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Nella lotta all’Is Kobane è un’emergenza, l’Anbar è la priorità

Carta di Laura Canali

di Giorgio Cuscito (Limes)

Lo Stato islamico controlla metà della città nel Nord della Siria al confine con la Turchia. Ankara non interviene, temendo di aiutare indirettamente Asad e i curdi. Il vero terreno di scontro tra i jihadisti e la coalizione guidata dagli Usa è la regione irachena vicina a Baghdad.

Lo scontro tra la coalizioneCollegamento esterno guidata dagli Usa e le milizie dello “Stato Islamico” (Is, ex Isis, Islamic State of Iraq and Syria) s’intensifica su due fronti: Kobane in Siria e la regione dell’Anbar in Iraq.

La lotta per Kobane

Nella città al confine con la Turchia le milizie curde (etnia maggioritaria nel centro urbano) si difendono dall’avanzata dell’Is, che ha come obiettivo formale la creazione di un califfatoCollegamento esterno in Medio Oriente.

I jihadisti avrebbero preso il controllo di parte della città, grazie anche ai rinforzi e ai rifornimenti provenienti da Raqqa, loro roccaforte in Siria. Nel paese è in corso la guerra civile tra i ribelli e il regime di Bashar al Asad, che da marzo 2011 ha provocato la morteCollegamento esterno di oltre 191 mila persone.

I raid sferrati dalla coalizioneCollegamento esterno anti-Is nello spazio aereo sopra Kobane si sono intensificatiCollegamento esterno e hanno consentito ai curdi di riprendereCollegamento esterno il controllo di Tall Shair, collina nell’ovest della città.

Circa 180 mila abitantiCollegamento esterno del centro urbano sono fuggiti in Turchia per salvarsi dall’attacco dei jihadisti. Questi si aggiungono ai circa 1.2 milioni di rifugiati siriani accolti da Ankara nei tre anni di guerra civile.

La posizione turca

Nonostante abbia ricevuto l’approvazione dal parlamento turco a un possibile intervento, il paese del presidenteCollegamento esterno (ed ex primo ministro) Recep Tayyip Erdoğan non ha ancora inviato truppe in Siria e in Iraq.

Ankara ha posizionato delle truppe lungo il confine e ha consentito agli Usa di addestrare sul suo territorio le milizie sirianeCollegamento esterno “moderate” perché contrastino l’Is, ma non ha ancora permesso alla Casa Bianca di servirsi della base aerea di Incirlik (Sud del paese) per lanciare i raid.

Inoltre, non è stato consentito ai miliziani curdi che si trovano in Turchia di oltrepassare il confine per combattere al fianco di quelli che difendono Kobane.

Le ragioni sono chiare. Ankara non intende fare nulla che rafforzi il governo di Damasco (di matrice sciita e suo antagonistaCollegamento esterno) e le aspirazioni indipendentiste dei curdi. Entrambi, infatti, potrebbero trarre beneficio dall’indebolimento dell’Is.

Il governo turco vorrebbe che Washington estendesse il mandato della coalizione per prendere di mira il regime di Asad. Un’idea che piacerebbe anche ai governi sunniti dei paesi arabi della coalizione (Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi, Bahrain e Qatar), a loro volta avversari di Damasco.

In tal senso vanno le dichiarazioni del primo ministro turco (ed ex ministro degli Esteri) Ahmet Davutoğlu, che ha dettoCollegamento esterno che la Turchia interverrà solo nell’ambito di una precisa strategia e se la comunità internazionale farà “ciò che è necessario”. Il premier ha poi sottolineato che Ankara parteciperà alla coalizione se saranno create una zona di sicurezza e una no-fly zones in Siria.

In questi anni – con il consenso di Ankara – guerriglieri da tutto il mondoCollegamento esterno sono transitati per il confine turco-siriano per arruolarsi nelle tante milizie (tra cui quelle qaidista e l’Is) che combattono Asad. La Turchia aveva esercitato dei controlli leggeri per consentire ai profughi di fuggire dalla guerra civile e favorire l’accesso a chi volesse unirsi ai ribelli. Oggi per Ankara l’Is è il male minore, ma lo sventolio delle sue bandiere nere a Kobane è un problema difficile da ignorare. Anche per la tensione che l’attendismo di Erdoğan sta generando tra i 15 milioni di curdi in Turchia.

