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I miliardi Ue che l’Italia rischia di perdere

ANSA

di Aldo Sofia

Si sa, la popolarità dell’Ue è ai minimi storici, soprattutto nei Paesi che ne avevano gettate le basi. E che sia un’Europa spesso “matrigna”, oltre che divisa e pasticciona, è innegabile: dall’esempio che può sembrare minore come la misura delle vongole, che rischia di mettere in ginocchio un intero settore, al grande e grave problema dell’immigrazione, che sembrerebbe senza soluzione e all’insegna dell’ “ognuno per sé”. È difficile dunque individuare fatti virtuosi di questa Europa allo sbando. Eppure non mancano. Il più importante è il programma dei Fondi strutturali europei, ideato per soccorrere le aree maggiormente in difficoltà dell’Unione, e finanziato con un terzo di tutto il bilancio europeo. Mica noccioline.

Ebbene, ancora una volta l’Italia rischia di perdere il treno. O, meglio, una bella parte del convoglio di questi sussidi. Le proiezioni più recenti dicono infatti che il Bel Paese ha finora speso poco più del 70 per cento dei fondi messi a disposizione per il periodo 2007-2013. Per certificare le spese c’è tempo fino al 2017. Ma i dodici miliardi di aiuti strutturali rimasti finora nel cassetto devono essere obbligatoriamente investiti (attraverso nuovi progetti) entro la fine di quest’anno. “Alla luce dell’esperienza e dei ritmi fin qui documentabili, è difficile immaginare il conseguimento dell’obiettivo entro il prossimo dicembre”, è l’allarme lanciato dal centro studi CGIA (Artigianto e piccole imprese) di Trieste. Tradotto: c’è il rischio che un’Italia affamata di investimenti e di programmi occupazionali si lasci sfuggire diversi miliardi.

L’italico genio non basta. Burocrazia invadente, clientelismi inossidabili, progetti non conformi alle direttive Ue, politici incompetenti, assurda concorrenza regionale, sono tanti i bastoni che vengono assurdamente infilati nel meccanismo dei fondi comunitari. Ci sono poi furbizie controproducenti e che tengono in costante allarme i “vigilantes” di Bruxelles. Come quando a Napoli sussidi per 750 mila euro vennero investiti per un concerto di Elton John: non proprio un fulgido esempio di start-up in grado di creare dinamiche virtuose e posti di lavoro. Eppure basterebbe guardarsi attorno. È sufficiente l’esempio della Polonia: che ha speso nei tempi stabiliti il 97,5 delle risorse assegnate a Varsavia: “così creando – rileva il Corriere della Sera – 300 mila nuovi impieghi, 11 mila chilometri di strade, e 1.166 di ferrovia”.

Dovrebbe essere il Mezzogiorno, che rischia un sottosviluppo permanente, il più interessato a servirsi della cassaforte comunitaria. E invece, paradossalmente, ecco che proprio Campania, Calabria e Sicilia sono le regioni che faticano maggiormente a presentare progetti, con ritardi soprattutto per cultura e turismo: proprio i settori su cui il Sud potrebbe e dovrebbe puntare per tentare di uscire dal pantano della crisi.

È davvero uno dei grandi scandali italiani, questa scarsa capacità di sfruttare i finanziamento europei. “Lo specchio dei vizi italiani”, lo definisce l’economista Giulio Sapelli, che ha studiato il problema. Com’è possibile? C’è un esempio che dice molto. Il protagonista della vicenda si chiama Maurizio Scoppa, un ex generale dei carabinieri, che riuscì a rimettere ordine nelle finanze dissestate dell’ASL Napoli 1, e a cui la Regione Campania aveva affidato la vigilanza su due miliardi di sussidi Ue. Ma dopo sei mesi di inutili tentativi, Scoppa ha gettato la spugna, vista la totale mancanza di collaborazione del personale regionale: non gli avevano assegnato nemmeno un computer e una cancelleria con cui lavorare. Anche il genio italico può soccombere di fronte a tanta ottusità.

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