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L’ex responsabile dell’UNRWA, Pierre Krähenbühl spera di essere riabilitato dall’ONU

bambino che gioca con un pallone
Nel campo profughi di Jabaliya, a nord della Striscia di Gaza, 8 luglio 2012. Qui, le scuole dell'UNRWA accolgono circa 280'000 allievi. Keystone / Ali Ali

Lo svizzero Pierre Krähenbühl vede avvicinarsi la fine delle accuse formulate nei suoi confronti nel 2019 e rileva un cambiamento nella posizione di Berna. Le considerazioni dell'ex commissario generale dell'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi nell'intervista a swissinfo.ch.

Pierre Krähenbühl, nominato nel novembre 2013 a capo dell’UNRWA, era uno dei funzionari svizzeri di più alto rango nelle Nazioni Unite. E pure uno dei più esposti alle pressioni, visto il peso politico del conflitto israelo-palestinese e il caos creatosi in Medio Oriente negli ultimi 10 anni.

Pierre Krahenbuhl
Pierre Krähenbühl nel 2018. © Keystone / Martial Trezzini

È con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca che sono iniziati i problemi per Pierre Krähenbühl. Il ritiro degli Stati Uniti dall’agenzia si è materializzato con la cessazione dei loro contributi finanziari per il 2018. Un buco finanziario di 300 milioni di dollari che Pierre Krähenbühl è riuscito a colmare ottenendo un sostegno supplementare da una quarantina di Stati.

Nel 2019, il ginevrino è stato accusato dai dipendenti dell’agenzia di abuso di potere, di nepotismo, di una relazione inappropriata con una stretta collaboratrice e di discriminazione. Ne è seguita un’indagine delle Nazioni Unite, i cui risultati hanno ampiamente scagionato Pierre Krähenbühl dalle accuse formulate nei suoi confronti, secondo un approfondimentoCollegamento esterno della Televisione pubblica svizzera trasmesso lo scorso dicembre.

Con poco o nessun sostegno da parte della diplomazia elvetica, Pierre Krähenbühl si è dimesso dal suo incarico nel novembre 2019. A inizio febbraio 2021, il ministro degli esteri Ignazio Cassis ha dichiarato al quotidiano Le TempsCollegamento esterno che “la Svizzera ha chiesto all’ONU di pubblicare questi documenti per ragioni di trasparenza”.

swissinfo.ch: È proprio perché ha colmato il buco finanziario causato dagli Stati Uniti nel 2018 che è stato sottoposto a questa campagna diffamatoria?

Pierre Krähenbühl: In parte sì. Non ho nessuna prova che mostri un legame tra gli attacchi politici e finanziari e il rapporto iniziale contenente le lamentele venute dall’interno dell’UNRWA. Ma non appena è trapelato sulla stampa nell’estate del 2019, il rapporto è stato strumentalizzato politicamente. Siamo passati da un attacco finanziario nel 2018 a un attacco politico e personale nel 2019. Sono convinto che a me e all’UNRWA non è stato perdonato il fatto di aver superato quella crisi.

Quando ha visitato un campo dell’UNRWA in Giordania, Ignazio Cassis ha condiviso con lei alcune delle sue preoccupazioni, in particolare su un’agenzia che secondo lui è parte del problema e non della soluzione, ovvero un tema ricorrente nel linguaggio di Stati Uniti e Israele?

Sapevamo che rispetto ai suoi predecessori aveva una sensibilità diversa nei confronti del conflitto israelo-palestinese. Un cambiamento di atteggiamento che non è insolito nei Paesi europei.

La visita in sé è andata bene. Sia la delegazione svizzera che il team dell’UNRWA ritenevano che fosse stata una buona visita. Durante il nostro incontro, il consigliere federale ha fatto molte domande, mostrando un reale interesse. Siamo stati quindi molto sorpresi di leggere le sue dichiarazioni nell’intervista rilasciata al suo ritorno, dato che non erano emerse durante le nostre discussioni. Queste affermazioni percepite come un cambiamento di rotta da parte della Svizzera sono state anche una sorpresa in Medio Oriente, una regione abituata a posizioni coerenti sul conflitto, come mi hanno detto diversi ministri.