Le proteste dei curdi

In Turchia la situazione è tesa. Il mancato intervento a sostegno dei curdi a Kobane ha provocato manifestazioni di protestaCollegamento esterno da parte della minoranza etnica, durante le quali sono morte 37 persone.

Inoltre, caccia turchi hanno sferratoCollegamento esterno degli attacchi nel Sud-Est del paese contro strutture del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), l’organizzazione militante per l’auto-determinazione del Kurdistan turco. I raid sono stati lanciati dopo che il Pkk ha attaccato un avamposto turco nella provincia di Hakkari, al confine con l’Iraq.

Negli ultimi trent’anni il conflitto tra l’organizzazione curda e Ankara ha provocato 40 mila morti. Nel 2013 il leader del Pkk Abdullah Öcalan (oggi in carcere) ha concordato con il governo turco il cessate il fuoco e l’inizio del processo di pacificazioneCollegamento esterno. Il rischio è che gli ultimi eventi mettano in discussione i passi in avanti fatti fino a oggi.

La priorità strategica è l’Anbar

Liberare la città di Kobane dall’assalto dei jihadisti è fondamentale sul piano umanitario, tuttavia non costituisce una priorità strategica nella lotta allo Stato islamico. L’obiettivo della coalizione anti-Is è smantellare i centri di comando e controllo e le infrastrutture dell’organizzazione terroristica.

In tale quadro, il vero terreno di scontro pare essere l’Anbar, regione occidentale dell’Iraq, dove lo Stato Islamico sta avendo la meglio. Qui, nelle ultime settimane l’organizzazione jihadista avrebbe presoCollegamento esterno il controllo di alcune città (tra cui HitCollegamento esterno e Kubaisa), dove si trovano importanti installazioni militari. Creando una linea di rifornimento tra Raqqa in Siria e l’Anbar, l’Is potrebbe consolidare ulteriormente la sua posizione a pochi chilometri da Baghdad. Al momento questa rotta s’interrompe a Haditha e Ramadi, che sono sotto il controllo del governo iracheno.

Inoltre, l’Anbar è la regione dove si è formata la cellula di al Qaida in Iraq (Aqi, predecessore dell’Is), perciò per lo Stato Islamico la sua conquista rappresenterebbe una vittoria psicologica oltre che tattica.

Il presidente degli Usa Barack Obama spera che gli Stati arabi della coalizione persuadano le tribù sunnite della regione a combattere lo Stato Islamico. Tuttavia, queste non gradiscono la presenza di milizie sciite (che pure combattono contro l’Is) nella regione.

Negli ultimi anni, l’Iraq è stato segnato da forti tensioni tra le comunità appartenenti ai due rami dell’Islam. Alla base vi è il malcontento dei sunniti iracheni per l’operato del governo sciita guidato dell’ex primo ministro Nouri al Maliki. Tale contesto ha agevolato la penetrazione dell’Is in Iraq. Da settembre Maliki è stato sostituitoCollegamento esterno da Haider al Abadi, cui spetta il compito di riconciliare le due comunità irachene.

Durante l’incontroCollegamento esterno svoltosi martedì 14 ottobre a Washington tra i responsabili militari di 22 paesi della coalizione anti-Is (Turchia inclusa), Obama ha sottolineato che lo scontro sarà lungo e che i paesi che si sono schierati contro lo Stato islamico sono uniti.

In realtà, l’attendismo di un importante attore regionale quale Ankara mette in risalto le fragilità della coalizioneCollegamento esterno anti-Is, di cui fanno parte paesi arabi e occidentali con interessi regionali diversi. I primi vogliono rovesciare anche Asad, i secondi in questo momento considerano prioritario fermare l’avanzata dei jihadisti.

Tenere il controllo dell’Anbar pare necessario per impedire la continuità territoriale delle aree gestite dall’Is tra Siria e Iraq, a cui difficilmente la debole coalizione potrebbe porre rimedio limitandosiCollegamento esterno ai raid aerei.

Per approfondire: Invece di bombardare lo Stato Islamico, dovremmo dialogarciCollegamento esterno

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