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L’Europa forte coi deboli

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di Aldo Sofia

Sessanta giorni per salvare Schengen. Dodici settimane per evitare che si sfaldi uno dei pilastri dell’Unione. Tre mesi per disinnescare la bomba immigrazione. È l’ammonimento di Bruxelles. Un’autentica dead-line, quella del prossimo maggio, quando scadrà il termine del provvisorio ripristino dei controlli alle frontiere deciso da alcuni Paesi dell’UE, dalla Germania alla Svezia, dalla Cechia all’Austria alla Slovacchia all’Ungheria.

Un peso messo sulle spalle della Grecia. E in parte anche su quelle dell’Italia. Atene ridiventa così il fulcro della crisi europea. Dopo l’euro, i migranti: ottantamila in provenienza dalla Turchia solo dall’inizio dell’anno, con oltre 400 morti, fra cui una sessantina di bambini. Atene non ha fatto i compiti. Non ha registrato puntualmente le centinaia di migliaia di disperati sbarcati sulle sue isole per poi dirigersi sulla via dei Balcani. Lo dovrà fare appunto entro la prossima primavera. Insieme all’Italia, su cui pesa, per lo stesso motivo, una procedura di infrazione. Uno dei motivi della sfuriata di Renzi contro Bruxelles, e contro Berlino.

Alexis Tsipras non ha scelta: già alle prese con un draconiano piano di tagli e risparmi, con una situazione economica disastrosa, con le proteste per l’ennesima riduzione delle pensioni che danno da vivere al 40 per cento dei suoi concittadini, con una popolarità che si sfarina, il leader di Syriza deve ora affrontare anche le conseguenze di una guerra irrisolta e che (russi o non russi) continua a sfornare nuove ondate migratorie. Prima la generosità di nazioni come la Germania e la Svezia, poi la promessa della cancellieria di poter accogliere un milione di fuggiaschi all’anno, poi la paura e le resistenze interne, quindi la terribile notte di Colonia, ed infine tutta la responsabilità gettata sulle spalle del paese più fragile dell’Unione. È decisamente con i deboli che l’Europa riesce a fare la voce grossa.

E l’Italia, in tutto questo? Anche Roma viene redarguita ufficialmente da Bruxelles. Roma ha aperto soltanto due hot spot dei sei ritenuti necessari per ospitare e registrare i migranti. Che potranno risalire sui barconi della speranza col ritorno della buona stagione, e soprattutto se la rotta balcanica diventerà ancor più ardua da percorrere. Insomma, stavolta il governo italiano sarà sotto stretta osservazione mentre per diversi anni, di fronte a un flusso incontenibile, ha chiuso più di un occhio per consentire agli asilanti veri o presunti di proseguire il viaggio verso Nord (dei 140 mila profughi sbarcati sulla Penisola lo scorso anno, nemmeno la metà è stata registrata).

Cosa avverrà, dunque, se Atene e (in parte) Roma lasceranno trascorrere i prossimi novanta giorni senza agire? L’idea è quella di una mini-Schengen. In sostanza, una libera circolazione che continuerebbe a funzionare fra i membri UE del centro e nord Europa, escludendo invece i paesi di prima linea, quelli sulla frontiera esterna. Che rimarrebbero isolati, lasciati soli nel gestire i nuovi flussi. Una egoistica blindatura che difficilmente risolverà il problema. Ma che di sicuro accorcerà la miccia della crisi che corrode il già traballante edificio europeo.

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