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Roma, una maternità e un parricidio

ANSA

di Aldo Sofia

Il parricidio, e le comiche. C’è di tutto nel suicidio di quello che fu il centro-destra italiano. Roma, il palcoscenico. Le elezioni comunali, il pretesto. Ma è una resa dei conti in vitro da tempo, ed ora all’atto finale. Dopo una serie di secessioni (Casini, Fini, Alfano, Verdini), si sfascia la coalizione che ebbe non solo un leader, ma un autentico padre padrone, indiscutibile e indiscusso, concavo e convesso, per un ventennio dominatore della scena politica del Bel Paese: Silvio Berlusconi.

Tutto parte da una maternità, prima usata come pretesto di un volgare attacco, ma poi trasformatasi in arma contundente. La maternità di Giorgia Meloni. In una successione di dichiarazioni e decisioni che sfociano in farsa. Lei – non sposata – va sulla piazza del “familiy day”, animata dai difensori della “sacra” famiglia, annuncia di essere incinta, e per questo nell’impossibilità di candidarsi a sindaco della città eterna. Poi avanza addirittura la bislacca proposta di puntare su Rita dalla Chiesa (cognome illustre al servizio degli show televisivi berlusconiani). Ma quando l’ex cavaliere impone Guido Bertolaso (ex protezione civile, e in attesa di processo per corruzione) scatta la ribellione. Anche perché nel frattempo, l’uomo di Arcore e il gestore delle emergenze nazionali sostengono caninamente che le neo-mamme devono godersi la prole, e non occupassi d buche, topi, dissesto urbano, fatiscenti servizi pubblici, e super-debito miliardario della “grande bellezza”.

Levata di scudi (persino la pasionaria Santanché dice che “Silvio è un maschio, dovrebbe tacere”), Giorgia ci ripensa, si candida ufficialmente, ed è subito “mamma Roma” per i suoi fan. “Tutti ex fascisti”, tuona Berlusconi, proprio lui che nel 1992 sdoganò gli eredi del Movimento sociale che fu di Almirante. Ma il leader al tramonto di ciò che resta di Forza Italia (a cui i sondaggi attribuiscono un misero 10 per cento), sa che il suo vero nemico è Matteo Salvini, il leghista che ha abbandonato disinvoltamente l’ideologia separatista-federalista, ora punta sul patriottismo tricolore, e punta a scalzare Berlusconi alla guida di quello che fu il centro-destra. Dice no a Bertolaso, boccia il candidato dell’ex padre-padrone anche a Torino, e chissà che non stia per replicare anche a Milano. È il caos. Speculare, ma apparentemente più grave, rispetto alla frammentazione che sull’altro fronte (tra primarie contestate e “gazebarie”) tormenta Renzi e i suoi rivali interni.

Così, Roma capitale assiste, ridendone e preoccupandosene, a una zuffa politica senza precedenti. Dove ci si accapiglia sui nomi e non sui programmi per risanare la città… insanabile. Forse perché nessuno, in fondo, se la sente di prendere la guida di una città che tutti dicono ingovernabile. Le forze tradizionali, da destra a sinistra, sembrano fare di tutto e di peggio per offrire la vittoria a Grillo. Che pure non se la passa benissimo, se a Milano la sua candidata (“casalinga robustella”, la definisce il comico) getta la spugna non reggendo agli attacchi volgari e maschilisti di chi, anche nel movimento, l’ha messa in caciara puntando sul fattore estetico (“brutta e obesa”).

Ma nemmeno i pentastellati sembrano entusiasti e impazienti di conquistare Palazzo Senatorio, cioè il Comune della capitale. È infatti di Paola Taverna, parlamentare dei Cinque Stelle, l’incredibile e paradossale affermazione: “A Roma c’è un complotto per farci vincere”. Sottinteso: farli vincere, affinché si dannino.

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