Il Consiglio federale ha chiarito la posizione svizzera in seguito a queste affermazioni, ciò che mi ha permesso di sottolineare la continuità della politica della Svizzera in Medio OrienteCollegamento esterno e il suo sostegno all’UNRWA.

La vicenda che l’ha coinvolta è evoluta da quando il rapporto finale delle Nazioni Unite è stato rivelato dalla televisione svizzera lo scorso dicembre?

Ciò che è cambiato è la percezione generale degli eventi nel 2018 e 2019. Quel servizio ha contribuito molto a chiarire quel periodo di crisi, il suo contesto e i risultati dell’indagine delle Nazioni Unite. Ha anche generato numerose reazioni da parte dei media e dei cittadini.

Inoltre, Berna sostiene ora la richiesta di chiarimento e la chiusura del caso da parte di New York. È l’obiettivo principale di questa vicenda. Accolgo con favore l’intervento di Berna, che avrebbe un obiettivo realizzabile: una lettera del segretariato generale dell’ONU per concludere l’intera procedura, che menzioni i risultati dell’inchiesta e indichi che le molteplici e gravi accuse contro di me erano in gran parte infondate. Non spetta alla Svizzera farlo per prima, ma all’ONU.

Il segretario generale [António Guterres] mi ha chiamato nel novembre 2019 per dirmi che le accuse di corruzione, frode, cattiva gestione e relazioni sentimentali erano state tutte respinte. Questa era la cosa principale. Detto questo, gli errori sono inevitabili quando si gestisce un’agenzia così sotto pressione e in cui lavorano 30’000 persone.

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Questo via libera da parte di Berna era un prerequisito affinché il segretario generale dell’ONU mettesse fine alla vicenda?

L’ONU avrebbe potuto agire di propria iniziativa. Le mie dimissioni nel novembre 2019 avevano, secondo New York, sospeso la procedura. L’inchiesta è giunta alle sue conclusioni e quindi è possibile chiudere il capitolo.

Senza voler speculare sui ritardi, credo che il cambio di amministrazione negli Stati Uniti fornisca un contesto più favorevole alla conclusione della vicenda.

Questo cambio di amministrazione ha effetti palpabili per il Medio Oriente. Anche per l’UNRWA?

Lo spero. Gli Stati Uniti sono stati il più grande donatore dell’UNRWA per 65 anni. Una delle ragioni di questo impegno di lunga durata è il sostegno ai rifugiati palestinesi, così come a Israele. Gli Stati Uniti sono stati allo stesso tempo molto generosi e a volte critici, cosa di cui alcuni in Svizzera non si sono resi conto. È questa traiettoria che l’amministrazione Trump ha cercato di interrompere, spostando l’ambasciata statunitense a Gerusalemme e ponendo fine al finanziamento dell’UNRWA.

“Gli errori sono inevitabili quando si gestisce un’agenzia così sotto pressione e in cui lavorano 30’000 persone.”

L’agenzia si è trovata in una crisi esistenziale. Abbiamo deciso di non piegarci a questa forma di diktat. E siamo riusciti a mobilitare più di 40 Paesi che hanno aumentato i loro finanziamenti.

La nuova amministrazione Biden ha già annunciato la sua volontà di impegnarsi nuovamente con l’UNRWA. Si riprenderebbe così un partenariato di lunga data.

Lei è stato il primo commissario generale a non provenire dal mondo diplomatico (come la sua vice americana). Non era un punto debole per una posizione così esposta?

Quando ho presentato la mia candidatura nel 2013, la Svizzera avrebbe potuto semplicemente prenderne nota. Ma ha deciso di sostenerla ufficialmente con una lettera del presidente della Confederazione Ueli Maurer al segretario generale dell’ONU Ban-Ki-moon. L’intero corpo diplomatico svizzero si è attivamente coordinato e impegnato presso gli Stati a sostegno della mia candidatura.

Ho potuto scoprire cosa significasse avere l’appoggio del proprio Paese. La candidatura della mia vice Sandra Mitchell ha beneficiato dello stesso sostegno da parte del suo Paese. Non eravamo dei diplomatici di carriera. Venivamo da organizzazioni umanitarie. Ma l’impegno di entrambi i nostri Paesi è stato molto forte. La principale preoccupazione di Ban Ki-moon nel reclutarmi era se avessi buone capacità per mobilitare i donatori e raccogliere fondi. Questo era già il tallone d’Achille dell’UNRWA e bisognava trovare un modo per garantire la sua stabilità finanziaria.

