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Ristorni all’Italia in calo, anche se i frontalieri sono aumentati

Cartello con la scritta fronalieri alla dogana di Chiasso.
La quota di ristorni ha subìto un'impennata tra il 2011 (55 milioni di franchi) e il 2019 (quasi 90 milioni). © Keystone / Gaetan Bally

Le entrate derivanti dalle imposte pagate dai lavoratori frontalieri in Ticino hanno sorprendentemente subìto una frenata nel 2020.

Fatta eccezione per il 2010, è da quasi 40 anni che la curva delle imposte alla fonte continua a crescere, così come il numero di lavoratori che quotidianamente superano il confine italo-svizzero per recarsi al lavoro. Questi ultimi sono continuati ad aumentare, superando nel corso dello scorso anno la quota di 70’000 frontalieri provenienti dall’Italia al Ticino (80’000 totali verso tutta la Svizzera). L’ammontare delle tasse che questi dipendenti versano al Cantone – e quindi anche quello che il Governo ticinese ristorna all’Italia – è tuttavia in calo, passando dagli 89.977.207 franchi di ristorni del 2019 agli 86.189.452 nel 2020. Una flessione del 4,2%, pari a oltre 3,787 milioni di franchi in meno. Una diminuzione non poi così netta, ma significativa se si pensa che nel 2011 i ristorni effettuati dal Ticino all’Italia corrispondevano a 55 milioni, diventati 61,5 nel 2014, 80 milioni nel 2016 e via via fino ai quasi 90 milioni di franchi del 2019.

L’evoluzione dei frontalieri in Svizzera:

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Dalle colonne del Corriere del Ticino, che ha anticipato la notizia, sindacati ed esperti sottolineano inoltre come il paradosso del calo delle imposte alla fonte, paragonato al numero di permessi G rilasciati (ossia quelli concessi a lavoratori non residenti in Svizzera, vedi qui) che continua a crescere, può essere spiegato con la crisi legata al coronavirus e con un peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti in arrivo da oltre confine.

“Molti frontalieri hanno perso il lavoro”

“Con il lockdown, numerose imprese ticinesi hanno chiuso o sono state costrette a ricorrere al lavoro ridotto. Anche per questo, molto probabilmente, il trend dei ristorni si è invertito. Le cifre del 2021 potranno o meno confermare questa analisi, che comunque dovrà essere condotta su una maggiore mole di dati”, ha detto il docente della SUPSI Samuele Vorpe citato dal giornale. Il responsabile dell’ufficio frontalieri del sindacato OCST Andrea Puglia osserva che queste cifre “sono la prova che molti frontalieri hanno perso il lavoro nel corso del 2020”. Il loro permesso di lavoro, infatti, rimane valido finanche sei mesi dopo il licenziamento e questo può falsare le statistiche riferite al numero di frontalieri presenti in Ticino alla fine dell’anno. «Anche se i frontalieri fossero davvero aumentati – aggiunge ancora Puglia nell’articolo odierno – vorrebbe dire in ogni caso che ci troviamo di fronte a una perdita qualitativa dei salari. Ci sono, cioè, più frontalieri, ma con salari più bassi».

Gli accordi tra Svizzera e Italia 

Il vecchio accordo, tuttora in vigore, sui frontalieri tra Italia e Svizzera risale al 1974 e prevede che i frontalieri residenti in un comune a meno di 20 chilometri dal confine svizzero vengano tassati solo in Svizzera. La quota spettante a Roma, quasi il 40%, delle imposte prelevate alla fonte dalla Svizzera, ha tuttavia creato un ulteriore incentivo per i lavoratori italiani ad accettare un’occupazione nella Confederazione, in quanto possono beneficiare di tasse più basse oltre che di salari più alti. Un nuovo accordo è poi stato negoziato nel 2015 dalle delegazioni tecniche dei due Paesi ma non è mai stato firmato dal governo di Roma. Tuttavia, le discussioni sono continuate per qualche anno e alla fine è stata concordata una nuova versione del testo che è stata firmata il 23 dicembre 2020 dai rappresentanti dei due esecutivi ed è ora pendente nei rispettivi parlamenti per la ratifica.

Il nuovo accordo prevede che i “nuovi frontalieri” (coloro che entreranno nel mercato del lavoro svizzero a partire dall’entrata in vigore dell’accordo) saranno tassati all’80% dell’imposta alla fonte totale dallo Stato in cui viene svolta l’attività lucrativa (ossia in Svizzera), al posto dell’attuale 61,2%. I nuovi frontalieri saranno soggetti però anche alla tassazione ordinaria nel loro Paese di residenza (l’Italia) che imporrà questi contribuenti in base alle sue aliquote Irpef (anche se Roma riconoscerà un credito d’imposta in funzione di quanto prelevato alla fonte dalla Svizzera). Questo si tradurrà in un maggiore onere finanziario per i “nuovi frontalieri”, poiché le tasse in Svizzera sono più basse che in Italia. Inoltre, è prevista una disposizione transitoria per i frontalieri che lavorano o hanno lavorato nei cantoni Vallese, Grigioni e Ticino tra il 31 dicembre 2018 e l’entrata in vigore del nuovo accordo. Questi continueranno ad essere tassati esclusivamente nel Paese in cui viene svolta l’attività lucrativa.

In base all’accordo, la Svizzera verserà ai comuni di frontiera italiani, fino alla fine dell’anno fiscale 2033, dei pagamenti compensativi pari al 40% dell’imposta alla fonte prelevata. Dal 2034, ai comuni italiani di residenza non verrà invece più pagata alcuna perequazione.

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