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Svizzera e schiavitù, un capitolo su cui fare luce

Donne di colore con falce, abiti lunghi chiari e copricapo chinate a lavorare in una piantagione
Furono i singoli imprenditori, ad avere interessi nella tratta degli schiavi o nel commercio coloniale. E per gli studiosi accedere agli archivi privati di aziende o famiglie non è semplice. RSI-SWI

La caccia alle statue di personaggi storici giudicati oggi razzisti, sulla scia delle proteste innescate dall'uccisione dell'afroamericano George Floyd negli USA, è arrivata anche in Svizzera. A Neuchâtel, una petizione chiede di smantellare il monumento a David de Pury, commerciante arricchitosi nel XVIII secolo che i promotori definiscono uno "schiavista". Ciò che riporta l'attenzione su un aspetto poco studiato della storia elvetica.

Il soffio iconoclasta ha dunque raggiunto la piazza principale di Neuchâtel, che porta il nome di De Pury, ma anche ad esempio la Bahnhofplatz di Zurigo, dove campeggia la statua di Alfred Escher. Il politico e capitano d’industria -fondatore del Credito Svizzero, promotore del Politecnico federale e presidente della prima Società della ferrovia del San Gottardo- è finito nel mirino per aver ereditato ricchezze di famiglia frutto di una piantagione di caffè a Cuba nella quale lavoravano anche schiavi.

Statua su base in pietra con scrittta David De Pury, si intravvedono edifici, alberto e dei manifestanti
La statua di Neuchâtel ritratta lo scorso 10 giugno, giorno di una manifestazione e del lancio della petizione online. Keystone / Leandre Duggan

Le ricerche storiche sulla Svizzera e la schiavitù non sono molte: il Paese non ha un passato coloniale, e come Stato “non è mai stato schiavista e non ha promulgato leggi che proteggessero la schiavitù”, conferma Bouda Etemad, professore onorario all’Università di Losanna e co-autore del libro ‘La Suisse et l’esclavage des Noirs’.

I singoli individui, però, sono un’altra storia. “Tornando indietro nel tempo, troverete degli svizzeri che hanno posseduto degli schiavi o hanno tratto profitti dal commercio coloniale”, benché non si trattasse della loro attività principale.

Per gli studiosi, è difficile accedere agli archivi privati di aziende e famiglie. E così, a 15 anni dal libro, restano molte zone d’ombra.

Lo studio ricostruisce però i tratti principali di questi “negrieri d’occasione”, come li chiama il professore di Scienze sociali e politiche, che in questa intervista spiega come, come e perché commercianti e finanzieri svizzeri investirono nella tratta di schiavi o acquistarono piantagioni nelle colonie europee in America.

Contenuto esterno

L’intervista a Bouda Etemad è stata trasmessa dalla rubrica d’arte Turné, all’interno della trasmissione d’informazione Il Quotidiano.

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