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Una spinta per tornare al paese, ma poi?

Ogni anno la Svizzera offre a diverse migliaia di richiedenti l’asilo tra i 1'000 e i 7'000 franchi, per incitarli a partire e sostenerli nell'avvio di un nuovo progetto. Non tutti però vanno in porto. Da Addis Abeba, due etiopi raccontano il loro ritorno.

In un quartiere popolare alla periferia di Addis Abeba, Berhanu ha aperto una piccola bottega di ferramenta. Chiodi, cavi e lampadine sono allineati con ordine sugli scaffali, mentre una teiera impolverata sonnecchia abbandonata in un angolo. Due giovani varcano la porta. È pomeriggio avanzato e sono i primi clienti della giornata. «Gli affari non vanno molto bene».

Berhanu nella sua bottega di ferramenta. swissinfo.ch

Quando Berhanu è partito per la Svizzera, nel 2010, sognava una vita migliore. Ma le cose non sono andate come sperava. Fuggito dall’Etiopia per ragioni economiche, si è visto respingere la sua richiesta d’asilo al termine di una procedura durata oltre due anni.

4’000 franchi per cominciare da capo

Il verdetto delle autorità era chiaro: Berhanu doveva rientrare al suo paese. Con un sorriso tinto d’imbarazzo, Berhanu racconta di aver cercato di resistere per alcuni mesi. Viveva con dieci franchi al giorno. «Qui si sente dire che la Svizzera è un paese che accoglie i rifugiati e dove si vive bene. Io non ce l’ho fatta. Cosa avrebbero pensato di me amici e parenti se fossi tornato a mani vuote?».

A convincerlo sono state la solitudine, la mancanza di prospettive e soprattutto il programma di aiuto al ritorno. Da 17 anni, la Svizzera offre infatti ai richiedenti l’asilo respinti, ma non solo, un sostegno finanziario per facilitare e accelerare la loro partenza. È così che Berhanu ha potuto lanciare la sua attività. «Guadagno poco, ma riesco per lo meno a sostenere mia madre. In Svizzera, non potendo lavorare, non ho messo da parte nulla. Grazie a questo negozio ho potuto ricominciare da capo».

L’importo offerto ai richiedenti l’asilo varia da un minimo di 1’000 franchi in contanti, consegnati alla partenza, fino a un massimo di 4’000 come rimborso spese per lo sviluppo di un progetto. In Nigeria, paese col quale la Confederazione ha firmato un partenariato migratorio, l’aiuto al ritorno può raggiungere i 7’000 franchi.

Uno strumento «importante» della politica migratoria

L’aiuto al ritorno in cifre

Il programma di aiuto al ritorno è stato lanciato nel 1997 per i rifugiati della Bosnia-Erzegovina. Dal 1999 è stato aperto progressivamente a una sessantina di paesi e vi hanno partecipato 84’000 persone. Nel 2013 erano circa 3’500, di cui 7 etiopi. Lo stesso anno, 246 etiopi hanno chiesto asilo in Svizzera. Il 28% circa ha ricevuto lo statuto di rifugiato: si tratta per lo più di attivisti e giornalisti, critici nei confronti del governo.

Introdotto nel 1997, il programma di aiuto al ritorno è regolarmente messo sul banco degli accusati in Svizzera. I partiti di destra temono che offrendo denaro ai migranti si rischia di rendere il paese ancor più attrattivo.

In un rapportoCollegamento esterno pubblicato a inizio giugno 2014, il Consiglio federale (governo svizzero) traccia però un bilancio positivo: lo strumento è «efficace» e «importante» e non è stato constatato alcun effetto calamita. L’onere a carico di Confederazione e cantoni rientra inoltre nella media europea: la Germania garantisce un massimo di 9’300 franchi per l’aiuto al ritorno, la Svezia 4’150 e l’Italia 1’800, stando alle cifre dell’Ufficio federale della migrazione.

