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L’esercito diventa più snello e moderno, ma non più economico

L'esercito svizzero sarà riformato? Keystone

Il Parlamento ha per il momento concluso la lunga discussione sulla riorganizzazione dell’esercito svizzero. Dopo la Camera bassa anche quella alta ha approvato la riforma. Il numero di effettivi sarà ridotto, mentre il preventivo è stato fissato a 5 miliardi di franchi. Alla fine della sessione primaverile ci sarà la votazione conclusiva.

Negli ultimi decenni l’esercito svizzero è stato riorganizzato sulla base della valutazione delle minacce che incombevano sul Paese. Dal 1990 sono state attuate quattro riforme. All’inizio degli anni Sessanta oltre 600mila uomini prestavano servizio militare obbligatorio. Nell’ultimo anno erano ancora poco più di 130mila. Anche il numero di giorni di servizio è stato gradualmente ridotto.

Se alla fine dell’attuale sessione la maggioranza dei parlamentari approverà la riforma, l’esercito continuerà la sua cura dimagrante. L’effettivo sarà portato a 100mila soldati, si passerà a una scuola reclute di 18 settimane, la formazione sarà migliorata e i militi disporranno di un’attrezzatura più moderna. Tre aeroporti militari, sette piazze d’armi e diversi poligoni di tiro e centri di istruzione saranno chiusi.

Il budget dell’esercito è passato da 2 miliardi di franchi (1970) agli attuali 5 miliardi. Se da una parte i partiti rosso-verdi hanno continuamente provato a ridurre la spesa per l’esercito, la destra – soprattutto l’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) – ha sempre paventato una «mannaia sulla sicurezza».

Il mancato decollo dei Gripen

Possibile referendum

L’Unione democratica di centro, la sinistra, i verdi e il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) non intendono lanciare un referendum. Solo il Gruppo Giardino, che sostiene l’idea di un esercito classico più grande, vuole lottare contro la riforma attraverso un referendum, se questa supererà lo scoglio dell’ultima votazione durante l’attuale sessione. Il Parlamento non si rende conto che la situazione della sicurezza è molto peggiorata, ammonisce Willi Vollenweider, presidente del Gruppo Giardino.

Dall’ultimo aumento, che il Dipartimento federale della difesa aveva giustificato con l’acquisto di un nuovo caccia, il preventivo si è stabilizzato attorno ai 5 miliardi di franchi all’anno. Ma quando l’anno scorso gli aventi diritto di voto svizzeri hanno rifiutato l’acquisto di 22 aerei da combattimento Gripen, la sinistra ha chiesto di nuovo una riduzione delle uscite destinate all’esercito; una proposta sostenuta anche dal Consiglio federale nell’ambito dei piani di risparmio della Confederazione, facendo così infuriare l’UDC. Alcuni esponenti del partito più grande in Svizzera hanno minacciato di affossare la riforma dell’esercito nella votazione finale, nonostante in dicembre il Consiglio nazionale (Camera bassa) e nell’attuale sessione primaverile il Consiglio degli Stati (Camera alta) l’abbiano approvata a larga maggioranza.

Thomas Hurter, parlamentare sciaffussano dell’UDC, voterà a favore della riorganizzazione dell’esercito, nonostante non approvi simili proposte di risparmio. «L’atteggiamento del Consiglio federale è una sorta di atto d’insubordinazione», dice il pilota dell’esercito svizzero e che nella vita professionale regge la cloche degli aerei di linea della Swiss. «Il Parlamento ha approvato per la quarta volta un budget annuale di 5 miliardi di franchi, rispettivamente di 20 miliardi spalmati su quattro anni». Ai colleghi sotto la Cupola federale, Hurter consiglia di essere risoluti quando in autunno il Parlamento sarà chiamato a dibattere sui piani di risparmio della Confederazione.

