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La cura dimagrante dei parlamenti cantonali svizzeri

sala del consiglio nazionale vista dall alto
Dal 1963 il Consiglio nazionale, la Camera bassa del Parlamento svizzero, è composto di 200 deputati e da allora non vi è stata nessuna velleità di ridurne il numero. Keystone / Alessandro Della Valle

Negli ultimi due decenni, diversi cantoni svizzeri hanno ridotto il numero di parlamentari. Quali sono state le ragioni che hanno portato a questi tagli? E quali sono vantaggi e svantaggi? Ne abbiamo discusso con il politologo Andrea Pilotti.

Il dibattito che in queste settimane è in corso in Italia tra fautori e contrari alla riduzione del numero di parlamentari in vista del referendum del 20-21 settembre è stato condotto negli scorsi anni anche in Svizzera. Diversi cantoni, infatti, hanno compiuto un passo simile, diminuendo la grandezza dei parlamenti cantonali. L’ultimo in ordine di tempo è stato il cantone Neuchâtel, la cui popolazione nel 2017 ha accettato di diminuire da 115 a 100 il numero dei deputati al parlamento cantonale.

In un paese come la Svizzera, che anche in ambito politico si basa sul cosiddetto sistema di milizia, l’argomento finanziario non è però il più importante. A prevalere sono piuttosto altre considerazioni, rileva Andrea PilottiCollegamento esterno, politologo all’Università di Losanna e autore, tra le altre cose, di una tesi di dottorato intitolata “I parlamentari svizzeri tra democratizzazione e professionalizzazioneCollegamento esterno“.

tvsvizzera.it: A livello federale, dal 1963 il numero di deputati in Consiglio Nazionale (Camera bassa) è fissato a 200. Da allora ci sono state delle velleità per ridurlo?

Andrea Pilotti: No, non a livello federale. Nella seconda metà dell’Ottocento e nella prima parte del Novecento si assiste a uno sviluppo in termini numerici dei parlamenti federale e cantonali. Questa evoluzione è legata alla crescita demografica. Il principio su cui ci si basava per stabilire il numero dei deputati era quello di una quota per numero di abitanti. Nel caso del Parlamento federale, che nel 1848 contava 111 consiglieri nazionali e 44 consiglieri agli Stati [poi diventati 46 nel 1979 con la creazione del cantone Giura, ndr], a un certo punto ci si è fermati perché la crescita demografica era troppo importante, quindi si è stabilito questo numero.

In seguito, questa cifra non è mai stata rimessa in discussione. Anzi, a livello di Consiglio degli Stati (Camera alta) vi sono state talvolta delle richieste negli ultimi anni di introdurre ad esempio dei rappresentanti delle grandi città.

“Un elemento di spiegazione è il carico crescente di lavoro cui si associa anche una certa complessificazione dei dossier parlamentari”.

A livello cantonale, invece, soprattutto tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, vi sono stati diversi cantoni che hanno effettuato una cura dimagrante dei loro parlamenti.

Esatto. Spesso queste riduzioni sono state legate a riforme complete della Costituzione, ad esempio nel canton Vaud, dove nel 2007 si è passati da 180 a 150 deputati. Il caso più recente – non legato però a una revisione completa della Costituzione – riguarda Neuchâtel, dove nel 2017 è stata approvata in votazione popolare la proposta di ridurre il numero di granconsiglieri da 115 a 100; la riforma entrerà in vigore a partire dalle prossime elezioni cantonali del 2021.

Quali sono le cause che hanno portato a questa evoluzione?

Variano un po’ da un cantone all’altro. Tuttavia, a mio avviso, un elemento di spiegazione è il carico crescente di lavoro cui si associa anche una certa complessificazione dei dossier parlamentari, che richiedono al singolo deputato un maggiore impegno rispetto al passato. Anche in un paese come la Svizzera, che si fonda sul cosiddetto sistema di milizia, si assiste a una forma di professionalizzazione, pure nei parlamenti cantonali.

Una professionalizzazione non tanto in termini di remunerazione, quanto soprattutto in termini di carichi di lavoro, in particolare nelle commissioni. L’idea è che riducendo i parlamentari, si crei una sorta di numero ideale, affinché ognuno possa consacrare al proprio mandato un po’ più di tempo.

Un altro argomento è la difficoltà di trovare dei candidati. Comporre liste per 150 seggi o per 200 non è la stessa cosa.

Non è però un po’ paradossale? Si vuole un parlamento di milizia, ma nello stesso tempo i deputati hanno più lavoro.

