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Digitalizzazione dei dati clinici: una strada in salita in Svizzera

uomo batte sui tasti del computer in ospedale
© Keystone / Christian Beutler

“Ha mai provato a domandare al suo medico la sua cartella clinica elettronica? Ci provi, se si vuole divertire”. Il bioinformatico Torsten Schwede ritiene che la Svizzera sia ancora piuttosto lontana dall'obiettivo di creare un sistema digitale unico di scambio di dati clinici che permetta al Paese la transizione verso una sanità più moderna e personalizzata. 

“In alcuni casi, i dati clinici sono su carta, in altri sono digitali. Spesso i medici comunicano ancora tra loro via fax. Per cui non esiste una cosa come ‘la sua cartella clinica elettronica’ dove le informazioni confluiscono in maniera strutturata”, dice il bioinformatico. Torsten Schwede è vicepresidente per la ricerca presso l’Università di Basilea e capo di un gruppo di ricerca presso l’Istituto svizzero di bioinformatica SIB. Il professore spiega che i dati sanitari dei pazienti sono spesso immagazzinati in diversi silos non accessibili e, sovente, in formati non intelligibili da dei software. Ciò è saltato all’occhio, per esempio, all’inizio della pandemia, quando la Svizzera ha faticato a tenere traccia delle infezioni perché i cantoni segnalavano manualmente i nuovi casi e li inviavano via fax al governo centrale, invece di farlo digitalmente.   

Secondo Schwede, le cartelle cliniche digitali interoperabili sono necessarie per sostenere la ricerca innovativa e utilizzare tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale (IA) in campo medico. Questo consentirebbe di procedere verso una sanità più personalizzata che consideri, per esempio, la predisposizione genetica individuale del paziente e permetta diagnosi e cure precise.

Nel contesto di una pandemia, se fossero disponibili più dati, l’IA potrebbe essere usata per comprendere meglio quali pazienti sono a rischio di gravi complicazioni o per ottimizzare le campagne di vaccinazione. Ma i dati clinici sono attualmente scarsi.

Torsten Schwede e altri esperti al centro dell’innovazione in campo sanitario credono che la Svizzera, piccola ma ricca e innovativa, non starebbe sfruttando a pieno le sue risorse e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie per affrontare le sfide del XXI secolo.

“In alcuni casi, i dati clinici sono su carta, in altri sono digitali. Spesso i medici comunicano ancora tra loro via fax. Per cui non esiste una cosa come ‘la sua cartella clinica elettronica’.”

Torsten Schwede

La sanità del futuro

L’IA ha dimostrato di poter superare le capacità umane nel campo delle biotecnologie e della diagnostica per immaginiCollegamento esterno. L’idea che un’intelligenza non umana abbia la meglio sull’uomo può apparire spaventosa, ma la verità è che medici e scienziati la considerano sempre di più un’alleata preziosa nel loro lavoro quotidiano.

“L’IA sta davvero emergendo a livello globale come un nuovo strumento in grado di supportare in maniera decisiva la diagnostica e lo screening delle malattie”, afferma Raphael Sznitman, direttore del Centro ARTORG per la ricerca nell’ingegneria biomedica e capo del nuovo Centro per l’intelligenza artificiale nella medicina presso l’Università di Berna. Sznitman illustra come, nel quadro della pandemia, l’intelligenza artificiale moderna abbia sfruttato ampiamente i dati clinici disponibili, specialmente a fini diagnostici. I software impiegati hanno dimostrato di saper distinguere la patologia causata dal coronavirus da malattie tradizionali con un’accuratezza di oltre il 90%Collegamento esterno, superando in maniera significativa le capacità di un gruppo di esperti in radiologia.

Per ottenere questi risultati, un team di ricercatori dell’Inselspital, l’Ospedale universitario di Berna e il Centro ARTORG ha sviluppato un nuovo sistema di analisi delle radiografie del torace e lo ha “addestrato” ricorrendo a 7988 casi clinici, di cui 258 avevano la Covid-19 e 5451 altre forme di polmonite. In seguito, il gruppo ha confrontato la capacità diagnostica dell’IA con quella di radiologi con vari livelli di competenza ed è stato dimostrato che l’IA era significativamente più affidabile nel distinguere la malattia polmonare della Covid-19 da quella non causata dal virus.

In futuro, serviranno sempre più dati di qualità di pazienti da tutto il mondo per utilizzare l’IA in altri campi della medicina e insegnarle a riconoscere quanti più casi e modelli possibili. Per esempio, Snitzman vede nel triage un’area in cui le tecnologie intelligenti potrebbero avere un grande impatto. Ma senza i dati, l’IA non può liberare il suo potenziale. “Per questo l’integrazione delle informazioni digitali in un sistema unico è essenziale”, sostiene Snitzman.

Volere è potere

Una delle sfide più grandi per la scienza della salute del futuro, dunque, è quella di avere a disposizione – previo consenso e severe misure di protezione della privacy – le informazioni sanitarie dei pazienti per finalità di ricerca in un formato non solo digitale ma anche interoperabile in Svizzera e nel mondo. Naturalmente, ciò richiede un impegno a livello globale, ma nonostante la Svizzera eccella nella ricerca sulle potenziali applicazione dell’IA in medicina, gli esperti ritengono che in questo frangente abbia ancora molto da lavorare.

‘’Stiamo ancora fallendo nell’impresa di rendere i dati clinici interoperabili tra i diversi operatori e organismi sanitari di questo Paese. L’intelligenza artificiale potrebbe avere un ruolo centrale nella scienza medica del futuro, ma non nel modo in cui i dati vengono attualmente scambiati’’, avverte Torsten Schwede.