C’è da dire, inoltre, che alla Svizzera costa meno offrire un aiuto al ritorno che mantenere un richiedente l’asilo respinto. Un mese di detenzione in vista di un’espulsione costa alla collettività circa 6’000 franchi e un volo forzato può raggiungere i 15mila franchi a persona.

Adeguare le aspettative a un nuovo contesto

I soldi però non sono l’unico aspetto da prendere in considerazione, né per la Svizzera né per i migranti. «Spesso queste persone sono rimaste lontane dal loro paese per anni e al ritorno si rendono conto che la situazione è cambiata, la vita è più cara, le opportunità diverse», spiega Eskedar Tenaye, responsabile dell’aiuto al ritorno presso l’Organizzazione internazionale della migrazione (OIM), ad Addis Abeba.

Negli ultimi anni, la capitale etiope ha conosciuto uno sviluppo senza precedenti: la popolazione è cresciuta, così come gli affitti, mentre i salari sono rimasti praticamente invariati. «In un primo tempo aiutiamo queste persone ad adeguare le loro aspettative alla nuova realtà del paese.

La fase di preparazione è fondamentale per l’esito di un progetto, forse più del capitale messo a disposizione», afferma Eskedar Tenaye. In Etiopia, come in tutti i 24 paesi dove la Svizzera promuove il rientro volontario, è l’OIM ad occuparsi dell’accompagnamento dei migranti.

Tassista, parrucchiera ed esportatrice di opali

All’altro capo della città, incontriamo Nigist, 37 anni e una buona dose di timidezza. Anche lei è fuggita dall’Etiopia per «iniziare una vita migliore». Una fuga in aereo, con un visto falso, costata 10’000 dollari. «Pensavo di ricevere l’asilo e poi di far venire mio marito, Mirutse». Ma dopo un anno e mezzo, stanca di attendere una risposta e affetta da tubercolosi, Nigist ha deciso di partire.

Nigist ha ricominciato una nuova vita lanciandosi nel commercio di minerali. swissinfo.ch

Con l’aiuto al ritorno, tre mesi fa lei e il marito si sono lanciati nel commercio di opali. Hanno comprato il materiale grezzo e una macchina per lavorarli ed ora stanno cercando potenziali clienti in Cina e in Europa. Un progetto ambizioso, che per il momento non sta però ancora dando frutti.

Eskedar Tenaye ci spiega che i migranti sono liberi di scegliere il progetto che più li interessa, a patto di avere le competenze necessarie per portalo avanti. Taxista e parrucchiera sono le opzioni privilegiate. E Nigist? «Nel suo caso, la lavorazione degli opali era una tradizione di famiglia, che hanno voluto portare avanti. Un sogno nel cassetto». Per l’OIM il bilancio dell’aiuto al ritorno in Etiopia è positivo: i migranti riescono a ritrovare una certa stabilità professionale e sociale e a conoscenza di Eskedar, nessuno di quelli rientrati dalla Svizzera ha deciso di emigrare nuovamente.

Chi torna e chi riparte

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Il reportage è stato realizzato nell’ambito di eqda.chCollegamento esterno, un progetto di scambio tra giornalisti svizzeri e dei paesi in via di sviluppo. 

Il rapporto del Consiglio federale solleva però qualche interrogativo sull’impatto a lungo termine dell’aiuto al ritorno per gli stessi migranti.

Stando a una valutazione dell’OIM realizzata tra ottobre 2012 e ottobre 2013, il 69% dei progetti garantiva un reddito effettivo. I dati sono però parziali: solo una persona su due (56%) è stata ritrovata e ha dunque partecipato allo studio. E gli altri? Alcuni hanno probabilmente cambiato città o numero di telefono. Altri hanno preso la via dell’esilio oppure non hanno mai contattato l’OIM al loro ritorno.

Ad Addis Abeba, Berhanu e Nigist  non pensano a una nuova partenza. L’esperienza in Svizzera è stata per entrambi troppo difficile e dolorosa. Ma poi Nigist aggiunge: «Se qualcuno mi chiedesse un parere, direi semplicemente che la vita in Europa non è facile, ma che vale la pena tentare. Chissà che a loro non andrà meglio». 

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