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Mattarella, lo spacca Nazareno

Sergio Mattarella e Romano Prodi keystone

di Leonardo Spagnoli

Alla vigilia del voto per il Quirinale Silvio Berlusconi aveva detto che voleva un candidato moderato e soprattutto che non provenisse da una delle varie reincarnazioni del PCI. Il giudice costituzionale Sergio Mattarella, su cui sono confluiti i voti compatti dei Democratici (sotto forma di schede bianche), ha una lunga militanza cattolica iniziata nella Democrazia Cristiana e proseguita poi tra i Popolari e la Margherita, prima del suo approdo nel Pd, e risponde a questi requisiti. Ma non poteva esserci candidato più inviso al Cavaliere di quello che in questo primo turno di elezioni ha ottenuto più suffragi (impliciti).

Non solo per la sua appartenenza all’ex sinistra DC, la stessa del suo nemico giurato Romano Prodi (di cui Mattarella fu un grande sostenitore), ma soprattutto per le decisioni prese nella sua carriera politica iniziata nell’ormai lontano 1983, quando fece il suo ingresso a Montecitorio. Mattarella fu tra i ministri che si dimisero nel luglio 1990 quando fu votata la legge Mammì che legalizzò l’impero mediatico della Fininvest e che lasciò la direzione de Il Popolo all’indomani della svolta filo-berlusconiana impressa nel 1994 dal segretario PPI Rocco Buttiglione. E inoltre è stato eletto quattro anni fa tra i 15 giudici di quella Corte Costituzionale presa sovente di mira dal leader di Forza Italia per le sue presunte simpatie “comuniste”. Non esattamente quindi il moderato che aveva in mente il Cavaliere.

Può darsi certamente che da venerdì le carte vengano scompigliate ma il significato di questa prima votazione è abbastanza chiaro: da un lato il Patto del Nazareno non sembra così granitico come era lecito pensare alla vigilia e dall’altro il Partito Democratico, lacerato al suo interno da profonde divisioni riemerse puntualmente anche negli scorsi giorni in occasione dell’approvazione al Senato dell’Italicum, ha ritrovato una sua compattezza. Renzi aveva chiesto ai Grandi Elettori democratici di far convergere i voti su un unico candidato condiviso e il nome di Mattarella era uno di quelli sulla lista degli ex PCI-DS. Solo Giuseppe Civati, messo alle strette, ha abbozzato un “lo voterò al quarto scrutinio”.

Quarto scrutinio che rappresenta – con l’abbassamento del quorum e la conseguente (quasi) autosufficienza del gruppo Pd – una spada di Damocle per l’ex Cavaliere, che sabato rischia di veder naufragare tutto il progetto portato avanti da un anno a questa parte. Adesione alle riforme renziane – Senato, legge elettorale, province e via discorrendo – in cambio del rientro sulla scena politica con un ruolo da protagonista e l’ottenimento di un capo dello Stato non ostile e garante del patto del Nazareno, così come Napolitano aveva garantito le larghe intese. La prospettiva ora per Berlusconi è quella di una sua progressiva marginalizzazione politica, verosimilmente indotta dalla svolta del premier, preoccupato per il calo di consensi attribuito a una certa disaffezione da parte di una quota del suo elettorato dovuta all’intesa stretta con Berlusconi.

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