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Saranno al titanio le cellule solari del futuro?

Le rivoluzionarie cellelule solari nanocristalline Keystone

Le cellule solari nanocristalline al diossido di titanio, presentate nel 1991 dal Politecnico federale di Losanna, hanno superato con successo i test di resistenza al calore.

Nei prossimi anni, sarà il mercato a decidere la sorte delle potenziali concorrenti delle cellule al silicio.

Attese da oltre una decina d’anni, le cellule solari sviluppate dal team del professor Michael Grätzel del Politecnico federale di Losanna (EPFL) hanno compiuto un passo importante verso la commercializzazione.

Grazie a recenti progressi tecnologici, il prezzo di queste cellule innovatrici – che producono elettricità secondo il principio naturale della fotosintesi – sta riducendosi notevolmente. E questo dopo aver superato con successo un test su quello che era considerato il loro punto debole.

Basta con il silicio?

Per efficaci e resistenti che siano, le nuove cellule non riuscivano a superare il test di resistenza calorica, il cosiddetto «test del forno», che permette di stabilire un criterio standard di affidabilità. Ovvero, garantire di non perdere più del 10 percento di potenza, dopo 1000 ore (quasi 6 settimane) in un simulatore solare alla temperatura di 80° Celsius.

Ma ora è cosa fatta, secondo quanto pubblicato nelle riviste scientifiche «Nature Materials» e «Science». Per cui si torna a sperare in una tecnologia per lungo tempo denigrata.

Le tradizionali cellule solari sono costituite da materiali semiconduttori, come il silicio, che convertono la luce in elettricità. Ma perché siano efficaci, il silicio impiegato deve essere molto puro. Un aspetto che fa aumentare i costi di fabbricazione e rende difficile l’impiego su larga scala.

Ispirato alla fotosintesi

Per ovviare a questi inconvenienti, il team losannese si è ispirato al processo della fotosintesi, reazione chimica con la quale le piante trasformano la luce del sole in «nutrimento» attraverso i pigmenti della clorofilla.

I ricercatori hanno ricoperto con un colorante uno strato di diossido di titanio (TiO2), composto di milioni di granelli nanometrici. Allorché un raggio di luce cade sul colorante, detto anche sensibilizzatore, questo emette un elettrone.

Tutti gli elettroni liberati dalla reazione attraversano lo strato di TiO2 e percorrono un circuito esterno, producendo corrente elettrica.

Degli ioni negativi, situati sull’altro lato della cellula, chiudono quasi istantaneamente gli spazi lasciati liberi dagli elettroni, impedendo a questi ultimi di tornare indietro.

Non si tratta di una rivoluzione

Dopo essere passati nel circuito elettrico, gli elettroni vanno ad alimentare la soluzione dalla quale provengono gli ioni negativi, chiudendo così il cerchio.

Per cui non si dovrà più dipendere dalla purezza richiesta dalle cellule al silicio. E anche il prezzo di produzione, secondo un esperto americano citato da «Science», potrebbe risultare cinque volte inferiore a quello delle cellule tradizionali.

Anche se non si può parlare di una vera e propria rivoluzione. Per Tamas Sacsavay, capo dello sviluppo di Swiss Sustainable Systems, «si tratta di un prodotto geniale, che apre nuove possibilità, specialmente per quanto riguarda i grandi pannelli solari, per i quali il prezzo rimane un elemento determinante».

Le prossime tappe

Prima di essere commercializzate, le cellule nanocristalline dovranno superare ancora importanti tappe. Innanzitutto, per quanto riguarda le dimensioni.

Finora, ai test di laboratorio sono state sottoposte cellule di 0,5 centimetri quadrati.

«E ora è indispensabile procedere a esami su superfici più grandi, per verificare se le proprietà dimostrate in laboratorio sono le medesime», ritiene Toby Meyer, direttore di Solaronix.

La società di Aubonne, nel canton Vaud, lavora da parecchi anni allo sviluppo delle cellule solari del professor Grätzel. E ora è stata incaricata di preparare un programma di dimostrazione, sulla base delle migliorie apportate in vista del «test del forno».

Fra tre anni il verdetto

«Ci vogliono circa due anni, per mettere a punto le nostre catene di produzione secondo le ultime innovazioni tecnologiche», spiega Meyer. «E se funziona, ci vorrà ancora un anno, prima di poterle produrre a ritmo industriale.»

Gli sbocchi non mancano, poiché queste cellule solari potrebbero essere impiegate sia in piccoli apparecchi informatici, sia in mini-centrali in grado di fornire elettricità a interi villaggi, in Africa per esempio.

Rimane da vedere se le nuove cellule riusciranno a raggiungere questo grado di commercializzazione. La risposta la si avrà al più presto fra tre anni.

swissinfo, Jean-Didier Revoin
(traduzione dal francese: Fabio Mariani)

Le cellule nanocristalline hanno superato il test del forno.
Ora possono competere con le cellule solari al silicio.
Le nuove cellule potrebbero costare cinque volte meno di quelle tradizionali.

Le attuali cellule solari sono prodotte con silicio molto puro, per cui costano parecchio.

Per abbassare i costi di produzione, il professor Grätzel dell’EPFL si è ispirato alla fotosintesi delle piante e, nel 1991, ha messo a punto delle nuove cellule solari a base di diossido di titanio.

Queste cellule, che ora hanno superato un importante test di resistenza al calore, potrebbero rimpiazzare quelle al silicio.

Ma ci vorranno almeno tre anni per aggiornare teconolgicamente i sistemi di produzione.

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