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A Platì gli impresentabili sono gli onesti

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di Aldo Sofia

Ci sono gli “impresentabili” e quelli che proprio “non si vogliono presentare”. Nella prima categoria, quella degli “impresentabili”, c’è gente inquisita per corruzione e altro, o in odore di rapporti con ambienti criminogeni, di cui tanto si parla per le imminenti elezioni regionali e comunali, e che hanno scandalosamente trovato posto nelle liste associate ad alcuni grandi partiti (il caso più clamoroso, quelle che sostengono il candidato pd De Luca in Campania). Poi, la seconda categoria, quella di coloro che proprio non intendono scendere in campo. Soprattutto per paura.

È quanto accade a Platì, sull’Aspromonte calabrese, ultime alture degli Appennini prima che si precipitino a picco nel Mediterraneo. In Italia sono chiamati alle urne 17 milioni di elettori, per il voto in 7 Regioni e 1.089 Comuni. Fra loro anche i votanti di Platì. Ma per loro le urne rimarranno in ripostiglio. È successo spesso negli ultimi dodici anni. Era il 2003, e, appena eletto, il sindaco Francesco Mittica venne arrestato insieme al suo vice e ad alcuni consiglieri. L’accusa era di corruzione. Tre anni dopo il Comune fu sciolto e commissariato per infiltrazione mafiosa, e tale è ancora oggi. Tranne rarissime e brevi parentesi, è lo Stato che amministra il paese attraverso i suoi prefetti.

La democrazia, a Platì, non viene dunque esercitata dagli elettori. Nessuno si è candidato per indossare la fascia tricolore del sindaco e per farsi interprete della volontà popolare. Come se l’operazione non avesse alcun senso. Come se non vi fosse senso civico e di servizio. Come se il potere effettivo stesse….”altrove”. E per “altrove” si intende nella criminalità organizzata, nelle famiglie e nei riti della ‘ndrangheta, la più potente e più violenta delle 4 “famiglie” mafiose della Penisola (“cosa nostra” in Sicilia, “camorra” in Campania, “sacra corona unita” in Puglia). Sono i malavitosi che a Platì impongono la loro legge. Ribellarsi, non è facile.

Negli ultimi 24 anni, i Comuni commissariati per infiltrazione mafiosa sono stati 258. Quasi uno al mese. Soprattutto in Sicilia, dove è stato sciolto il 24 per cento di tutte le amministrazioni esautorate in Italia. E, spesso, il cittadino che non ci sta a candidarsi è scoraggiato da due fattori: la vicinanza dei killer, e la lontananza dello Stato. Al quale Stato, proprio negli scorsi giorni, l’Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI), attraverso il suo presidente Piero Fassino, ha pubblicamente chiesto di essere maggiormente protetta nel contrasto alla malavita. Al Sud, ma non soltanto: è ormai accertato che anche il Nord non è affatto indenne dalle infiltrazioni.

Ora il governo studia norme più severe, visto che quella attuale, incredibilmente, non esclude che gli esponenti di un’amministrazione sciolta d’autorità possa ricandidarsi in un altro tipo di elezione (Regione) o in un Comune diverso. Ma, intanto, quei cittadini che, intimiditi dalla violenza dei delinquenti, decidono di non presentare la loro candidatura, non saranno certo incoraggiati dalla constatazione che i veri “impresentabili” non si fanno scrupoli. E nemmeno i partiti che li accolgono.

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