dovrebbe essere tenuta anche a garantire la qualità?

M. P.: Fondamentalmente, sì. Ma qui, come nel caso dei media privati, interviene il conflitto tra obiettivi giornalistici ed economici.

swissinfo.ch: Nei suoi 124 anni di storia, l’ATS non ha mai distribuito dividendi? Perché?

M. P.: Con la fondazione dell’ATS non si è mirato in primo luogo a fare soldi, bensì a garantire la distribuzione di notizie in Svizzera.

Gli editori avevano trovato una soluzione che li rendeva meno dipendenti dalle grandi agenzie di stampa internazionali estere. Con una propria agenzia di stampa si potevano anche fissare i prezzi da soli. Di questo hanno beneficiato tutti i media.

swissinfo.ch: Il CEO ha promesso agli azionisti un dividendo per il 2021. Perché l’ATS dovrebbe improvvisamente conseguire profitti?

M. P.: La Keystone distribuisce già dividendi. I proprietari si aspettano questo anche dalla fusione ATS-Keystone. Tuttavia, dall’ATS non ci si attende solo che in futuro realizzi profitti, ma anche che risparmi.

swissinfo.ch: I critici della strategia orientata al profitto affermano che l’informazione è un bene pubblico e non una merce che non può essere semplicemente svenduta. Hanno ragione?

M. P.: L’informazione sulla politica e sulla società svolge un ruolo così importante nella nostra convivenza che il beneficio sociale è nettamente superiore alla disponibilità individuale a pagare. Inoltre, negli ultimi anni, gli introiti pubblicitari dei giornali sono crollati. Questo rende molto difficile il finanziamento del giornalismo. Perciò è possibile chiedersi se lo Stato debba partecipare.

swissinfo.ch: E qual è la sua risposta?

M. P.: Con l’attuale forma giuridica dell’ATS, in cui non è chiaro se con denaro pubblico sarebbero poi distribuiti dividendi, se vi sarà una separazione tra servizi giornalistici e altre prestazioni, un sovvenzionamento non entra in linea di conto.

swissinfo.ch: A quale altra forma giuridica pensa?

M. P.: Ad esempio ad una cooperativa o ad una fondazione con una contabilità chiaramente separata, che garantisca che il denaro dello Stato confluisca nel giornalismo e non sia distribuito per lucro.

swissinfo.ch: La Svizzera non è la sola a trovarsi in questo dilemma. Tutte le democrazie occidentali sono confrontate con una crisi finanziaria del giornalismo. Quali paesi hanno trovato una buona soluzione?

M. P.: Oltre al sostegno delle agenzie di stampa, occorre soprattutto pensare a una promozione dei media orientata al futuro. Questa esiste per esempio in Danimarca, dove sono fissate le condizioni che una redazione deve soddisfare per poter ricevere sovvenzioni per la produzione di contenuti giornalistici. Ad esempio, un numero minimo di equivalenti posti di lavoro a tempo pieno, una certa proporzione di produzione regionale propria, ecc. Il sostegno statale non è legato al contenuto giornalistico, cosicché l’indipendenza è garantita.

swissinfo.ch: Quale paese la Svizzera non dovrebbe invece prendere come modello?

M. P.: Un pessimo esempio è quello della Nuova Zelanda. Negli anni ’90 ha privatizzato la televisione pubblica. Oggi, gli introiti pubblici di quest’ultima rappresentano meno del 5% del totale delle entrate. Di conseguenza le proprie produzioni sono massicciamente calate. L’agenzia di stampa neozelandese ha cessato le attività nel 2011. Da allora, in Nuova Zelanda le informazioni provengono da tre società australiane.

Se ci sta a cuore che si producano notizie anche all’interno del paese e che non si dipenda dai produttori esteri, allora non dovremmo seguire la stessa strada.

*Manuel Puppis è professore di sistemi e strutture mediatici all’università di Friburgo. È anche membro della Commissione federale dei media (COFEM). In questa intervista si esprime a titolo personale, quale esperto scientifico.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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