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Inadempienze anche presso Credit Suisse

Gambe di banchieri di fronte alla sede del Credit Suisse
Le indagini della Finma riguardano questa la seconda banca svizzera, una banca "troppo grande per fallire". © KEYSTONE / ENNIO LEANZA

L'autorità svizzera di vigilanza sui mercati finanziari ha puntato il dito sul comportamento scorretto di Credit Suisse nell'ambito di vari casi internazionali di corruzione. Si tratta tuttavia solo di inchieste, non di sanzioni. Non c'è dunque niente di cui preoccuparsi? L'opinione di due osservatori critici dei mercati finanziari.

Lunedì, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) ha annunciato la chiusura di due procedimenti d’esame approfondito contro il Credit Suisse in relazione a eventi verificatisi tra il 2006 e il 2015.

Nella prima procedura, la Finma ha riscontrato violazioni degli obblighi di “due diligence” nella lotta al riciclaggio di denaro in relazioni a presunti casi di corruzione concernenti la FIFA e i gruppi petroliferi brasiliani e venezuelani Petrobas e PDVSA. La seconda procedura riguarda un rapporto d’affari, rilevante per la banca, con una persona politicamente esposta (PPECollegamento esterno) – la cui identità non è rivelata.

La Legge svizzera sul riciclaggio di denaroCollegamento esterno è in vigore dal 1998. L’elemento principale è l’obbligo imposto a tutti gli intermediari finanziari – non solo le banche – ad identificare tutti i clienti e a rispettare la regola “know your customer”, ossia di verificare attentamente i rapporti commerciali con i clienti al fine di identificare eventuali attività sospette.

L’organo di vigilanza dei mercati finanziari sottolinea che Credit Suisse ha adottato misure per rafforzare la lotta contro il riciclaggio di denaro dalla fine del 2015. Nonostante i miglioramenti “talvolta sostanziali”, Finma ha ordinato misure supplementari “per ristabilire l’ordine giuridico” e nominerà un revisore dei conti per verificarne la piena attuazione.

In un comunicato stampa, il Credit Suisse riconosce le conclusioni di Finma. La banca sottolinea inoltre che il procedimento non ha dato luogo a “ammende, restituzione degli utili o limitazione delle attività commerciali”.

Niente da segnalare?

Come leggere questo tipo di notizie? “La cosa preoccupante è che anche nelle banche di importanza sistemica [too big to fail], gli obblighi di diligenza e di comunicazione non vengano rispettati come dovrebbe esserlo per legge”, osserva Martin Hilti, direttore di Transparency International SvizzeraCollegamento esterno. “Fa piacere constatare, tuttavia, che Finma svolga i suoi controlli in modo coerente, e non solo nei confronti delle banche più piccole, come per esempio nel caso della banca ticinese BSI. Meglio tardi che mai”.

Anche Marc Guéniat, dell’ONG Public EyeCollegamento esterno (ex Dichiarazione di Berna), accoglie con favore il fatto che la Finma vigili anche sulle grandi banche e che informi l’opinione pubblica su questo tipo di indagini, fatto generalmente piuttosto raro. Le violazioni segnalate non sono tuttavia “semplici incidenti. Si tratta di tre casi di grandi dimensioni e questo dimostra l’esistenza di problemi piuttosto gravi presso Credit Suisse.”

Tentazioni forti, sanzioni deboli

Con la morte del segreto bancario e gli albori dello scambio automatico di informazioni, si è spesso parlato di “strategia della zebra“: costrette ad accettare solo denaro pulito dai paesi ricchi, le banche di gestione patrimoniale hanno cercato nuovi mercati a est e a sud, dove il rischio di avere a che fare con fondi neri è molto più alto.

Marc Guéniat osserva che in effetti “i grandi casi controversi che hanno coinvolto la piazza finanziaria svizzera negli ultimi 4-5 anni provengono quasi sistematicamente dai paesi in via di sviluppo: 1MDB in Malesia, Petrobras, che coinvolge più di 40 banche svizzere, PDVSA, Venezuela, diverse operazioni relative al commercio di materie prime….”.

Per l’esperto di Public Eye, questo è certamente favorito dal fatto che “il meccanismo sanzionatorio, sia esso amministrativo o penale, è estremamente debole. Ad esempio, a uno dei dirigenti della banca privata svizzera Heritage, condannato nel caso Petrobras, è stata inflitta una multa inferiore al suo stipendio mensile.”

Può – e deve – fare meglio

Carenze nelle sanzioni, ma anche lacune legislative, osserva Martin Hilti di Transparency International. E ricorda che nella sua ultima valutazione del 2016, il GAFI (Gruppo d’azione finanziaria contro il riciclaggio di denaro) aveva criticato la Svizzera perché ancora non applica le sue raccomandazioni in alcuni ambiti importanti. Per questo la Svizzera è soggetta a una procedura nota come “monitoraggio rafforzato” (enhanced follow up). Ciò significa che deve riferire molto attentamente e rigorosamente sui suoi progressi se non vuole essere inserita in una lista nera.

Per Martin Hilti, “ciò di cui abbiamo bisogno – e questo è anche ciò che chiede il GAFI – è in primo luogo che gli intermediari finanziari svizzeri siano tenuti a verificare l’esattezza dei dati degli aventi diritto economici comunicati dai clienti e, in secondo luogo, che siano obbligati ad aggiornare costantemente i dati sui clienti, in modo da non trascinare con sé le zavorre del passato.”

“Inoltre, il campo di applicazione della legge sul riciclaggio di denaro dovrebbe essere esteso anche agli intermediari non finanziari con attività a rischio. Tali attività sono svolte in particolare da avvocati, notai, fiduciari e commercianti d’arte e di beni di lusso”, aggiunge Hilti.

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