Sì, vi è una certa ambivalenza ed è un delicato gioco degli equilibri. In effetti uno dei principali argomenti di chi si oppone alla riduzione del numero dei parlamentari è il rischio di creare dei professionisti della politica, troppo distaccati dalla realtà.

D’altro canto – ed è quello che ad esempio è stato dimostrato a Neuchâtel – vi è un certo numero di parlamentari che, non sedendo in nessuna commissione, in sostanza lavorava molto meno o comunque non era messo nelle condizioni ideali per adempiere alla sua funzione. E questo dal momento che oggigiorno gran parte del lavoro viene fatto nelle commissioni. Non farvi parte, riduce sensibilmente la possibilità d’influire sul processo decisionale.

“Affermare che diminuendo il numero di parlamentari si corre il rischio di indebolire la rappresentatività del parlamento è vero solo in parte”.

Ridurre il numero di parlamentare incide però sulla rappresentatività.

È un argomento delicato, anche se a mio modo di vedere è legato più al sistema elettorale che al numero di parlamentari. Affermare che diminuendo il numero di parlamentari si corre il rischio di indebolire la rappresentatività del parlamento è vero solo in parte. Si può compensare questo aspetto con dei vincoli, con degli strumenti di architettura elettorale che garantiscono ad ogni regione un certo numero di deputati. Nella maggior parte dei cantoni svizzeri, il sistema dei circondari elettorali può in questo senso facilitare una certa rappresentatività.

Per contro, dove vi è un circondario unico, ad esempio in Ticino e Ginevra, non vi è nessuna certezza che tutte le regioni siano rappresentate equamente secondo il loro peso demografico. Dipende molto da come i partiti compongono le loro liste e se lasciano spazio ai candidati di tutte le regioni.

In Italia, uno dei temi centrali dei fautori della riforma è la diminuzione dei costi. È un aspetto su cui si è fatto leva anche in Svizzera?

Sì, anche se le remunerazioni nei parlamenti cantonali in Svizzera sono talmente limitate che è difficile argomentare in questo senso. Inoltre, la riduzione del numero di parlamentari non si è tradotta necessariamente in meno sedute plenarie o di commissione, ciò che avrebbe significato pagare meno gettoni di presenza. Anzi, in taluni casi si è osservato come i deputati siano stati spinti a fare un numero più elevato di riunioni di commissione. Il risparmio effettivo non è quindi sempre necessariamente così significativo.

Meno parlamentari uguale più candidati di qualità. È un’equazione corretta?

Non vi è una relazione causale. È vero che con un minor numero di candidati, il rischio di dovere completare le liste con coloro che comunemente vengono definiti  ‘tappabuchi’ è inferiore. Tuttavia, vi possono essere anche logiche all’interno dei partiti che portano alla scelta di candidati che non si rivelano necessariamente essere i migliori nell’attività parlamentare, ma coloro che assicurano una maggiore visibilità al partito e alle sue idee.

Diminuire il numero di parlamentari implica anche la necessità di rivedere il funzionamento del parlamento, ad esempio delle commissioni?

Sostanzialmente no. Anche l’argomento talvolta addotto in merito al fatto che la diminuzione dei parlamentari possa influire sulla qualità dei dibattiti non sempre si rivela veritiero. Molto dipende piuttosto dalle regole interne del parlamento e non dal semplice numero di deputati.

Inoltre, anche in questo caso molto dipende dal sistema elettorale e non tanto dal numero di parlamentari. Ad esempio, se viene introdotto un quorum più alto, i piccoli partiti, molto spesso di opposizione, rischiano ancor più di essere “tagliati fuori”. Questo si ripercuoterà sulla composizione delle commissioni, nelle quali saranno rappresentati solo i tre o quattro partiti più forti, che spesso già sono presenti nell’esecutivo, e non magari setto o otto. Ciò a detta di alcuni può facilitare il lavoro in commissione, rendendo più agevole la ricerca di un compromesso.

In quei cantoni in cui vi è stata una riduzione, è possibile stilare un bilancio?

Nessuno ha mai affermato che bisogna tornare al sistema precedente e quindi è un modo implicito per dire che alla fine questa riduzione non ha creato particolari scompensi nel funzionamento del parlamento. Non si è neppure assistito a un aumento delle critiche da parte di regioni periferiche nei diversi cantoni, che magari sono rappresentate un po’ meno.

L’abilità del legislatore sta nel capire che ridurre il numero di parlamentare deve andare di pari passo con l’introduzione di altri strumenti che garantiscono appunto questa rappresentatività.

Una cosa è però certa: una volta che questo passo è stato compiuto, poi è altamente improbabile tornare indietro.

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