«Almeno 100mila»

A parte la diminuzione degli effettivi, il consigliere nazionale democentrista è contento della nuova riforma dell’esercito, «considerando ciò che era politicamente possibile» precisa. «Il Consiglio federale aveva proposto una volta [nel 2010 ndr.] soli 80mila soldati; noi dell’UDC ne volevamo 120mila. Con il numero attuale abbiamo toccato il fondo. Se gli effettivi vengono ancora ridotti, possiamo fare le valigie». In situazioni come quelle che si vivono attualmente in Francia o per garantire la sicurezza delle infrastrutture aeroportuali servono diverse decine di migliaia di persone e per questo motivo, sostiene il capitano di milizia, non si può scendere al di sotto dei 100mila uomini

In generale, l’esercito è ora ben organizzato. La riforma ha prodotto dei miglioramenti soprattutto in ambito di formazione, attrezzatura, numero di corsi di ripetizione e di mobilitazione, indica il parlamentare UDC. «Oggi nessuno riesce a capire perché determinate unità dell’esercito non sanno essere operative in breve tempo». Non vale solo per le forze aeree, dice Hurter, facendo riferimento a un fatto avvenuto nel 2014. In quell’occasione un aereo etiope dirottato è stato scortato nei cieli svizzeri da due Mirage francesi, poiché l’aviazione da caccia svizzera volava solo durante gli orari di ufficio.

Se paragonato ad altri Stati in Europa, l’esercito svizzero è tra i più cari in rapporto a numero di abitanti: un prezzo legato al nostro sistema di milizia, di cui dobbiamo andare fieri, ricorda Hurter. «Costa un po’ di più, ma viene sostenuto dalla popolazione e dalle regioni linguistiche; è qualcosa a cui dobbiamo tenere. Se paragonati a quelli degli Stati vicini Germania e Francia, i costi per l’esercito svizzero si collocano nella parte bassa rispetto al prodotto interno lordo».

«Non più di 80mila»

Per la sinistra e i verdi, l’esercito è sempre ancora troppo grande e troppo caro. Quest’ultimo cerca di legittimare la sua esistenza assumendo compiti in ambito civile, sostengono i contrari. La grandezza e i costi non rispondono ai bisogni dell’esercito, bensì di alcuni politici. Tuttavia alcuni non hanno affossato la riforma, perché hanno preferito avere «un uovo oggi che una gallina domani» e per questo motivo non vogliono nemmeno lanciare il referendum. «Non è nemmeno un uovo, bensì molto meno», ricorda Balthasar Glättli, capogruppo dei verdi. «La riforma non è sufficiente, ma almeno abbiamo imboccato la strada giusta».

Se potessero decidere da soli, i verdi fisserebbero un limite massimo di 80 000 soldati. Secondo questi ultimi, l’esercito si occuperebbe di mansioni non necessarie, per esempio, nell’aiuto in caso di catastrofe. «È possibile organizzare questo servizio in maniera diversa, come testimonia l’Agenzia federale soccorso tecnico THW. È basata su un gruppo di professionisti affiancati da volontari». Anche in ambito di pronto intervento sarebbe possibile snellire un po’ la struttura, sostiene Glättli.

In autunno, quando si parlerà del piano finanziario della Confederazione, il capogruppo dei verdi chiederà una riduzione delle uscite per l’esercito, per salvaguardare altri settori. «Nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, il cui obiettivo è creare le condizioni atte a permettere alle persone di vivere nei loro Paesi, la destra intende apportare dei tagli importanti, nonostante il Parlamento abbia espresso un altro parere in passato».

La sicurezza è un aspetto a cui tiene molto, dichiara Glättli. È uno dei compiti fondamentali dello Stato. Ma se pensa alle minacce principali, al 44enne parlamentare di Zurigo vengono in mente, oltre al cambiamento climatico, altri rischi attuali quali le centrali atomiche o i grandi impianti industriali, che potrebbero davvero causare dei danni enormi se fossero presi di mira da qualcuno.

Alla domanda, se i verdi sostengono ancora l’esercito di milizia, il capogruppo dà una risposta elusiva: «Nel caso in cui si dovesse scegliere tra un esercito di milizia o di professionisti, i verdi preferirebbero il primo. Ma l’esercito di tipo classico, che si basa sull’idea della difesa di un territorio, non è più giustificabile». Infatti, nonostante i recenti cambiamenti a livello di politica internazionale, un aspetto è rimasto uguale: «La Svizzera è ancora attorniata da Stati amici».

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