Ed è stata proprio l’amministrazione Trump a creare la rottura nel contesto di una politica ostile al sistema multilaterale, come mi ha detto il presidente francese Emmanuel Macron nel 2018.

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L’UNRWA è in grado di negoziare con i Paesi d’accoglienza un allentamento degli statuti dei rifugiati palestinesi, particolarmente restrittivi in Libano, ad esempio a causa del ruolo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina durante la guerra civile?

È importante non perdere di vista ciò che è al centro del dibattito e dell’azione dell’UNRWA: il destino e la dignità dei 5,5 milioni di persone che vivono nei campi da decenni in una delle regioni più instabili del mondo.

In Libano, lo statuto dei rifugiati è particolarmente restrittivo. È in effetti un retaggio della guerra civile. Sono praticamente esclusi dal mercato del lavoro, privati di qualsiasi prospettiva economica e sociale.

Ma la loro situazione è compromessa anche altrove.

Circa il 70% della popolazione di Gaza è costituita da rifugiati, le scuole dell’UNRWA accolgono 280’000 studenti, la maggior parte dei quali non ha mai lasciato la Striscia di Gaza. Immaginate che tipo di prospettiva può offrire questo territorio, regolarmente confrontato con la guerra, i blocchi e la disoccupazione. In Cisgiordania, i campi palestinesi soffrono a causa dell’occupazione israeliana.

In Siria, dove i palestinesi erano i meglio accolti, in particolare con l’accesso al lavoro e l’apertura di imprese, tutto è stato distrutto dalla guerra civile che dura da 10 anni.

“Vedere il coraggio degli allievi che si ostinano a studiare in condizioni estremamente difficili, spesso in situazioni di guerra, mi ha segnato parecchio.”

Il peso sull’intera comunità di rifugiati è quindi particolarmente grande e duraturo. Ma l’UNRWA ha una piccola finestra di opportunità per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi, come abbiamo fatto in Libano e negli altri Paesi interessati.

Tuttavia, il problema non sarà risolto finché non si troverà una soluzione politica. Le persone che criticano l’UNRWA preferiscono parlare del contenuto dell’istruzione fornita dall’UNRWA o dello statuto dei rifugiati, piuttosto che concentrarsi su come porre fine a questo conflitto quasi secolare.

Gli accordi di Oslo, l’accordo di pace che si è spinto più in là, prevedevano precisamente che i servizi forniti dall’UNRWA passassero gradualmente nelle mani dello Stato palestinese.

A lungo termine, qual è il programma più importante dell’UNRWA?

C’è un lavoro essenziale di sanità di base attraverso una rete di 140 cliniche, di distribuzione di cibo o denaro affinché le persone che sono finite sotto la soglia di povertà possano vivere o sopravvivere.

Ma ciò che mi ha colpito maggiormente è stato il programma educativoCollegamento esterno dell’agenzia. È un settore che non avevo conosciuto in questo modo durante i miei 22 anni al CICR.

Le organizzazioni umanitarie sono spesso accusate di essere troppo concentrate sull’emergenza senza aiutare la popolazione colpita a ritrovare una certa autonomia a medio termine.

Con l’istruzione e la formazione professionale fornite dall’UNRWA, ho scoperto un’azione straordinaria. E ovunque sono andato a tenere una conferenza, in Australia, Svezia, Svizzera o altrove, c’era sempre qualcuno che diceva di aver studiato nelle scuole dell’UNRWA e di essere riuscito a realizzarsi professionalmente. C’era anche una certa amarezza da parte della diaspora palestinese. Ma quello che i rifugiati palestinesi della regione dicono più spesso è che possono rinunciare a molte cose, ma non all’istruzione.

Vedere il coraggio degli allievi che si ostinano a studiare in condizioni estremamente difficili, spesso in situazioni di guerra, mi ha segnato parecchio. Questa determinazione e questa disciplina hanno poco a che vedere con la mia esperienza di scolaro in Svizzera.

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Traduzione dal francese: Luigi Jorio

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