Il sistema sanitario svizzero si basa su una struttura federalistica, in cui il governo federale, i cantoni e i comuni locali hanno competenze diverse. Allo stesso tempo, i servizi sanitari non sono coperti dallo Stato ma da assicurazioni sanitarie private.

La frammentarietà di questo sistema rende complicato lo scambio di informazioni persino tra medici e ospedali all’interno dello stesso cantone. Ma dietro a questo fallimento, Schwede vede soprattutto una mancanza di volontà a livello politico. “Senza una mossa politica per rendere gli standard di interoperabilità obbligatori, la sfida dell’accessibilità dei dati sanitari per la ricerca rimane arenata in limiti puramente tecnici”.

dottoressa batte su tasti computer
Il personale dello studio medico del Centro pediatrico Lindenpark elabora i dati di un test polmonare a Baar, Canton Zugo, Svizzera. © Keystone / Christian Beutler

Verso una sanità personalizzata

Qualcosa, però, si sta muovendo a livello federale. Nel 2017 è nata la Swiss Personalized Health Network SPHN (Rete svizzera della salute personalizzata), un’iniziativa del governo federale che si prefigge di creare infrastrutture di dati connesse tra di loro al fine di rendere interoperabili le informazioni rilevanti per la salute in Svizzera. Il suo mandato è portato avanti dall’Accademia svizzera delle scienze mediche (ASSM) in collaborazione con l’Istituto svizzero di bioinformatica SIB.

Urs Frey, direttore dell’Ospedale pediatrico universitario di Basilea e presidente del comitato direttivo nazionale della SPHN, crede nell’importanza di basare la ricerca e il processo decisionale clinico sui dati sanitari provenienti dal mondo reale per poter andare verso un modello di medicina personalizzato, che tenga sempre più conto delle caratteristiche individuali. Il lavoro della SPHN mira proprio a questo, ma per raggiungere il traguardo è necessario superare rilevanti sfide tecniche che richiedono la collaborazione di tutti i gruppi di interesse in ambito sanitario.

“Lo scopo della SPHN è di armonizzare i dati, sia dal punto di vista della creazione di uno standard terminologico uguale per tutti che del modo in cui le informazioni vengono scambiate tra le diverse strutture e gli operatori sanitari”, spiega Frey. Per farlo, la SPHN mette insieme i diversi attori in un approccio multilaterale che permetta l’armonizzazione del contenuto e dei significati – la cosiddetta “interoperabilità semantica” – e lo scambio sicuro ed etico dei dati a livello nazionale, nel rispetto della privacy dei pazienti. Al momento, il progetto si è concentrato sugli ospedali universitari, ma l’obiettivo del prossimo triennio è di supportare l’interoperabilità anche nelle strutture cantonali.

“Una migliore digitalizzazione non si traduce in un ritorno dell’investimento. E ogni ospedale in Svizzera è un’impresa.”

Sang-il Kim

Un problema svizzero?

Grazie a un panorama scientifico d’eccellenza e a un buon sistema sanitario, la Svizzera sarebbe ben posizionata per essere in prima linea nella digitalizzazione della sanità, anche grazie all’alta qualità dei suoi dati rispetto a quelli che arrivano dall’esterno, come precisa Urs Frey. A dispetto di queste premesse, l’armonizzazione dei dati clinici non è ancora una realtà. Frey pensa che il sistema federalistico elvetico renda questo processo particolarmente impegnativo, sebbene il problema non sia solo svizzero.

Secondo Sang-il Kim, capo della divisione Trasformazione digitale presso l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), la questione è molto più complessa. Il problema principale è che in Svizzera gli ospedali e i centri medici sono organizzazioni private che non investono denaro senza un incentivo. “Una migliore digitalizzazione non si traduce in un ritorno dell’investimento. E ogni ospedale in Svizzera è un’impresa”, afferma Sang-il Kim.

Per fare un esempio concreto, Kim spiega che la Svizzera fa parte della Snomed CTCollegamento esterno, un’organizzazione internazionale che ha sviluppato uno standard globale di linguaggio in ambito sanitario che potrebbe essere utilizzato per rendere effettiva l’interoperabilità semantica dei dati. “La realtà però è che in Svizzera nessuno sfrutta questo sistema perché manca un mercato e per cui anche un incentivo a investire”, dice. Per Kim è difficile che questo incentivo venga dal parlamento, dato che a livello politico si considera che tali investimenti dovrebbero essere responsabilità delle strutture mediche.

Questo rimbalzo di palla potrebbe costare caro ai cittadini in futuro. La pandemia della Covid-19 ha dimostrato che i Paesi con un moderno sistema sanitario digitale e infrastrutture pubbliche, come IsraeleCollegamento esterno – simile alla Svizzera per numero di abitanti – stanno portando avanti la campagna di vaccinazione in modo più efficiente.

Nei prossimi mesi, sarà fondamentale esaminare nel più breve tempo possibile i risultati della campagna di vaccinazione. Ma finché i dati clinici rimarranno immagazzinati in silos irraggiungibili e in formati non intelligibili, o peggio su carta, nessuna intelligenza, né umana né artificiale, sarà in grado di analizzarli per produrre risultati e progresso scientifico. “Vedo un miglioramento potenziale nella digitalizzazione dei dati sanitari ma anche i suoi limiti. La strada è lunga, ci vorranno alcuni anni. Ma ho ancora speranza”, conclude Kim. Saremo pronti, dunque, per la prossima pandemia? 

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