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Riabilitato il colonnello che salvò Chiasso

Una stele stele posata in onore del colonnello dell'esercito Svizzero Mario Martinoni in zona Dogana a Chiasso Ti-Press / Tatiana Scolari

Alla fine di aprile del 1945, Mario Martinoni, colonnello dell’esercito svizzero, si recò a Como per negoziare la resa delle truppe tedesche ammassate alla frontiera di Chiasso. Parlamento e governo ne hanno ora riconosciuto i meriti.

È il mattino del 28 aprile 1945. La seconda guerra mondiale sta per finire. Un veicolo decapottabile parte da Chiasso alla volta di Como. Sul tetto sventolano la bandiera svizzera e una bandiera bianca. A bordo c’è il colonnello Mario Martinoni, comandante del reggimento di fanteria di montagna 32.

A Como, Martinoni incontra il maggiore statunitense Joseph McDivitt. I due ufficiali intendono negoziare la resa di reparti della Wehrmacht spinti verso la frontiera di Chiasso, che nei giorni precedenti hanno minacciato di entrare in Svizzera con la forza. Il governo elvetico non li vuole lasciare mettere piede oltre frontiera.

La missione ha successo. I tedeschi accettano di arrendersi agli americani. Chiasso si risparmia uno scontro a fuoco con alcune centinaia di soldati della Wehrmacht. Poco più di quattro ore dopo la sua partenza, Martinoni rientra in Svizzera. Tutto sembra concludersi nel migliore dei modi.

Il crollo

Ma la mattina successiva, Martinoni è convocato dal suo superiore, il colonnello divisionario Samuel Gonard. Riceve l’ordine di spostare il reggimento 32 nel Luganese. Il numero di soldati al suo comando è notevolmente ridotto.

Martinoni percepisce l’ordine come una punizione. Non ne comprende i motivi. E ha una crisi nervosa. Così la descrive lui stesso, in una lettera al generale Henri Guisan: «Ed allora, forse già fisicamente provato dalla stanchezza e dall’insonnia, subii un primo ‘choc’ nervoso. Mi sentivo addolorato ed offeso in tutto me stesso, incapace quasi di parlare con chiarezza».

Più tardi il colonnello ha una seconda crisi e viene ricoverato in ospedale. La carriera del brillante ufficiale ticinese s’interrompe bruscamente. Ma cos’è accaduto? Perché Martinoni, poco dopo la sua missione, è allontanato dalla zona di frontiera?

Su ordini superiori

A lungo si è creduto che il colonnello, recandosi a Como, avesse agito di propria iniziativa. L’ordine di lasciare la frontiera sarebbe stato una punizione per aver violato il principio di neutralità.

Le nuove ricerche dello storico Jürg Stüssi-Lauterburg, direttore della biblioteca militare di Berna, hanno però smentito questa ipotesi. Le fonti sembrano parlare chiaro: Martinoni agì su ordine del governo federale. Il trasferimento del reggimento di Martinoni nel Luganese era stato deciso già il 27 aprile e non dipese dalla missione a Como.

La missione era però una questione delicata. Il principio della neutralità vietava alla Svizzera di intervenire in favore di una delle parti belligeranti. Non per niente l’ordine di recarsi a Como era stato impartito a voce. Ufficialmente, il governo non doveva essere coinvolto nella vicenda.

«In una simile missione poco neutrale, anche se altamente opportuna, il Consiglio federale non volle esporsi e di conseguenza il coraggioso colonnello nei suoi successivi problemi di salute rimase senza adeguato sostegno», ha ricordato Jürg Stüssi-Lauterburg in occasione di una cerimonia commemorativa a Chiasso il 28 aprile 2010.

Onore al merito

Dopo anni di oblio, il caso Martinoni è tornato di recente a far parlare di sé. Nel 2005, la Radiotelevisione della Svizzera Italiana (RSI) ha dedicato alla vicenda un documentario, realizzato da Ruben Rossello, basato su ampie ricerche e numerose interviste.

Nel giugno del 2010 il consigliere agli stati (senatore) Filippo Lombardi e il consigliere nazionale (deputato) Norman Gobbi hanno depositato nelle due camere mozioni dello stesso tenore, che chiedevano al governo di riconoscere ufficialmente «il ruolo del colonnello Martinoni nel salvare la città e la popolazione di Chiasso».

Nella sua risposta, il governo ha accolto le richieste avanzate dalle mozioni e ha invitato le camere ad approvarle. «Oggi, come già 65 anni fa, il Consiglio federale nutre una profonda gratitudine per l’operato del colonnello Martinoni», si legge nella dichiarazione del governo.

Il parlamento ha seguito l’invito. Lo scorso autunno, le mozioni di Gobbi e Lombardi sono state accolte dalle rispettive camere. Questa settimana, anche il Consiglio nazionale (camera del popolo) ha accolto la mozione Lombardi.

La rievocazione dei fatti di Chiasso, sostiene Norman Gobbi, è servita «a rilanciare la discussione su una missione che è stata importante non solo per la città di Chiasso e per il canton Ticino, ma per tutta la Svizzera».

L’atto parlamentare ha però un’importanza più ampia, agli occhi di Gobbi. Con il riconoscimento dei meriti del colonnello Martinoni, afferma il deputato della Lega dei ticinesi, «si riabilita anche la memoria di tutti coloro che hanno contribuito fattivamente alla salvaguardia del nostro paese durante la seconda guerra mondiale».

«È assodato che Mario Martinoni ha facilitato l’accordo di capitolazione tra le truppe tedesche ammassate alla frontiera e gli americani, riducendo notevolmente le pressioni esercitate nel suo settore sulla Svizzera affinché il nostro paese accettasse di internare le truppe tedesche. Prodigatosi per la propria truppa, la propria missione, il proprio paese e la salvezza di vite umane, il comandante ha meritato una benemerenza […]».

«Oggi come già 65 anni fa, il Consiglio federale nutre una profonda gratitudine per l’operato del colonnello Martinoni, senza il quale la città e la popolazione di Chiasso avrebbero potuto incorrere in gravi danni».

Dalla risposta del Consiglio federale alle mozioni dei parlamentari ticinesi Norman Gobbi e Filippo Lombardi.

Secondo il consigliere nazionale Norman Gobbi “la memoria del colonnello Martinoni va salvaguardata anche per il suo grande senso del dovere e dell’onore, che ben si esprime in questa sua amara, ma franca affermazione:

«Per la disciplina ho dovuto tacere e abbassare la testa, per poter difendere – in una maniera logica e militare – l’onore del soldato ticinese»”.

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